SU I FATTI DI GENOVA 2001

GENOVA 2001: (ALTRE) COSE DA NON DIMENTICARE (Network Antagonista Torinese)


Italia,
dicembre 2007 – La sentenza di primo grado nel processo contro i 25
manifestant* che nelle giornate del G8 del 2001 hanno protestato contro
le logiche e gli effetti della globalizzazione capitalista hanno
rappresentato una cattiva notizia annunciata. Tuttavia alcuni aspetti
della sentenza possono stimolare riflessioni non banali su aspetti che
crediamo siano passati in secondo piano negli interventi di queste
settimane.
Se la decisione del tribunale di Genova di condannare
sostanzialmente tutti gli imputati (uno soltanto è stato
assolto) fa da sfondo al messaggio politico generale (i manifestanti
hanno avuto torto, lo stato ha avuto ed ha, a posteriori, ragione), un
aspetto che non andrebbe sottovalutato è quello relativo alla
notevole differenza tra le richieste formulate dall’accusa e le
pene effettivamente comminate. Non si tratta della differenza
complessiva degli anni di carcere destinati agli imputati, quanto
piuttosto delle differenze nella distribuzione delle pene.
Se la
tesi della procura di Genova era che tutti gli imputati (e di riflesso
tutti i manifestanti “ignoti” che presero parte agli
episodi in esame) fossero ugualmente colpevoli, e perciò
dovessero ricevere condanne sostanzialmente uniformi, i giudici hanno
voluto contestare questa impostazione. In particolare, secondo il
tribunale, si tratta di distinguere due entità politiche: il
“corteo di via Tolemaide” e il “Black Block”.
Tanto i manifestanti che in via Tolemaide hanno resistito alle cariche
dei carabinieri quanto coloro che altrove hanno praticato azioni
dirette e hanno risposto alle cariche sono cioè colpevoli, ma in
modo diverso: mentre per i primi si delinea una lesione
“tradizionale” dell’ordine pubblico (qualificabile
come resistenza a pubblico ufficiale, lesioni, danneggiamento,
travisamento, ecc.), nel secondo caso scatta la condanna per il ben
più grave reato di devastazione e saccheggio. La conseguenza
è che mentre gli imputati di via Tolemaide ricevono in primo
grado condanne tipiche, a livello quantitativo, per i militanti delle
aree antagoniste che vengono processati per scontri di piazza (in
particolare si tratta di pene inferiori alla soglia significativa dei
2-3 anni), i presunti appartenenti al Black Block vengono puniti con
periodi di reclusione che giungono fino e oltre gli 11 anni, e in tre
casi si applicano immediatamente misure di libertà vigilata in
attesa del secondo grado.

La tesi fatta propria dai giudici
differisce da quella dei PM perché circoscrive la paranoia
cospirativa al solo Black Block, o comunque a chi è processato
per fatti che non sono quelli di via Tolemaide e immediati dintorni.
Là si sarebbe trattato di atti illegali commessi contro agenti
dei CC e contro l’arredo urbano in presenza di uno scontro
– peraltro determinato da una carica che i giudici considerano
piuttosto apertamente essere stata illegittima –, mentre
nell’altro caso si ravvisa una scelta non imposta dalla
circostanza di una carica, ma predeterminata.
Come abbiamo scritto e
ribadito più volte fin dal luglio 2001, la nostra lettura dei
fatti di Genova tende a oltrepassare criticamente le distinzioni
scolastiche e le astrazioni formali rispetto agli episodi di resistenza
e azione diretta di quei giorni, che sono tutti da valorizzare
politicamente e storicamente, siano essi avvenutoin corso Torino, in
via Tolemaide o altrove. Le azioni dirette, le barricate e le
resistenze contro carabinieri, polizia e guardia di finanza sono state
praticate da migliaia e migliaia di persone e da centinaia di soggetti
politici più o meno strutturati, provenienti da percorsi
politici e storie geografiche molto differenti. Che i giudici,
d’altro lato, scrivano oggi una storia diversa, sia nel tentativo
di criminalizzare le lotte nel loro complesso, sia praticando
distinzioni forzose nella ricerca di capri espiatori, non stupisce.
Quello che stupisce è invece che nessuno abbia rilevato con
quale precisione la tesi del tribunale sia sovrapponibile alla
narrazione giornalistica dei fatti di Genova che si è imposta
già durante i fatti, e non è più cambiata. Una
narrazione che purtroppo è stata avallata anche da importanti
settori del movimento.
Secondo questa versione da una parte ci
furono manifestanti (divisi in associazioni, partiti e disobbedienti) e
dall’altra il Black Block. Stando a quanto scritto anche in molti
opuscoli e libri comparsi dopo il G8, il BB sarebbe stato un attore
estraneo e ambiguo, e ancora nelle ricostruzioni giornalistiche recenti
(come i documentari a cura di Minoli e Lucarelli per la Rai), siamo in
presenza del mito di un BB compatto e militarizzato, tutto intento a
cospirare anzitutto contro gli altri manifestanti, magari in combutta
con la polizia. (Le immagini che ritraggono presunti infiltrati non
spiegano peraltro in che senso essi “farebbero parte” del
“Black Block”, senza contare che lo stesso ministero degli
interni ha più volte ammesso di aver messo in atto tentativi di
infiltrazione in ogni settore del movimento).

