CAMERATI NEL CALCIO, CRESCE L’ALLARME

Quel fascino per la camicia nera
che cresce nel mondo del calcio


Quel fascino per la camicia nera che cresce nel mondo del calcio

L’outing di Christian Abbiati, portiere del Milan fascista nel privato
e ora anche in pubblico, ha allargato praterie di potenziali
rivelazioni nel mondo del calcio italiano, da sempre silenziosamente a
destra. Quelle parole rimbalzate in tutta Europa – "del fascismo
condivido ideali come la patria, i valori della religione cattolica e
la capacità di assicurare l’ordine" – sono sottoscritte, oggi, da una
crescente platea di calciatori e dirigenti italiani.
La forza delle frasi rivelatrici
di un portiere che è abituale frequentatore dei leader di Cuore nero,
succursale dell’estremismo nero milanese e luogo di riferimento per gli
ultrà dell’Inter, più che nell’indicare il solito revisionismo pret a’
porter italiano che vuole un fascismo buono prima del ’38 ("rifiuto le
leggi razziali, l’alleanza con Hitler e l’ingresso in guerra", ha detto
Abbiati) segnala come anche i calciatori, notoriamente pavidi nelle
dichiarazioni, oggi comprendono che queste "verità" si possono
finalmente dire: il vento del 2008 non le rende più pericolose per le
loro carriere.

Sono diversi i campioni italiani che indossano numeri sinistri e
sventolano effigi del Ventennio per poi giustificarsi: "Non lo sapevo".
Il portiere Gianluigi Buffon, figlio di famiglia cattolica e impegnata,
è stato sorpreso in quattro atti scabrosi. La maglia con il numero 88
che rimandava al funesto "Heil Hitler" segnalata dalla comunità ebraica
romana, poi la canottiera vergata di suo pugno con il "Boia chi molla".
Nel 2006, durante le feste al Circo Massimo per la vittoria del
mondiale, si schierò – mani larghe su una balaustra – davanti allo
striscione "Fieri di essere italiani", croce celtica in basso a destra.
E i suoi tifosi, gli Arditi della Juventus, un mese fa a Bratislava gli
hanno ritmato "Camerata Buffon" ottenendo dal portiere un naturale
saluto. Quattro indizi, a questo punto, somigliano a una prova.

E’ da
annoverare tra i fascisti per caso il Fabio Cannavaro capitano della
nazionale che a Madrid sventolò un tricolore con un fascio littorio al
centro: "Non sono un nostalgico, ma non sono di sinistra", giura
adesso. Nel 1997, però, pubblicizzò in radio le prime colonie estive
Evita Peron, campi per adolescenti gestiti dalla destra radicale. Il
suo procuratore, Gaetano Fedele, assicura: "Un calciatore può essere
strumentalizzato inconsapevolmente".

Nella capitale si sta consumando un pericoloso contagio tra la curva
della Roma, egemonizzata dalla destra neofascista, e i giovani
calciatori romani. Daniele De Rossi, capitan futuro destinato a
sostituire Totti, è un simpatizzante di Forza Nuova. E l’altro
romanista da nazionale, Alberto Aquilani, colleziona busti del duce –
li regala uno zio – mostrando opinioni chiare sugli immigrati in
Italia: "Sono solo un problema".

Molti portieri la pensano come Abbiati, poi. L’ex Stefano Tacconi fu
coordinatore per la Lombardia del Nuovo Msi-Destra nazionale ed è stato
condannato per aver usato tesserini contraffatti giratigli dal
faccendiere nero Riccardo Sindoca. Matteo Sereni, figlio della
destrissima scuola Lazio, oggi che è portiere del Torino continua a
dormire con il busto di Mussolini sulla testiera del letto.

Il problema è che i calciatori navigano dentro un mare di ipocrisia che
consente di tenere "Faccetta nera" nella suoneria del cellulare senza
provare sensi di colpa. Questione di maestri. L’ex allenatore della
Lazio Papadopulo non si è mai preoccupato delle svastiche in curva
"perché in campo non vedo oltre la traversa". Spiega Gianluca Falsini,
difensore oggi al Padova: "Giocatori di sinistra ce ne sono pochi e la
nostalgia per il Ventennio ti viene per colpa dei politici
contemporanei". Già. Nel campionato 2007-2008 in campo sono raddoppiati
gli episodi di razzismo: sono stati sei. Mario Balotelli, stella
emergente dell’Inter, italiano di origini ghanesi, così racconta
l’ultima partita contro la Primavera dell’Ascoli: "Dall’inizio alla
fine mi hanno detto: "Non esistono neri italiani". Era lo slogan dei
fascisti, volevo uscire dal campo".

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