Nelle parole del Commissario Costa, pubblicate da questo giornale il 17
gennaio, leggiamo la difficoltà di chi è consapevole di
vendere fumo e non sa più come nasconderlo; sostenere che la
nuova base Usa progettata al Dal Molin non avrebbe alcun impatto
negativo dal punto di vista ambientale, urbanistico e sociale, infatti,
equivale a negare una realtà che è sotto gli occhi di
tutti e che anche il Commissario ha più volte evidenziato,
dichiarando che «Vicenza deve essere compensata per il sacrificio
a cui è chiamata».
Nelle ultime settimane abbiamo assistito al tentativo di costruire
quella che i sociologi chiamano la “profezia che si
autoadempie”; dichiarando che la nuova base Usa è entrata
nella fase operativa, infatti, statunitensi, Governo italiano e molti
rappresentanti del Partito Democratico – del quale, è bene
sottolinearlo, non si è ancora capita la posizione –
vorrebbero creare una realtà artificiale diversa da quella
quotidiana, nascondendo sotto il tappeto le tante difficoltà che
stanno incontrando i fautori della militarizzazione di Vicenza. Tutti
sanno, infatti, che la realizzazione del progetto non è affatto
scontata: a Vicenza decine di migliaia di persone hanno deciso,
nell’ultimo anno, di mettersi in gioco in prima persona per
difendere la propria terra, ma anche la propria dignità e quei
pochi stracci di una democrazia calpestata in modo arrogante quanto
superficiale da chi siede a Palazzo Trissino e a Palazzo Chigi.
L’opposizione che Vicenza ha saputo creare non è un
elemento di folklore, bensì la variabile più importante
di questa vicenda: chi dice che «bisogna adeguarsi alle decisioni
prese dal Governo» insulta la democrazia e il diritto di ogni
cittadino di difendere la propria vita e il domani dei propri figli.
Accettare le imposizioni senza opporsi è tipico delle dittature
e dei regimi autoritari, non certo delle democrazie mature tra le quali
il nostro Paese vorrebbe annoverarsi.
In questi mesi, decine di iniziative hanno portato Vicenza alla ribalta
delle cronache nazionali. Donne e uomini qualunque, padri e madri,
studenti e pensionati: tante persone hanno messo in gioco la propria
quotidianità mettendo nel conto le conseguenze che potrebbero
derivare da blocchi e occupazioni; sono, queste, persone con una
famiglia e un lavoro che, però, hanno deciso di sacrificare una
parte importante della propria vita per difendere la propria
città da un’opera che avrebbe conseguenze devastanti. Lo
sanno bene i vicentini che lo scorso 15 dicembre hanno partecipato in
decine di migliaia al corteo legittimando questo percorso di
opposizione e voltando le spalle a chi, incapace di avere una
maggioranza reale, si appella a indeterminabili “maggioranze
silenziose”.
L’ultima iniziativa in ordine di tempo, l’occupazione
pacifica della Prefettura, ha segnalato la determinazione di chi non
vuole testimoniare la propria contrarietà, bensì vuol
raggiungere un obiettivo concreto: impedire la realizzazione della
nuova base Usa, anche bloccandone fisicamente i cantieri.
Chi parla di legalità dimentica che, in questa vicenda, ogni
ombra di legalità è stata cancellata
dall’imposizione di un progetto che viola la Costituzione
italiana e le più banali norme sulla trasparenza; difatti, i
militari statunitensi dichiarano di aver tutte le autorizzazioni
necessarie, ma ai cittadini vicentini non è dato il diritto di
accedere a queste pratiche e consultare autorizzazioni e decreti. La
legalità, spacciata per valore assoluto, viene spesso utilizzata
per mettere il bavaglio a chi si batte contro le imposizioni.
A chi dichiara che «la legalità è un confine»
insuperabile rispondiamo con le parole di Gandhi: «sono le azioni
che contano; i nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono
perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni». In
questi mesi tante donne e uomini di Vicenza hanno praticato i propri
pensieri, assumendosi con coraggio la responsabilità delle
proprie azioni, sempre pacifiche e ispirate ad un obiettivo concreto
come quello di mettere un granello di sabbia nei meccanismi della
guerra e della cementificazione.
«L’obbedienza non è una virtù»,
scriveva Don Milani. Qualcuno spieghi ai vicentini per quale ragione
dovrebbero accettare di mettere a rischio la propria salute, la propria
sicurezza, il proprio futuro per obbedire ad una decisione sulla quale
non sono stati coinvolti e per la quale nessuno ha ricevuto mandati
politici. I vicentini sono legittimati ad opporsi, con gli strumenti
che sono accessibili: di fronte al rifiuto della politica di ascoltare
la volontà popolare, occupazioni e blocchi sono le sole forme
che restano a quanti non vogliono limitarsi a portare una
testimonianza, ma vogliono vincere questa battaglia. Il futuro di
Vicenza è nelle mani dei vicentini: lo sanno bene gli sponsor
della nuova base Usa che, non a caso, vorrebbero dipingere questo
movimento come minoritario e criminale; un tentativo che non riesce
perché si basa sulla convinzione che le persone siano stupide e
si facciano convincere da facili slogan.
Ma i vicentini hanno imparato a comprendere i termini della questione,
riconoscendo la coerenza dall’incoerenza, il giusto dallo
sbagliato, l’interesse della comunità dal profitto di
pochi.
E, soprattutto, hanno imparato a conoscere questo movimento fatto prima
di tutto di donne e uomini radicali nel voler difendere la propria
città e che non vogliono, con la propria indifferenza, rendersi
complici di questo scempio.
Presidio Permanente
No Dal Molin