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L’AQUILA – Non c’è bisogno di
cartelli stradali,
per trovare la nuova Aquila. Basta seguire la fila di auto che ad
ogni ora va verso la statale per Rieti e dopo la rotonda di Coppito
svolta a sinistra. "Ci troviamo all’Aquilone", dicono i ragazzi.
"Ci vediamo all’Aquilone", dicono i loro genitori e anche i nonni.
La nuova Aquila è un centro commerciale che nella vita degli
aquilani ha preso il posto delle antiche mura e delle antiche
strade del centro storico, da un anno zona rossa. "L’altra notte
arrivavamo da Roma – raccontano Eugenio Carlomagno e Patrizio
Bassanin, direttore e docente all’Accademia Belle Arti – e a
Poggio Picenze abbiamo guardato la città dall’alto: il centro è un
buco nero circondato dalle luci della periferia. Quel buio ci ha
fatto paura. Ci ha fatto capire che la città ha perso il suo cuore.
L’Aquilone? Avevano anche messo un cartello sulla strada: "Venite
al centro dell’Aquila". Ci siamo arrabbiati, l’abbiamo fatto
togliere. Ma il nuovo centro della città, purtroppo, è quel
supermercato".
I Quattro Cantoni, i portici, piazza San Pietro sono ormai un
ricordo. I ragazzi che saltano la scuola al mattino vengono qui,
stando attenti a non incontrare i genitori che vengono a fare la
spesa. Il pomeriggio e la sera i parcheggi e le gallerie
commerciali diventano il nuovo luogo del passeggio e degli
incontri. Assieme a tanta bella gente c’erano anche i bulli, nel
centro storico. C’era chi beveva troppo. C’erano le risse. Ora
tutto questo avviene all’Aquilone, che prima del terremoto non
riusciva a decollare e dopo la scossa ha riempito ogni negozio. Nei
parcheggi ci sono anche container e camper con le Acli, l’Avis, il
patronato Epas, una farmacia. Sono venuti tutti qui, attorno alla
nuova Aquila. Anche la Curia vescovile, la facoltà di ingegneria,
finanziarie e pompe funebri, fiorai e panettieri. "All’Aquilone –
annunciano gli altoparlanti – c’è tutto, proprio tutto. Anche la
scuola materna".
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Non riesce a risorgere, questa città, in questa Pasqua che arriva
due giorni prima dell’anniversario del sisma. Se riuscirà a
riprendere vita, non sarà comunque come prima. "Non si può lasciare
passare un anno – dice Eugenio Carlomagno, che guida il comitato
"Un centro storico da salvare" – senza fare nulla. I guasti sono
già pesantissimi. Cio che si sta cercando di fare oggi si poteva
fare nel maggio dell’anno scorso. Così non sarebbe passata l’idea
che una città possa vivere senza centro. Con le carriole,
nell’ultimo mese, siamo riusciti a ricordare anche a tanti aquilani
che l’Aquila – il centro storico è l’identità dell’Aquila – non
poteva essere l’ultima ruota del carro, da aggiustare dopo avere
costruito le Case antismiche e i Map e avere piazzato casette e
container. Ma un anno è passato nel limbo e allora chi viveva in
centro ha cercato altre strade".
Sono 8000 gli aquilani che hanno chiesto al Comune di cambiare
residenza. Non tutti gli esclusi da Case e Map o i confinati negli
hotel della costa se la sono sentita di affrontare i nuovi prezzi
delle case aquilane. Per 300 metri quadri di terreno non
fabbricabile si chiedono 40.000 euro. Prima del sisma la terra
agricola costava un terzo e nessuno si sognava di acquistare aree
non fabbricabili. Triplicati anche i lotti con permesso di
costruzione. Prima costavano 48-50 euro al metro quadro già
urbanizzati. Ora vengono comprati a 80-90 euro senza urbanizzazione
e con fogne e allacciamenti ad acqua e gas verranno a costare dai
120 ai 130 euro. Le case messe sul mercato dai costruttori sono
passate da 1000-1500 euro al metro quadro agli attuali 2.500.
Triplicati pure gli affitti.
Il futuro non è messo in discussione solo dalle speculazioni. La
periferia dell’Aquila ormai non ha un metro di terreno libero. Solo
le Case antisismiche hanno occupato 139 ettari di terreno. I negozi
cacciati dal centro hanno riaperto in periferia in container e
casette di legno frammiste ad altre casette che sono la sede di
ditte arrivate da tutta Italia per vendere altre casette. "Con noi
il tuo futuro ha basi solide". "Nasce qui il futuro dei nostri
figli". Nell’Italia dei condoni c’è chi scommette anche in quello
post terremoto. C’è chi costruisce la casa di legno in giardino,
"così mio figlio avrà il suo appartamento". C’è il commerciante che
non ha avuto danni e affitta il suo salone a una banca continuando
la sua attività in un prefabbricato piazzato davanti al salone.
Basta salire verso Sassa per capire che il "territorio" non sarà
più quello di prima. Dove c’erano le campagne ci sono case di legno
e container, Case e Map che resteranno per sempre, trasformandosi
forse in villaggi turistici o appartamenti per gli studenti.
Anche i lavori più semplici – quelli per le case B e C, con pochi
danni – sono ancora mosche bianche. Ci sono stati continui rinvii
per le normative e anche accaparramenti da parte di professionisti
che hanno accettato troppi incarichi e ora non riescono a dare le
risposte in tempi decenti. "Per il centro storico – dice Eugenio
Carlomagno – aspettiamo ancora le linee guida. Bertolaso ha detto
che i soldi ci sono e basta presentare i progetti per avere i
finanziamenti. Ma siamo di fronte a un cane che si mangia la coda.
Non ci sono infatti le linee guida per preparare i progetti. Noi
abbiamo fretta. Entro giugno le linee guida debbono essere pronte.
Da subito debbono partire le demolizioni già decise. Le macerie
debbono sparire e non, come è successo in via del Capro, buttate da
una ditta su altre macerie. Se ci metteranno in grado di presentare
i progetti la prossima primavera potranno partire i lavori. Se
queste decisioni fossero state prese nel maggio scorso, ora avremmo
i cantieri aperti". Nella domenica della Pasqua le carriole
resteranno a riposo. "Ma ci troveremo comunque in piazza Duomo. Da
noi, la mattina pasquale, c’era la tradizione di preparare in casa
una colazione diversa: pane, salame, prosciutto, vino e uova sode
benedette. Quest’anno faremo la nostra colazione tradizionale in
piazza. Per farci l’augurio di poterci ritrovare, in una Pasqua
vicina, a casa nostra".