La
verità è che la caccia al capro espiatorio è
iniziata molto prima di questa sentenza, e questa sentenza la
rispecchia piuttosto tristemente. I politici del PRC che si vantavano
sui giornali di aver indicato per telefono alla polizia la posizione
dei “devastatori”, Giuliano Giuliani che – nessuno ha
mai capito a quale titolo – insultava le compagne e i compagni
dalle colonne dei quotidiani (in attesa di poter ben presto stringere
davanti ai riflettori la mano ad alti funzionari della PS) sono stati
accompagnati da dichiarazioni degli organizzatori del corteo di via
Tolemaide dove si dichiarava di avere le prove che il BB aveva agito su
indicazione dei carabinieri, e si indicavano curiosamente tutta una
serie di manifestanti come “estranei al movimento”.
Il Manifesto
ha continuato per settimane a coprire di insulti, illazioni e menzogne
un BB invero molto generico, dove venivano catalogati tutti i
“neri” (la maggior parte dei quali come è noto non
vestivano affatto di nero) che avevano rovinato il progetto iniziale di
giornate festose, pacifiche e colorate (leggi compatibili). Gli stessi
film prodotti nel 2001 e distribuiti dal Manifesto mettono in risalto
le presunte ambiguità politiche del BB, fino ad alludere
addirittura a una matrice fascista degli atti compiuti dai soggetti non
inquadrabili nelle strutture del GSF. Poche settimane dopo un
personaggio di spicco del Sisde, appena nominato da Prodi e
probabilmente su sua indicazione (come ricostruito dettagliatamente
dalla stampa nazionale alcuni mesi fa) inventa la bufala di
infiltrazioni neonaziste tra i manifestanti “violenti”, e
viene divulgata l’ennesima menzogna.

Alla fine dei conti,
però, il prezzo più alto lo stanno pagando proprio alcuni
dei cosiddetti “violenti”, quelli cioè che stavano
per scelta fuori del GSF, cioè dalla variegata congerie di
personaggi e organizzazioni oggi in gran parte interni al sistema di
governo del centro-sinistra, che hanno ben presto lasciato i cortei per
le poltrone, che di fatto hanno impedito ai successivi movimenti contro
la guerra di imboccare una strada conflittuale e costruita su una
critica viva e lontana dalla retorica, che in alcuni casi hanno sfilato
in seguito in favore all’invio di truppe italiane in Libano (o ce
le hanno mandate, come hanno contribuito coi loro partiti alla
prosecuzione dell’occupazione dell’Afghanistan).
Chi
paga di più invece oggi sono proprio quelli che, secondo qualche
mente fantasiosa e nella maggior parte dei casi disonesta, avrebbero
agito soggettivamente o oggettivamente in favore della repressione del
movimento, quindi nell’interesse del potere. E perché,
allora, il potere oggi li condanna? E perché chi già
allora li condannò, oggi è al potere?
Anche questi
interrogativi meritano una riflessione storica, perché la storia
del movimento è storia di tutto il movimento: comprende anche i
soggetti scomodi da ricordare o analizzare, per una ragione (aver usato
il movimento per fini estranei ad esso, magari con il supporto di parti
di esso) o per l’altra (aver arricchito il movimento di una
pluralità di forme di lotta, anche fuori dalle regole pattuite
dal GSF con i responsabili dell’ordine pubblico).
L’esercizio della memoria, insomma, è foriero di
difficoltà e omissioni per i nostri nemici ma – se
profondo e critico – anche per la stessa soggettività
politica che, in forme spesso problematiche, ha cercato di affrontarli
come tali in quelle giornate.

Network Antagonista Torinese
(csoa Askatasuna – csa Murazzi – collettivo universitario autonomo)

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