scrivere a bassa velocità. LENTAMENTE. MOLTO LENTAMENTE.

E’ un attimo, un batter di ciglia.. Nessuno qui si rende conto che, risparmiando tempo, in realtà risparmia tutt'altro. Nessuno vuole ammettere che la sua vita diventava sempre più povera, sempre più monotona e sempre più fredda.
Se ne rendono conto i bambini, invece, perché nessuno ha più tempo per loro. Se ne rendono conto invece i fratelli migranti, perché nessuno tende più loro una mano mentre vengono rinchiusi nei Cpt. Se ne rendono conto i cortili e i parchi, perché nessuno più trova il tempo di correre tra l’erba e sentire il profumo inebriante degli alberi in autunno. Se ne rendono conto le nostre emozioni, che vengono paralizzate, freddate e spazzate via dalla logica dell’immediatezza e della frenetica ricerca del risparmio temporale.
Ma il tempo è vita. E la vita risiede nel cuore. E quanto più ne risparmiamo, tanto meno ne abbiamo

E’ un attimo, un batter di ciglia.. Nessuno qui si rende conto che, risparmiando tempo, in realtà risparmia tutt'altro. Nessuno vuole ammettere che la sua vita diventava sempre più povera, sempre più monotona e sempre più fredda.
Se ne rendono conto i bambini, invece, perché nessuno ha più tempo per loro. Se ne rendono conto invece i fratelli migranti, perché nessuno tende più loro una mano mentre vengono rinchiusi nei Cpt. Se ne rendono conto i cortili e i parchi, perché nessuno più trova il tempo di correre tra l’erba e sentire il profumo inebriante degli alberi in autunno. Se ne rendono conto le nostre emozioni, che vengono paralizzate, freddate e spazzate via dalla logica dell’immediatezza e della frenetica ricerca del risparmio temporale.
Ma il tempo è vita. E la vita risiede nel cuore. E quanto più ne risparmiamo, tanto meno ne abbiamo.

Corriamo come dannati per la città, stressandoci e innervosendoci se il semaforo rosso ci ingabbia per un minuto in più sulla strada,fissiamo appuntamenti ore dopo ore e, per rispettarli, facciamo salti mortali, limitando il tempo che dovremmo passare con i nostri figli, ci strozziamo per ingurgitare un tramezzino sotto il bar del nostro ufficio, pronti subito a scattare per riprendere il posto di lavoro puntuali e precisi, pur di risparmiare tempo siamo disposti a fare acquisti su internet, pagare le bollette su internet, innamorarci su internet, fare amicizie su internet, fare sesso su internet.. Abbiamo perso completamente la testa stando dietro a questa società che ci impone ritmi sferzanti di tempi lampo. Questa società classista e capitalista che ci abbandona come relitti in un oceano e che è manovrata da soli pochi grandi potenti.

Abbiamo fame, dobbiamo lavorare per mangiare. Abbiamo bisogno di muoverci, dobbiamo pagare per farlo. Vogliamo una casa, dobbiamo  lavorare per affittarla/comprarla. Vogliamo cultura, leggere, ascoltare musica, vedere mostre, dobbiamo pagare e andare a lavorare per avere ciò. Vogliamo studiare, dobbiamo pagare. Viaggiare e pagare. Leggere e pagare. Bere e pagare. Avere luce gas e acqua e pagare. Respirare e pagare. E il lavoro?A volte precario, a volte in nero, a volte continuativo, a volte massacrante, demoralizzante, RIPETITIVO, pericoloso ci prende ore ed ore interminabili nella giornata. Così facendo ci costringono a lavorare, ci tengono buoni con il lavoro, ci estraniano dalla vita sociale, ci lobotomizzano il cervello con facili guadagni ed incentivano chi lavora di più, ci controllano facilmente e ci tengono sott’occhio e soprattutto riescono così a farci fare quello che loro vogliono, per i loro sporchi profitti. Ci rubano i nostri respiri, le nostre passioni, i nostri sogni. Ci tagliano le ali per volare, ci frammentano le nostre sensazioni e ci rendono impauriti e tremanti davanti al futuro. Questo tempo, per il quale siamo sempre di fretta, per il quale non riusciamo a stare tranquilli, lo rivogliamo! Basta con questa frenetica vita impazzita, dove tutto corre e sfreccia. Basta. Sapete, nella Lucania del secolo scorso, uomini come noi, italiani, contadini, celebravano il rito del capro espiatorio, per allontanare – all’inizio dell’inverno – il timore del “vuoto vegetale”, ossia di quel deserto che rimaneva dopo i raccolti, dopo il fuoco del Sole sulla terra riarsa dell’estate. Folli.
Oggi siamo così sicuri del ritorno della primavera e abbiamo così poco tempo  da spendere che non sentiamo il bisogno di corteggiarla con un rito, non avvertiamo la necessità d’evocarla per tacitare la nostra paura del vuoto e del buio invernale, del tetro avanzare del freddo che ci ricaccerà nei nostri cubicoli superbamente arredati – CD, DVD, CCD, DVX, DDT, ADSL, USB, DS, AIDS – con tutto quel che serve per fare spallucce al gelo dell’inverno. Non abbiamo più tempo per l’amore. Gli italiani non trombano quasi più, non ne hanno tempo: almeno, lo fanno più “correttamente”, “coscienziosamente”, “responsabilmente” e “consapevolmente”. Per meglio dire, con troppa “mente” e poco corpo, meno sudore e più docce, poca passione e tanto calcolo. “Posso invitarti a cena” è diventato quasi sinonimo di “forse, possiamo farci una scopata”: un tempo, queste cose si lasciavano al linguaggio non scritto dei corpi aggrappati nel ballo, attratti, sfregati dalla voglia e sfrenati nella passione.                                                                                          «Ciò che è vuoto è destinato inevitabilmente a riempirsi, e ciò che è pieno a vuotarsi» affermava nella notte dei tempi Lao-Tze, forse mentre osservava l’acqua scorrere nelle risaie a terrazza dell’antica Cina, oppure mentre ascoltava fremere il corpo dell’amata.
Con la perdita del valore temporale ci siamo riempiti le case di cazzate e le abbiamo svuotate di figli, di parenti, d’amici, di discorsi, di emozioni, di intelligenza. Non sappiamo più vivere nelle vecchie case a ballatoio, con il cortile a fare da teatro per tutte le passioni e le miserie del caseggiato: avremmo paura. Svuotati di passioni, privati di sentimenti, annegate persino le idee nel nome del “politically correct”, ci coaguliamo – statici – di fronte ad uno schermo di vetro dove scorrono gli stereotipi della nostra vita, l’ammaestramento che ci è necessario per continuare a morire di noia. Senza tempo.                                                                                                   “La demografia italiana ne soffre” sussurrano dal più alto Colle fino all’ultima sacrestia dello Stivale: non ci sono più stuoli di ragazzini che riempiono gli oratori ed i campi di calcio – quelli “liberi”, ovviamente – perché quelli “targati” qualcosa – fosse anche la squadra del Ranuncolo Rampante – diventano subito il sogno dei genitori, quello di vedere trasformati i polpacci del proprio figlio in dobloni. Con i quali comprare subito l’ultimo modello di cellulare che invia nell’etere anche frecce, chewing-gum e pannolini. Cellulari e viaggi “last minute”, portatili dei quali useremo il 5% delle risorse e televisori in ogni angolo della casa: soldi, servono soldi, lavorare, mungere, sfruttare, vincere per avere altri cellulari, altri viaggi…
A questo ci siamo ridotti. A questo ci hanno portato. E continuano a manovrarci come burattini. Senza tempo.

