Cronaca 10a e 11a udienza del processo in corso a Milano contro i compagni e la compagna arrestati lo scorso 12/02/2007.

Cronaca 10a e 11a udienza del processo in corso a Milano contro
i compagni e la compagna arrestati lo scorso 12/02/2007.

Il 6 ottobre, dopo la pausa estiva, è ripreso il processo ai compagni arrestati con l’operazione “Tramonto”.

Fuori dall’aula, più di 150 persone, tra cui molti compagni in
nutrite delegazioni da Svizzera, Spagna, Belgio hanno fatto sentire la
loro calda solidarietà con interventi, slogans, striscioni, sostegno
che si è fatto sentire anche dentro l’aula, tra pugni chiusi e cori
internazionalisti. Una presenza molto significativa che ha mostrato
come il tentativo di criminalizzare la solidarietà internazionale,
culminato con gli arresti il 6 giugno scorso di 5 compagni in Belgio
appartenenti al Soccorso Rosso di quel paese (ora tutti liberati),
invece che fermare la solidarietà la ha estesa.
Un presidio molto importante non solo per la partecipazione numerosa in
appoggio ai comunisti sotto processo a Milano, ma anche per il suo
valore di tassello nello sviluppo della solidarietà internazionale, per
il sostegno ai rivoluzionari prigionieri in tutta Europa.

Dentro l’aula, dalle gabbie i compagni subito hanno denunciato il
pestaggio avvenuto contro alcuni prigionieri durante il trasferimento
dal carcere di Siano (CZ) a Milano. Il 3 ottobre, in particolare,
durante la “sosta” al carcere di Rebibbia, i compagni sono stati
oggetto di perquisizioni effettuate con modalità degradanti, con
flessioni, nudi, di fronte alle guardie, con l’unico obiettivo di
umiliarli. Di fronte al rifiuto dei prigionieri di proseguire tale
pratica, un compagno è stato portato a viva forza, praticamente nudo,
in cella di isolamento, tra le proteste degli altri. Il giorno dopo, la
partenza da Rebibbia è avvenuta tra due ali di agenti lungo i corridoi
che hanno percosso e insultato i compagni, in particolare Ghirardi e
Sisi.
La denuncia di tali condotte è stata messa per iscritto in un
documento, presentato dai prigionieri del PCP-M e sottoscritto da tutti
gli altri prigionieri, consegnato al giudice e messo agli atti.
Tale clima di pesante intimidazione si è potuto respirare anche durante
l’udienza: in aula sono ricomparse le panche tra le gabbie e i legali,
con il chiaro intento di rendere più difficoltosa la comunicazione tra
difesa e prigionieri; è stato impedito ai giovani avvocati
collaboratori negli studi dei legali di fiducia dei prigionieri di
potersi avvicinare alle gabbie, ostacolando così ancor di più il lavoro
collegiale delle difese.
Ma anche fuori, le zelanti guardie si sono distinte per il particolare
accanimento contro i compagni, minacciando di denuncia la compagna di
un detenuto nel momento dell’arrivo al tribunale, per aver avuto uno
slancio affettivo e avere tentato istintivamente di avvicinarglisi per
abbracciarlo dopo lungo tempo che non lo vedeva. La permanenza nel
carcere di Siano e i recenti spostamenti per il riavvio del processo
hanno infatti reso molto difficile ai familiari visitare con regolarità
i propri cari, costringendo in alcuni casi a una lontananza di più di
due mesi e, nessuna richiesta di potersi avvicinare alle gabbie da
parte di familiari e parenti durante le udienze, è stata finora accolta.
