Contro una sicurezza fatta di morti sul lavoro,
di violenza poliziesca,
di guerra contro popolazioni inermi,
di deportazioni di immigrati e propaganda razzista,
di repressione spietata del dissenso e del "diverso".
Un’occasione importante per riportare
la “questione sicurezza” nei suoi termini reali.
Una possibilità di riaffermare con forza
la volontà di difendere gli spazi in cui agire e il dissenso
messi pesantemente in discussione
dalla repressione delle istituzioni.
carcere, in uno stato di detenzione aggravato dall’elevato indice di vigilanza
(EIV) e dalla censura sulla corrispondenza, per aver cercato di opporsi a un
TSO in una piazza del centro; altri due stanno scontando pene da 10 mesi, non
ancora definitive, per una scritta sui muri del centro fatta in solidarietà con
gli altri arrestati.
E questi sono solo gli ultimi di un lungo elenco di
episodi che nei mesi recenti hanno segnato la fitta “cronaca repressiva”
bolognese.
La città è satura di divieti e il centro storico è
ormai massicciamente presidiato da polizia e vigili urbani. Vengono sgomberate
case e spazi sociali, demoliti con le ruspe gli accampamenti e le baracche dei
nomadi, criminalizzate tutte le forme di dissenso politico e sociale.
Tutto ciò in nome della “sicurezza” e della lotta al
degrado, ritornelli che da tempo riempiono le prime pagine dei giornali con
l’effetto, e lo scopo, di aumentare artificialmente il senso di insicurezza dei
cittadini e di stendere sui reali problemi della gente una cappa di silenzio
assordante fatta di cinismo, di indifferenza e di rassegnazione.
Bologna sembra tornata ad essere un laboratorio nel
quale, proprio attraverso un sindaco “di sinistra”, sperimentare tecniche di
controllo sempre più raffinate e dispiegate. Il
sindaco di Bologna è l’ideatore del “pacchetto sicurezza” fatto proprio
dall’assemblea dei sindaci e tramite il ministero degli interni Amato presentato
in parlamento e quindi adottato a livello nazionale.
D’altra parte, lungi dall’essere una problematica
prettamente locale, la “questione sicurezza” è ormai diventato un cavallo di
battaglia di tutti i politici di professione a livello nazionale, un tema su
cui destra e sinistra fanno a gara nel proporre le soluzioni più liberticide
possibili. In tutta Italia, giorno per giorno, cresce l’intolleranza nei
confronti delle categorie più “deboli”. Proprio un sistema fondato
sull’assoggettamento autoritario sancisce chi è da tutelare e chi da
perseguitare esponendo gli esclusi alla violenza vigliacca: dagli attacchi ai
campi rom e in generale alle comunità immigrate, alla violenza sulle donne,
dall’uso sempre più sfacciato delle istituzioni totali, delle carceri e delle
strutture psichiatriche, alle quotidiane scorribande dei neofascisti.
Questa, progressiva, ed evidente devastazione dei
rapporti sociali non avviene casualmente e al contrario, secondo noi sta a
testimoniare come sia in atto un lucido processo di ristrutturazione che, con
passi da gigante, cerca di trasformare radicalmente le regole di questo stato
“democratico”. E più che una restaurazione rivolta al passato crediamo
rappresenti piuttosto la necessaria condizione per il mantenimento di un sistema
politico, economico e sociale ormai basato strategicamente sulla guerra.
Infatti, mentre gli eserciti di tutte le potenze occidentali (compreso il
nostro) sono impegnati in ogni angolo del globo a massacrare le popolazioni più
povere per “esportare la democrazia”, la riduzione di ogni spazio in cui agire
il dissenso e il controllo di ogni tipo di opposizione diventa una priorità
imprescindibile a tutti i livelli, da quello internazionale a quello
iper-locale: aumento della militarizzazione, tassi di carcerazione in costante
crescita, internamento e deportazione degli immigrati, persecuzione sfacciata
di ogni lotta sociale, dagli scioperi alle occupazioni di case, dalle proteste
contro la devastazione ambientale alla opposizione alla guerra stessa. E ovviamente
tra i più colpiti ci sono coloro che si dichiarano apertamente nemici dello
stato e del suo ordine sociale.
Dovrebbe essere allora evidente a chiunque non si
lasci abbindolare completamente dalla propaganda di regime che l’insicurezza
reale delle persone deriva in realtà da ben altri problemi.
Il quotidiano stillicidio di morti bianche e di
incidenti sul lavoro provoca un numero di morti, invalidi e feriti di gran
lunga superiore a quello delle vittime della criminalità. Così come
l’impoverimento che colpisce la stragrande maggioranza della popolazione non
dipende da furti e rapine ma da salari sempre più scollegati dal costo della
vita in costante aumento.
L’insicurezza reale è data dall’aumento costante dei
lavori precari, malpagati e senza tutele, dai continui licenziamenti (motivati
per lo più dallo spostamento delle attività all’estero, dove è possibile
sfruttare ancora più brutalmente la manodopera con guadagni ancora maggiori per
i padroni); dagli affitti ormai insostenibili; da uno stato sociale che non ha
più nulla da offrire, anzi: si muore d’ospedale e ci si intossica soffocati dai
rifiuti.
Su queste tematiche abbiamo deciso di convocare a
Bologna una manifestazione nazionale per il 9 febbraio. Un’occasione importante
per riportare con il giusto peso la “questione sicurezza” nei suoi termini
reali, per denunciare pubblicamente il terrorismo di politici e giornalisti che
in tutta Italia si adoperano per scongiurare il rischio che ci si unisca nella
lotta contro i potenti, unica via d’uscita concreta dalla miseria incalzante.
Un’occasione per riaffermare con forza la volontà di difendere gli spazi in cui
agire il dissenso messi pesantemente in discussione da queste strategie
repressive.
Un’occasione, insomma, per rompere il silenzio.
La manifestazione attraverserà le strade di Bologna
ribadendo e articolando il discorso fatto sinora con l’intento di portare
queste riflessioni all’orecchio degli abitanti di questa città e di coinvolgere
chiunque condivida questo tipo di necessità.
Coordinamento
“Rompere il silenzio”