Non un omicidio con una chiara matrice politica, ma una banale rissa
tra «balordi». Quattro mesi dopo la sentenza che ha condannato il
19enne Vittorio Emiliani a 15 anni di carcere per l’omicidio volontario
di Renato Biagetti, il gup Giovanni Giorgianni ha reso note le
motivazioni di quella decisione. E la lettura del provvedimento ha
suscitato dubbi e rabbia nella famiglia e negli amici del giovane
assassinato nell’agosto del 2006 lungo il litorale romano. «Le
motivazioni insultano la memoria di Renato e non chiariscono la
ricostruzione dei fatti», affermano all’unisono quanti in questo ultimo
anno si sono battuti per ristabilire l’esatta versione di ciò che è
avvenuto quella notte.
Biagetti, 26 anni, fu ucciso con 8 coltellate fuori da un locale di
Focene per mano di due giovani ragazzi del posto, di cui uno
maggiorenne (con celtica tatuata sul braccio) e uno minorenne.
«Tornatevene a casa vostra» gridarono i due aggressori al giovane
romano e ai suoi amici. Un avvertimento ben scandito che ha portato
alla sua morte e al ferimento di un altro ragazzo, Paolo Berardi,
accoltellato vicino ai polmoni.
Chiarezza su quella vicenda non è mai stata fatta e nelle aule dei
tribunali la verità sembra addirittura allontanarsi. Per il gup si
trattò di una rissa finita male perché qualcuno dei litiganti aveva con
sé il coltello. Una ricostruzione contestata dai compagni di Biagetti:
«Non ci fu nessuna colluttazione tra due gruppi – ribadiscono – la
violenza è stata unilaterale». Anche il collegio difensivo, composto
dagli avvocati di parte civile Arturo Salerni, Maria Luisa D’Addabbo e
Luca Santini, si dice «insoddisfatto»: «Se da una parte emerge un
chiaro e incontrovertibile dolo diretto di Emiliani, dall’altra non
viene fatta luce sulla vicenda». Con questa sentenza il rischio di
stravolgere la verità affossando definitivamente il processo è alto.
«Ancora non si è fatta chiarezza su alcuni aspetti fondamentali», dice
Arturo Salerni, riferendosi alla leggerezza sulle indagini rispetto
alla ricerca delle armi del delitto («Non è mai stato trovato il
secondo coltello che per noi è stato utilizzato dal minore») e alla
mancata verbalizzazione dei carabinieri di Ponte Galeria delle ultime
parole dette da Renato in ospedale. Cosa che un agente ha fatto con
quasi un anno di ritardo. Eppure tale verbale assume un ruolo
probatorio centrale nell’articolazione delle motivazioni del gup.
Al contrario non viene dato adito alla ricostruzione di Laura
Lombardelli e Paolo Berardi, aggrediti insieme a Biagetti quella notte.
In base alla loro testimonianza il minorenne G. A., in attesa di
giudizio al tribunale minorile e che con queste motivazioni esce
«pulito», «colluttò per la maggior parte del tempo con Renato scappando
completamente sporco del suo sangue». Tesi pare confermata dalla
prognosi dell’ospedale che ha evidenziato ferite sul corpo di Biagetti
sia davanti che dietro, come fosse stato colpito su due fronti
contemporaneamente. «Laura e Paolo hanno fornito versioni dei fatti
coerenti e precise fin dall’inizio, eppure le loro testimonianze
vengono screditate», denuncia con sdegno Cristiana del centro sociale
Acrobax, che continua: «L’obiettivo dei due imputati era quello di
aggredire e allontanare dal proprio territorio chiunque fosse di
sinistra o di una cultura alternativa». Insomma il movente politico
sembra palese per tutti. Ma non per il giudice che già durante
l’istruttoria aveva cercato di escludere il connotato politico,
rifiutando la richiesta di costituzione di parte civile di Anpi e
Comune di Roma.
«Non è dalle aule di tribunale che uscirà mai la verità
sull’omicidio», commenta Stefania, la mamma di Renato, che denuncia le
omissioni e i depistaggi in cui è avvolto il processo, nonché il clima
fascista e intollerante in cui è maturato l’omicidio. Intanto
l’avvocato Santini annuncia di voler procedere contro il minore in sede
civile, per un risarcimento e perché «quella sede servirà per fare
piena chiarezza sui fatti». Le associazioni nate dopo l’uccisione di
Biagetti, «I Sogni di Renato» e «Mamme contro il fascismo», si
preparano a mantenere alta l’attenzione e a promuovere iniziative in
suo ricordo. A partire dall’inaugurazione di una sala prove musicale e
una partita di rugby «antifascista».