Addirittura non facciamo più figli; non ne abbiamo tempo. La natalità in questo Paese è ai limiti storici. Come si può notare, nemmeno Confindustria non crede in un ribaltamento della natalità degli italiani – anche prevedendo misure economiche “ad hoc” – e non sposa affatto le teorie isolazioniste e xenofobe di certi ambienti politici nostrani: i grandi difensori della piccola e media impresa – con la Lega Nord in testa – sono sconfessati proprio da coloro che ritengono essere i loro referenti. Perché?
Perché lor signori pensano soltanto a salvare quel modello economico che si è rivelato perdente, al punto da condurre intere generazioni alla sterilità psicologica!

I consumi, per Dio! Non sia mai che crollino i consumi, altrimenti l’anno prossimo mi potrò solo sognare il trekking sulle Ande ed il safari fotografico in Kenya! La produzione, per Dio! Se non c’è nessuno che lavora, come produciamo per consumare?
E poi noi saremmo dei folli, soltanto perché predichiamo da anni che l’economia liberista non solo conduce al collasso ecologico del pianeta, ma ci sta uccidendo nella psiche e nel corpo? Quale segnale attendere ancora, quale messaggio è più forte di una specie che non si riproduce più? Non basta riflettere che metà della popolazione – chi più e chi meno – fa uso di psicofarmaci? Senza Tempo. Ci hanno rubato tutto. Persino i figli.

Come delle serpi, ipnotizziamo le future prede che attraversano il mare su malferme barchette dopo aver morso l’esca fatta di talk-show e telefonini, oppure sospinte come branchi d’acciughe verso la rete dagli squadroni della morte che seminiamo nel mondo, dal Kurdistan al Sudan, dalla Colombia alla Cecenia, dall’Iraq all’Aghanistan.

Abbiamo bisogno di calma, di respirare con attenzione, di meno lavoro, di più vita sociale. Di parlare di più, di fare più sesso, di usare meno la macchina, di passeggiare di più, di vedere meno Tv e usare meno il telefono, di abbandonare per un pò Internet, di viaggiare di più, di ascoltare di più, di comandare di meno, di amare di più. E magari di farci più canne. Si. Magari lavoriamo e amiamo con lentezza. Magari.

Riappropriamoci del nostro tempo, rigettiamo questa società malata e iniziamo a curare di più il nostro cuore e la nostra anima. Perché se davvero non abbiamo più tempo da dedicare ai nostri bimbi, vuol dire che stiamo andando verso la distruzione totale delle nostre vite, delle nostre anime, perché se davvero non abbiamo più tempo per i nostri figli vuol certamente dire che siamo diventati una specie di cyborg omologalizzati a questa società che ci vuole tutti uguali senza diritti, ne poteri, ne emozioni. Badiamo bene, che questo siamo diventati e che i nostri figli crescono senza più l’odore dei campi sotto il naso. E noi abbiamo bisogno dei nostri figli. I figli, più che il prodotto del denaro, sono il frutto dei nostri sogni, oramai azzerati.

A futura memoria. Lenta.Lentamente.

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