Il Consiglio di Stato ha bocciato il referendum
indetto, domenica prossima, a Vicenza dall’amministrazione
comunale, per consultare i cittadini sull’uso dell’area
dove è prevista la costruzione di una nuova base Usa. Non una
consultazione deliberativa, perché si tratta di una scelta che
poggia su negoziati internazionali. Ma un modo per permettere alla
popolazione di esprimersi su una decisione che è destinata a
produrre effetti rilevanti sulla realtà locale: dal punto di
vista dell’ambiente, del territorio, della viabilità,
della sicurezza.
Il Consiglio di Stato ha stabilito che si tratta di un
esercizio "inutile", perché si applica a un obiettivo
"irrealizzabile". E ha, per questo, bloccato l’iniziativa, tre
giorni prima dello svolgimento. Contraddicendo, così, il
pronunciamento del Tar, che, al contrario due settimane fa, aveva
considerato legittima la consultazione.
Così, Vicenza diventa un caso esemplare, nella
sua specificità. Una città dove lo Stato decide che i
cittadini non "devono" pronunciarsi, secondo procedure istituzionali,
perché, comunque, è stato già deciso. Peraltro,
è difficile che, in questo caso, si levino voci indignate, a
livello nazionale. (ad eccezione dei "soliti" esponenti della sinistra
radicale). Perché su questa materia l’accordo è
bipartisan.
La scelta della nuova base Usa nasce, cinque anni fa,
da un accordo informale fra Berlusconi e le autorità americane,
approvata dall’amministrazione di Vicenza del tempo e coltivata
in gran segreto per anni. Così, a doverla gestire è stato
il governo Prodi, che, dopo qualche resistenza e molte
perplessità, ha, infine, concesso la base agli Usa, nel gennaio
2007. In nome dei buoni rapporti con l’alleato più
influente, a livello internazionale. Dunque, destra, sinistra e centro
d’accordo. Senza se e senza ma. Cioè: senza ascoltare i
cittadini. Senza neppure preoccuparsi di vedere il luogo, il contesto,
le condizioni.
Nessun leader politico del centrodestra e del
centrosinistra che sia venuto a Vicenza a confrontarsi, a spiegare le
ragioni della scelta. Nessun ministro che, negli ultimi due anni, abbia
avuto il coraggio di avvicinarsi alla città, per timore di
venire fischiato e contestato. Oggi che i fischi e le contestazioni
fanno male all’immagine.
Solo il presidente Napolitano, di recente, si è
recato a Vicenza. E ha pronunciato parole prudenti ma, in fondo, sagge,
esortando affinché la difesa degli interessi locali avvenga nel
rispetto di quelli nazionali. Senza, però, negare il diritto dei
cittadini a esprimersi. Mentre il Consiglio di Stato ha decretato che
il referendum è inutile. La stessa posizione espressa, in modo
aperto, dal ministro La Russa. E dai leader di centrodestra. Dal
presidente della Regione, Galan. Senza che, peraltro, si siano levate
voci dissonanti dal centrosinistra. Né dal Pd né
dall’Idv di Antonio di Pietro. D’altra parte, lo stesso
Berlusconi, nelle scorse settimane, aveva inviato al sindaco di Vicenza
una lettera per invitarlo a desistere. Il referendum è inutile:
non fatelo. Tutti d’accordo, da sinistra a destra. Da Roma a
Venezia.
Qui, però, non si tratta più del merito:
la costruzione di una "nuova" base Usa (non dell’allargamento di
quella pre-esistente, come erroneamente si dice) alle porte della
città. Ma della possibilità dei cittadini di esprimersi
attraverso un referendum. (come ritiene giusto oltre il 60% dei
vicentini, interpellati in un sondaggio condotto da Demetra la
settimana scorsa).
Il Consiglio di Stato (come le principali forze
politiche nazionali) ha negato questa possibilità perché
"ha per oggetto un auspicio irrealizzabile… su cui si sono
pronunciate sfavorevolmente le autorità competenti". Sostenendo,
in questo modo, che l’utilità della democrazia si misura
solo a partire dal suo "rendimento" concreto; dall’efficacia dei
risultati. (Se così fosse, non si spiegherebbe perché,
per quanto faticosamente, regga ancora nel nostro paese).
Come se la democrazia fosse un utensile per realizzare
"prodotti" pubblici. Un sistema e un metodo per decidere, come
un’impresa qualsiasi (proprio oggi che il mercato non sembra
più di moda). Dimenticando che la democrazia ha valore in
sé. E’ un valore in sé. Le procedure mediante cui
si realizza "servono" come fonte di legittimazione perché
garantiscono riconoscimento alle istituzioni e consenso alle
autorità.
La democrazia "serve" perché istituzionalizza il
dissenso sociale, perché sostituisce la mediazione e la
partecipazione allo scontro. La democrazia diretta, peraltro, offre un
sostegno importante alla democrazia rappresentativa. Nel caso concreto,
la prospettiva del referendum ha incanalato i comitati e i movimenti
contrari alla base americana dentro alle logiche e alle regole del
confronto istituzionale. Ha istituzionalizzato il dissenso. Ha isolato
e estromesso le frange più estreme e le tentazioni violente.
Due anni di opposizione, manifestazioni e proteste su
un terreno così critico si sono svolte senza incidenti, senza
strappi. D’altronde, e non a caso, il movimento "No dal Molin" ha
partecipato alle elezioni comunali dello scorso aprile, dove ha eletto
una rappresentante. Accettando, così, il gioco della democrazia.
Trasferendo il confronto dalla piazza alle sedi istituzionali.
Sostituendo – e preferendo – la logica della rappresentanza a quella
dello scontro.
Per la stessa ragione, il referendum avrebbe offerto
all’amministrazione comunale e, in primo luogo, al sindaco
Variati uno strumento per "governare" il malessere e le tensioni
sociali. Perché, qualsiasi ne fosse stato l’esito, avrebbe
ottenuto una delega a "negoziare". Anche se non vi fosse stato nulla di
negoziabile – come accusa il Consiglio di Stato (la cui fiducia nel
potere della partecipazione, dunque, della democrazia "sostanziale"
appare assai fragile). In quel caso, avrebbe pagato lui, il sindaco,
insieme all’amministrazione il prezzo di aver generato
aspettative deluse. Ora, invece, la città si ritrova muta.
Costretta al silenzio. Perché si è sancito,
semplicemente, che, in alcuni casi, in questo caso, nel "suo" caso, la
"democrazia è inutile". Che la partecipazione non serve. Che
l’ascolto è un vizio. Che è meglio decidere
ignorando il dissenso. Dichiarando preventivamente "illegittima" la
semplice possibilità di farlo emergere.
Ma la democrazia ha una funzione terapeutica, prima che
pratica e strumentale. Serve a curare la frustrazione nei rapporti
sociali e politici. A evitare che degeneri.
Quando diventa inutile allora è lecito avere paura.