Così, dopo l’entrata in vigore della tregua, la
ministra israeliana Livni definisce i 1.315 palestinesi uccisi e le
devastazioni di Gaza. L’Europa: niente ricostruzione con Hamas al
potere. Amnesty: tante prove dell’uso di fosforo bianco contro i civili
«Siamo stati chiusi in casa, tutto il tempo. I soldati ci urlavano di
non muoverci. Tutte le volte che tentavamo di uscire in cerca di cibo,
ci sparavano contro i loro razzi. È andata avanti così, per tre
giorni». Salah Samuni, uno dei sopravvissuti del palazzo degli orrori
di Zaitun, racconta a tutti la fine dei suoi familiari. Trenta, forse
più, uccisi dalle esplosioni e dal crollo, pezzo dopo pezzo,
dell’edificio bersagliato dalle truppe di Tel Aviv. Alcuni li hanno
tirati fuori solo domenica, quando è scattato il cessate il fuoco. «Non
siamo a conoscenza di ordini di questo tipo dati dai nostri soldati ai
civili palestinesi», ha comunicato un portavoce dell’esercito
israeliano, ma a Gaza si raccontano decine di queste storie.
È
stato un immenso bagno di sangue che non potrà cancellare nessuna frase
di cordoglio del premier Ehud Olmert, che si è detto «profondamente
rammaricato» per la morte dei civili palestinesi, e ancora meno le
spiegazioni del ministro degli esteri, Tzipi Livni convinta che le
vittime innocenti siano state soltanto il «prodotto delle circostanze».
Gaza, dove oggi potrebbe recarsi il segretario dell’Onu Ban Ki moon, è
un ammasso di macerie, da nord a sud, e i mezzi di soccorso continuano
a ritrovare cadaveri di persone morte nei bombardamenti, combattenti e
civili. Ieri ne sono stati contati una decina e il bilancio totale
delle vittime, aggiornato di ora in ora anche per la morte in ospedale
dei feriti gravi, è salito a 1.315 (5.500 i feriti). Il rischio di
epidemie è alto. «In questo momento ci sono le condizioni ideali per la
diffusione di malattie», ha avvertito ieri Margaret Chan del Consiglio
esecutivo dell’Oms.
Dare un tetto agli sfollati, alle decine di
migliaia di persone che non hanno più una casa, è l’obiettivo di molte
organizzazioni umanitarie. Ma le strutture per accogliere tante persone
non bastano. «Abbiamo circa 50.000 persone nei nostri centri: devono
essere nutrite tutti i giorni – ha riferito Chris Gunnes, il portavoce
dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi -. E
dopo il massiccio bombardamento del 15 gennaio, nel quale i nostri
magazzini sono stati colpiti dalle bombe, non abbiamo ancora ripreso
tutta la nostra capacità operativa, e questo limita le attività di
sostegno alla popolazione». Sempre quel giorno venne centrato
dall’artiglieria israeliana anche l’ospedale al Quds di Gaza city,
provocando un incendio che costrinse il personale medico ad evacuare i
pazienti.
Dopo il bombardamento, l’Unrwa denunciò l’uso di
munizioni al fosforo bianco, ma Israele respinse l’accusa circolata per
tutte e tre le settimane di «Piombo fuso». Ieri ricercatori di Amnesty
International hanno detto di aver riscontrato prove incontestabili
dell’uso massiccio di fosforo bianco in aree densamente popolate di
Gaza City e in altre zone del nord della Striscia. «Abbiamo visto
strade e vicoli pieni di prove dell’uso del fosforo bianco, con alcuni
grumi ancora fumanti e residui di ordigni», ha dichiarato Cristopher
Cobb-Smith, esperto di armamenti incaricato da Amnesty International. E
mentre la popolazione di Gaza cerca di ritrovare un minimo di normalità
aggirandosi tra i cumuli di macerie, Israele e Hamas si danno
battaglia. Non più con le armi, ma con i proclami di vittoria.
Il
movimento islamico non ha dubbi: ha vinto, perché è riuscito a
resistere per tre settimane alla potente macchina bellica israeliana.
Si tratta di una «vittoria di popolo», ha detto il premier Ismail
Haniyeh. Hamas sostiene che i tentativi israeliani, egiziani e
internazionali di impedirgli il riarmo sono destinati a fallire.
Israele afferma a sua volta di aver realizzato tutti gli obiettivi
dell’«operazione» e che attaccherà di nuovo di fronte a lanci di razzi.
Ma il gioco va ben oltre lo stop ai rudimentali missili palestinesi. La
partita passa ora sul terreno politico e diplomatico. Si delinea
infatti uno scontro su chi dovrà gestire il grande piano di
ricostruzione. L’attacco israeliano ha causato la distruzione di 5.000
abitazioni e danni ad altre 17mila.
Al vertice economico di Kuwait
city l’Arabia saudita ieri ha annunciato una donazione da un miliardo
di dollari. Soldi che servono a lavare la coscienza sporca di Riyadh
per aver fatto poco o nulla per fermare l’offensiva israeliana. La
stessa funzione avranno i finanziamenti arabi, europei e americani.
L’Anp di Abu Mazen, diversi paesi arabi e l’Ue s’oppongono al
coinvolgimento di Hamas nella ricostruzione.
Abu Mazen rivendica
questo compito nel tentativo di ristabilire la sua influenza nella
Striscia, da dove le sue forze di sicurezza vennero cacciate un anno e
mezzo fa. L’Ue ieri, attraverso il Commissario europeo per le Relazioni
estere, Benita Ferrero-Waldner, ha messo in chiaro che i suoi aiuti non
arriveranno fino a quando al governo a Gaza ci sarà Hamas e verranno
stanziati solo se il presidente palestinese Abu Mazen riuscirà ad
imporre nuovamente la sua autorità. Poi, nel corso della giornata, l’Ue
ha precisato che potrebbe farli arrivare ad un governo di unità
nazionale, dando così sostegno all’appello del premier dell’Anp Salam
Fayad per la costituzione, in tempi brevi, di un governo di
«riconciliazione nazionale», dove però le forze dell’Anp avrebbero il
predominio.
Oggi al valico di Kerem Shalom, al punto di incontro
tra Israele, Gaza e l’Egitto, sarà possibile assistere alla
spettacolarizzazione dell’aiuto umanitario. Il ministro degli esteri
Franco Frattini, dopo aver di fatto avallato l’offensiva israeliana con
il suo carico di morti, oggi presenzierà alla consegna di un convoglio
di aiuti umanitari italiani al quale partecipano con diverse iniziative
la Cooperazione allo sviluppo della Farnesina, le regioni italiane e
aziende private. «È il sistema paese che si muove», ha commentato il
portavoce del ministero degli esteri Pasquale Ferrara.
Il governo
Berlusconi però non ha alcuna intenzione di spendere somme consistenti
per i palestinesi. Il primo cargo di aiuti è a spese dello Stato ma
stando alle indiscrezioni in seguito saranno le regioni a farsi carico
di gran parte dell’aiuto.
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