E’ ritornata inoltre la pagliacciata del paravento per nascondere il
volto dell’ispettore DIGOS Valente di Milano chiamato a testimoniare
dalla PM, nonostante il rinnovo dell’opposizione dei legali a tale
pratica che ostacola il diritto alla difesa, per l’evidente
impossibilità di cogliere quei segnali di comunicazione non verbale
utili al lavoro degli avvocati, ma che, soprattutto, come sottolineato
dall’avvocato Pelazza, pone un grave elemento di pregiudizio nei
confronti della corte, inducendola a considerare gli imputati come
pericolosi per l’incolumità dei testi. La PM, invitata da più legali a
specificare le motivazioni della richiesta del paravento, data
l’assenza nell’ordinamento giuridico di una norma che consente tale
pratica al di fuori di casi eccezionali (minorenni, pentiti di mafia,
ecc.), ha continuato a fare orecchie da mercante rimanendo nel vago e
giustificandosi con la solita scusa di tutelare chi è impegnato in
attività investigative. L’unica deduzione possibile, evidentemente, è
che non si vogliano “bruciare” i funzionari della DIGOS infiltrati nel
movimento milanese.
Per il resto, le due testimonianze estenuanti degli ispettori DIGOS di
Torino e Milano si sono concentrate, al solito, sui movimenti dei
compagni, sulle presunte tecniche di contro pedinamento, sulla “prova
gommone” (mai visto e senza alcuna ipotesi investigativa credibile) e
sulla ormai famosa pistola Sig Sauer. Era stata ritrovata nel deposito
di armi di Rossin ad Arzercavalli ma per essa era stata fatta una
richiesta di distruzione nel 1983, dopo che era stata sequestrata in
Piemonte per un reato. Ma se era stata distrutta come faceva ad essere
ad Arzercavalli? Su questo il teste, incalzato dalla difesa, dopo aver
detto che era stato un errore di computer, alla fine ha detto di non
essere in grado di dare spiegazioni di come ciò sia potuto avvenire.
Di seguito i testi della DIGOS si sono soffermati sulla descrizione di
un video, sequestrato ad un imputato, che riprende alcune sedi fasciste
e luoghi di ritrovo a Milano.
Nel controinterrogatorio, da sottolineare la richiesta di informazioni
da parte dell’avvocato Pelazza all’isp. Valente su un documento di “
Tutto antifà” circolato in internet con la mappa delle sedi fasciste a
Milano e sui trascorsi di due personaggi, citati dallo stesso come
“militanti di destra”, responsabili il primo di un attentato nel treno
Genova-Milano nel 1972 e l’altro, ex responsabile della Bottega del
fantastico, oggi defunto, condannato per l’omicidio di un agente,
sempre nel 1972. La risposta del funzionario ha suscitato l’ilarità del
pubblico: “Non sono qui per rispondere a domande di cultura generale”,
ha affermato.
La curiosità dell’avvocato Pelazza ha contagiato perfino il giudice
quando ha chiesto spiegazioni, sempre a Valente, su due relazioni della
DIGOS distanti 4 giorni l’una dall’altra: in entrambe era riportata la
stessa, identica descrizione dei movimenti di un imputato, un perfetto
copia-incolla, comprese le virgole, gli avverbi e le condizioni
metereologiche. Alla domanda stupita di Cerqua: “ma pioveva anche quel
giorno?”, l’ispettore ha risposto che l’imputato in questione era
“molto abitudinario”.
Almeno alla fine ci siamo fatti due risate…
L’udienza si è conclusa con slogans e saluti a pugno chiuso scambiati tra il pubblico e i compagni dentro la gabbia.

