Bolzaneto: un processo nato morto

La storia siamo noi. Questo era scritto sullo
striscione che apriva l’imponente manifestazione del 17 novembre scorso
a Genova. Quella di Bolzaneto è un’altra storia, una storia già finita.
Anche se la sua conclusione formale si colloca nel 2009, con la
prescrizione di tutti i reati grazie ai termini di modifica previsti
dalla legge "ex Cirielli".
La richiesta di 76 anni di carcere per i
44 imputati – poliziotti, agenti penitenziari, medici, infermieri –
attiene ai reati di abuso di ufficio, lesioni personali, falso, abuso
di autorità. La nostra storia parla di torture. Il loro sistema
normativo fa riferimento a trattamenti inumani e degradanti: il reato
di tortura nel nostro sistema penale non esiste (e non solo nel nostro:
Abu Ghrahib docet). La nostra storia ci dice che la tortura contro i
prigionieri è sempre esistita, che è stata praticata negli anni ’80
nella stagione del conflitto più radicale, che verosimilmente la
moltitudine di Genova metteva ancora più paura. Ci dice che lo è
tuttora (qualche nome recente: Aldrovandi, Brianzino…), che è pratica
periodica nelle caserme e nelle camere di sicurezza. La loro logica
presuppone che si debba sapere: solo così può dispiegare sino in fondo
la sua valenza deterrente. La nostra storia ci dice che sappiamo bene
che mai nessun torturatore o assassino al servizio del potere ha pagato.
La loro strategia di sperimentazione della violenza a Genova – tutta
Genova, non solo Bolzaneto – fu parte di una sorta di prova di guerra
interna e in guerra, si sa, lo stato di diritto viene sospeso. La
nostra storia ci ha lasciato la percezione che quel diritto di
resistenza a nostra volta sperimentato resta paradigma ineludibile in
ordine al sistematico trascinamento del conflitto sociale dentro la
normativa penale.

La
nostra storia è rispondere con determinazione al tentativo di
paralizzare il dissenso attraverso uno strumento penale che vale secoli
di galera per una manciata di manifestanti sotto processo a Genova e
Cosenza mentre concede l’impunità ai veri responsabili degli orrori che
hanno caratterizzato quelle giornate. Dove per responsabili non si
intende qualche decina di seviziatori sadici, ma una catena di comando
mai nemmeno sfiorata dalle inchieste giudiziarie: fu il ministro della
giustizia Castelli a ispezionare Bolzaneto, non l’ultimo dei funzionari
dell’amministrazione penitenziaria. Per tutti i nomi conosciuti la
promozione a più alti incarichi, a cominciare dal capo della polizia De
Gennaro, per i manifestanti che a Firenze furono caricati violentemente
mentre sfioravano l’ambasciata americana sette anni di reclusione
ciascuno.
La nostra storia ci dice che a poco serve inseguire una
giustizia che dopo aver consentito che si facesse di noi carne da
macello su di noi continua ad accanirsi quali unici responsabili di
quanto avvenne nel luglio 2001. Ci dice che molto c’è da fare invece
per sottrarre centinaia di noi agli effetti di questa stessa giustizia.
Ci dice che dobbiamo lavorare perché niente di simile accada più. Ci
dice che nel lavoro da fare c’è anche la necessità di imporre soglie
certe al diritto di manifestare, di pretendere la riconoscibilità di
chi effettua servizio di ordine pubblico, di continuare a ridisegnare
quell’incerto confine che divide legalità e legittimità.
La storia siamo noi. La nostra storia è ancora continuare a pensare che un altro mondo è possibile.

Liberitutti

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