28 anni dopo, la carneficina della stazione di Bologna resta ufficialmente ancora senza colpevoli
Il 2 agosto ricorre il 27° anniversario della strage di Bologna. A tanti anni di distanza sono ancora poche le certezze e molte risalgono alle prime ore della strage: 85 morti, oltre 200 feriti e la stazione del capoluogo emiliano semidistrutta.
In compenso le generazioni più giovani faticano a prendere il testimone della memoria. In un sondaggio di due anni fa a cura dall’Associazione familiari delle vittime in occasione dei 25 anni della strage, nelle scuole della città colpita dalla bomba il 21,7 % degli studenti bolognesi attribuiva l’attentato alle Brigate Rosse(!), mentre il 34 % dichiarava di non avere alcuna idea di cosa si stesse parlando. E qui prima di tutto bisogna capire che esistono meccanismi collettivi di selezione della memoria storica che mandano nell’oblio, a volte temporaneo, fatti importanti per le generazioni precedenti. Ma è anche vero che quando di un evento viene trasmessa una percezione confusa è molto facile che le generazioni successive non ne colgano il significato. E la strage di Bologna è un evento del quale i contemporanei hanno costruito una percezione confusa. Nonostante diversi processi, per differenti filoni di indagine, non è effettivamente chiaro chi siano stati gli esecutori e tantomeno i mandanti.
Certamente una cosa è chiara: è stata una strage fascista. Fascista nella modalità (una bomba in un sabato d’agosto prima delle ferie alla stazione) e negli intenti, legati alla strategia permanente della tensione tramite stragismo che ha attraversato questo paese fino ai primi anni ’80.
Ma non è chiaro quali fascisti siano stati gli esecutori o i mandanti: se i Nar di Fioravanti, che ha sempre negato e che ha testimonianze a discarico come a suo carico, o se i soli servizi segreti con qualche camerata più legato alle istituzioni rispetto ai Nar. Sul piano dei mandanti, oltre all’opacità del contesto politico in cui è maturato l’attentato, sono stati inquisiti i vari Gelli e Pazienza, logge massoniche e intrecci mafiosi: tutti sono entrati e usciti in diversi processi su Bologna compresi quelli per depistaggio. Va anche detto che nel 2000 alcuni agenti del Sismi furono condannati per depistaggio sulla strage di Bologna. La stessa condanna però non consentiva di capire a favore di chi fosse fatto il depistaggio, quali fossero le responsabilità politiche e quali i mandanti reali.
Non c’è da stupirsi se in questo triste bilancio di mancato accertamento delle responsabilità va anche aggiunto il velo di rimozione che sta calando su Bologna nella memoria collettiva. I fatti cominciano ad essere lontani e i mandanti non sono riconoscibili. Uno degli errori commessi in questi anni è stato sicuramente l’assenza di una vera controinchiesta magari promossa dai parenti delle vittime. E qui la cultura istituzionalista del Pci prima e dei Ds poi ha fatto la parte del leone per frenare ogni emergere di inchieste alternative che rimettessero al centro dell’attenzione la strage di Bologna. Negli anni ’70 il libro “La strage di stato”, la prima vera controinchiesta della sinistra extraparlamentare di allora, mise in seria difficoltà le versioni ufficiali su piazza Fontana e contribuì ad orientare l’opinione pubblica verso una domanda di verità e di giustizia. Una robusta tesi da controinchiesta sarebbe stata utile anche su Bologna nel momento in cui la magistratura non poteva certo mettere radicalmente in stato d’accusa le istituzioni di cui facevano parte i servizi segreti che hanno oggettivamente depistato la verità su Bologna.
Resta quindi un interrogativo di fondo su Bologna, sugli esecutori e sui mandanti, che serve per il passato e per il futuro. Per sapere chi e perché abbia mandato al macello 85 passeggeri ad una stazione un sabato d’agosto e per contribuire ad impedire che qualcuno in questo paese, in futuro, sia di nuovo inghiottito dalle viscere della terra come in quel lontano giorno del 1980.