[Crash! sotto Sequestro] La magistratura all’attacco delle occupazioni!
Martedì 5 Febbraio
c’è stata la pronuncia del Tribunale del Riesame che accoglie l’infame
richiesta di sequestro dell’edificio occupato da Crash! durante la
manifestazione contro le politiche securitarie e per gli spazi sociali
del 6 Ottobre a Bologna.
Il Tribunale andando in controtendenza alla sentenza del gip che non
aveva accolto la richiesta della procura, va a riscrivere con un atto
tutto politico un percorso di lotta di riappropriazione di spazi che
ormai nel capoluogo emiliano dura da anni. Nonostante l’impossibilità a
procedere allo sgombero voluta dallo stesso giudice che ha dichiarato
che è necessario aspettare lo scadere dei termini per un ricorso in
cassazione. Decisione anche questa che comunque resta carica di volontà
politica a prendere tempo e non far agitare troppo le acque dei
movimenti in questo momento delicato. La risposta del Centro Sociale è
che se da un lato andranno avanti con l’iter giudiziario portando il
ricorso in cassazione, per evitare di dare adito ad un precedente che
potrebbe ritorcersi contro tutti i movimenti di lotta e spazi sociali,
dall’altro c’è la volontà di ricostruire lotte e mobilitazioni sul
terreno proprio dei movimenti che non stanno nelle aule dei tribunali
ma nelle strade e nelle piazze.
Non mi piace l’idea di non poter gestire la mia vita".
Una
sentenza che pesa come un macigno quella emessa ieri dal Tribunale del
Riesame di Bologna per il sequestro del Laboratorio Crash! Un macigno
scagliato contro tutte le esperienze, passate e presenti, di
occupazione di centri sociali in Italia e contro la pratica
dell’occupazione stessa. Genova, Cosenza, Firenze e ora anche Bologna,
diventano teatro di un nuovo ruolo che la magistratura accoglie a sé.
Un ruolo tutto politico di ridefinizione degli ambiti di agibilità del
movimento, un tentativo di arginare le lotte che si sviluppano nei
territori passando non solo dalla criminalizzazione di significativi
segmenti passati del movimento contro la globalizzazione e la guerra,
ma anche andando ad attaccare nello specifico gli stessi luoghi di
produzione e riproduzione di una politica antagonista, necessariamente
elementi di ingovernabilità dei conflitti nelle
metropoli.
Una
sentenza che estende nei fatti i presupposti del sequestro cautelare:
prima di oggi indirizzata esclusivamente alla confisca dei beni in
possesso di organizzazioni mafiose e ad abusi edilizi, ora viene
reinterpretata come applicabile a tutte le lotte sociali per la
riconquista di spazi autogestiti, per la produzione di cultura e
socialità non mercificate, contro i percorsi di costruzione dei
conflitti sociali.
All’indomani della caduta, del Governo Del
Sacrificio Prodi, e dell’incapacità reale della politica istituzionale
di risolvere i problemi sociali è dai tribunali che si cerca di mettere
ordine per la salvaguardia dello status quo. E così l’antagonismo
espresso a Genova contro i governi della guerra e della devastazione
economica e ambientale, con il suo respirare assieme e le sue
molteplici istanze, diventa per la magistratura il pretesto per
riaffermare che mai più sarà concesso di tornare ad animare le strade e
le
piazze delle città per affermare in modo deciso il proprio dissenso.
Così il processo di Cosenza diventa punto cardine di nuovi teoremi
giudiziari che trasfigurano le lotte autonome portate avanti nei
territori, leggendo ovunque complotti e pianificazioni sovversive. Così
a Firenze la legittima opposizione alla Guerra Permanente, le cariche
ingiustificate, a nove anni di distanza vengono a forza stipate nel
cassettone della storia giudiziaria sotto coltri che parlano di
violenza e resistenza pluriaggravata. Così la magistratura non solo
legge bene la crisi della rappresentanza politica delle istituzioni, ma
se ne fa immediatamente sostituto e nuovo protagonista dal pugno di
ferro.
In questo modo, nonostante la sospensione dell’esecuzione
del sequestro fino all’ultimo grado di giudizio, necessariamente anche
i centri sociali, come luoghi di autorganizzazione politica
antagonista, ma anche come proposta alternativa e autonoma alla cultura
ed alla socialità di regime vengono messi sotto accusa. Il tentativo è
chiaro: mai più in nessun luogo occupazioni, mai più luoghi altri da
quelli istituzionali, mai più ambiti non immediatamente sussumibili e
riciclabili nelle immediate esigenze dei palazzi del potere. Il
teatrino non può crollare, lo show deve andare avanti, e per farlo
bisogna creare adeguati precedenti giuridici. E va avanti mostrando, ad
esempio, dietro a vetrine infarcite di lustrini l’inquietante e
inaccettabile spettacolo di un Salone del Libro a Torino, autoelettosi
a migliore espressione della cultura letteraria, che invita come ospite
d’onore esponenti di un governo genocida e d’apartheid come quello
d’Israele. Prosegue dietro i falsi, e per dirla tutta, scarsi scandali
suscitati dalle mostrine naziste dell’Afrika Korps di Rommel sui
veicoli delle forze armate italiane impegnate all’estero nelle
"missioni di pace" rifinanziate dal decaduto governo. Si riscopre
palcoscenico di ammiccamenti e "miracolosi" avvicinamenti tra forze
politiche che, stanche dei ruoli loro assegnati dal copione
dell’alternanza, si riscoprono possibilisti su intese larghe per il
sommo fine di "ridare dignità al Paese"… una dignità inevitabilmente
di nuovo fondata sul sacrificio, sull’oppressione, sulla
razionalizzazione del sociale a fini produttivi, sulla guerra,
sull’assassinio delle libertà individuali e collettive.
In
tutto ciò evidentemente i centri sociali, non hanno ruolo. E di questo,
diamo atto, siamo assolutamente certi anche noi. I terreni marcati
dalle lotte popolari contro le nocività e le devastazioni ambientali,
l’ingovernamentabilità dei conflitti sociali, l’essere inevitabilmente
dall’altra parte del fronte "interno" di questa Guerra che si vuole
Permanente, la vivacità data da una riscoperta capacità di plasmare i
nostri territori aldilà delle esigenze produttive, riqualificando dal
basso, opponendosi alla segmentazione ed alla desertificazione sociale,
combattendo la retorica del degrado e della sicurezza riportandole sul
piano della soddisfazione di bisogni e desideri, ostacolando le
speculazioni… questo oggi sono i centri sociali, gli spazi
autogestiti a Bologna come nel resto d’Italia.
E proprio per
questo crediamo che, dopo la manifestazione del 6 ottobre, si debba
tornare a progettare lotte e mobilitazioni che attorno a questo
sappiano ridare il segno dell’insopprimibilità degli spazi autogestiti,
indipendentemente dal dove venga l’attacco. Urgente è la necessità di
riaffermare come ciò che pertiene alle lotte sociali, ai loro
obiettivi, non possa essere negato spingendolo a forza nelle aule dei
tribunali, quando invece sono le strade, le piazze, gli spazi, le
periferie delle città i nostri luoghi; e questo anche per garantire la
percorribilità futura di esperienze di occupazione. Occorre, crediamo,
riaprire tutte le contraddizioni che il nuovo assetto politico cercherà
inevitabilmente di sanare per garantirci non solo la sopravvivenza, ma
anche lo spazio per esprimere quella nostra capacità di essere forza
vitale e prorompente negli altrimenti grigi e ristretti spazi
metropolitani.
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