In migliaia lo aspettavano per sentirlo parlare di Spinoza, Foucault e
Deleuze, di globalizzazione, metropoli e moltitudine, comunanza e
singolarità, intellettualità di massa. Erano pronti a pagare 1.500 yen
(circa 10 euro) per assistere alle sue conferenze organizzate dalle
università di Tokyo e di Kyoto e dall’International House of Japan, una
grande istituzione culturale nazionale. Ma il Giappone gli ha negato
clamorosamente il visto, peraltro non richiesto ai cittadini europei, e
così Toni Negri ha rinunciato ad un viaggio che preparava ormai da un
anno. «È una provocazione incomprensibile, un atto autoritario
completamente idiota, fondato sulla continuità con vecchi demoni.
Sarebbe ora che la smettessero», ha commentato "il professore" dalla
sua residenza in campagna alle porte di Parigi, città dove attualmente
vive quando non è a Venezia.
«Per sei mesi ci hanno detto che non
c’era bisogno di visto d’ingresso, come effettivamente è per gli
europei», racconta Negri, che avrebbe dovuto partire con la sua
compagna Judith Revel, anche lei impegnata in una serie di conferenze.
In effetti il sito dell’ambasciata conferma: nessun visto per i
cittadini Ue, in soggiorno non lavorativo. «Ma due giorni prima della
partenza prevista per il 19 marzo, inaspettatamente ci hanno chiesto di
presentare una serie di documenti: inviti, biglietti, programmi –
continua Negri che ha inviato ai suoi amici giapponesi una lettera per
raccontare l’accaduto – L’ho fatto, ma il giorno dopo mi hanno chiesto
di presentare tutta la documentazione sul mio stato giuridico dagli
anni ’70 in poi.
Gli ho risposto che si tratta di 25 mila pagine,
scritte in italiano e che non avrei mai potuto ottenere da Parigi in 24
ore». «Il governo giapponese non ha rifiutato il visto d’ingresso a
Toni Negri, ma è stato lui che durante il processo di acquisizione dei
dati ha rinunciato», ribattono dall’ambasciata.
Ma Negri non ci
sta: «Che nessuno dica che abbiamo rinunciato al viaggio: non si
rinuncia, quando quello che viene chiesto è impossibile da fornire». In
Giappone – dove Negri era atteso da persone come il filosofo Yoshi
Ichida e la critica d’arte Kazue Kobata – sono stati tradotti quasi
tutti i suoi libri. E opere come «Impero» o «Moltitudine», scritte con
Michael Hart, sono più lette che in Italia.
L’International House
lo presenta on line come fece «Time»: uno dei «saggi del XXI secolo».
Il clima nel paese del Sol levante non è dei migliori in vista del G8
di luglio. E per il governo è più facile accogliere un Fujimori, il
dittatore peruviano con doppia nazionalità che si rifugiò a Tokyo, o
Delfo Zorzi, oggi Hagen Roy, indagato per la strage di Brescia. «Non
cominciamo con gli opposti estremismi – ribatte Negri – Io non sono un
assassino, non ho ucciso Moro e ho pagato per le cose di cui sono stato
accusato. È ora di finirla con i fantasmi del passato».
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