Comunicato 6 ottobre 2008

Con l’udienza di oggi riprende il processo che ci vede imputati in
un tribunale dello Stato borghese, strumento di dominio e oppressione
di classe.
Vogliamo affermare la natura politica di questo processo, resa evidente
dal trattamento carcerario cui siamo sottoposti. Dopo svariate
peregrinazioni tra Palermo, Napoli, Caserta, ecc. ci siamo ritrovati
quasi tutti radunati per la pausa estiva a Catanzaro, a "soli" 1.300 km
sia dai nostri parenti, sia dalla sede processuale e dagli avvocati.
Ovviamente ciò fa parte di ben note strategie per ottenere resa e
collaborazione, ed anche dello spirito fascistoide di certe autorità
dello "Stato democratico".
Il giorno 3 ottobre, dunque, siamo partiti in sette dal carcere si
Siano (CZ) per un tour di due giorni, approdando infine nei dintorni di
Milano.
Nel percorso, ci tocca una sosta notturna presso il carcere di
Roma-Rebibbia, usato spesso come vetrina delle buone intenzioni del
Ministero di Grazia e Giustizia, anche fucina dei processi dissociativi.
Qui veniamo sottoposti a modalità di perquisizione evidentemente
degradanti, con flessioni, nudi, a fronte di una o più guardie, senza
alcun fine che l’umiliazione personale. In quanto tali, peraltro,
queste modalità non sono a norma di legge; ma queste, quando ci sono,
sono sottoposte all’arbitrio.
Al rifiuto di ciò, segue immediatamente un’escalation aggressiva. Uno
di noi viene portato a viva forza, praticamente nudo, attraverso i
corridoi, in un a cella di isolamento.
Gli altri, protestando per il ritorno del loro compagno, vengono
portati più tardi ai transiti scortati da uno squadrone di guardie.
Il giorno successivo la partenza avviene tra due ali di agenti lungo i
corridoi, percossi ed insultati, alla presenza del comandante e di vari
ispettori. trattamento riservato in particolare a due compagni.
Niente dei nuovo sotto il sole, si dirà, essendo pratiche costantemente
presenti sotto il velo democratico e che rivelano invece il rapporto
sociale di dominio ed oppressione.
Anzi, sintomo, tra gli altri, dell’attuale militarizzazione sociale, di
una repressione che colpisce vari strati di popolazione, tra cui
appunto quella carceraria.
La nostra presenza in quest’aula, d’altronde, si motiva nella
continuazione di questa battaglia politica di classe; e pure
internazionalista, come ampiamente dimostrato dalla presente
solidarietà.
Non siamo certo qui a sottoporci passivamente ai riti di una legge che
resta espressione dell’oppressione di classe. Così non staremo qui ad
assistere sempre alla sfilata di tutti i personaggi assoldati dallo
Stato: poliziotti, pentiti e collaboratori.
Siamo qui per affermare la nostra identità comunista, la nostra
appartenenza alla classe operaia, la legittimità della lotta
rivoluzionaria.
Oggi, quando sarà finita questa giornata, una ventina di operai e
operaie saranno morti, uccisi dalle cause dirette della violenza dello
sfruttamento (incidenti, malattie mortali, intossicazioni).
Ogni giorno vediamo crescere la ricchezza della grande borghesia, così
come la miseria del proletariato. In questo nesso è sempre più evidente
la natura criminale di questo modello di società. Il processo di
imbarbarimento è causato dallo sfruttamento fra i gruppi e Stati
imperialisti, che portano alla guerra, all’oppressione dei popoli, al
saccheggio dei paesi fino all’esaurimento delle risorse naturali.
L’attuale crisi finanziaria, oltre a sprofondare interi continenti nel
caos e nella miseria, dimostra la fragilità del sistema,
l’impossibilità di trovare soluzioni e di riformarsi.

Per tutte queste ragioni, ribadiamo la prospettiva della lotta
rivoluzionaria di classe, come unica strada per il proletariato ed i
popoli oppressi ai fini della trasformazione e liberazione sociali.

I compagni detenuti del processo PCP-M
Milano, 6 ottobre 2008

Firmato da tutti i detenuti nelle gabbie

L’8 ottobre si è svolta la seconda udienza dopo la pausa estiva.

Come sempre si è tenuta in un’aula blindata da agenti della
penitenziaria, vari DIGOS, anche tra il pubblico, e carabinieri che non
hanno mancato in arroganza e prepotenza verso i famigliari quando
tentavano di salutare e comunicare per pochi istanti con i loro cari.
Appare, dunque, sempre molto evidente l’enorme dispendio di denaro
pubblico per questo processo tra trasferimenti attuati con grande
numero di mezzi, decine e decine di agenti a non fare nulla per ore e
ore. Tra il pubblico la presenza di compagni di lavoro degli imputati.
È stato acquisito agli atti un documento presentato da alcuni compagni
imputati agli arresti domiciliari nel quale esprimono solidarietà ai
compagni pestati nel carcere di Rebibbia e denunciano le condizioni di
isolamento a cui sono sottoposti da più di un anno. Al tentativo di un
compagno di leggerlo la PM si è opposta con la sua solita pratica,
sbraitando e definendo il documento sovversivo. A quel punto il
compagno si è alzato riassumendo il contenuto del documento e ribadendo
alla fine dell’intervento, la solidarietà ai compagni per le vessazioni
subite a Rebibbia. Per il resto, nell’udienza va segnalata la protesta
dell’avvocato Pelazza quando la Corte ha deciso di ascoltare come teste
un perito calligrafico che aveva eseguito una perizia su un biglietto
sequestrato in una perquisizione, ordinata dal PM Giovagnoli di Bologna
nel 2002, nell’abitazione del compagno Claudio Latino. Pelazza aveva
argomentato sull’inammissibilità del teste per vari motivi: i termini
scaduti per la presentazione della richiesta, il fatto che il sequestro
del biglietto era avvenuto ben prima dell’inizio delle indagini
dell’operazione “Tramonto” (iniziate ufficialmente nel 2004) e, quindi,
non poteva essere pertinente con il processo in corso a Milano.
Inoltre, la citata inchiesta bolognese, si è conclusa senza rinvio a
giudizio. Di fronte all’accettazione, da parte della Corte del teste,
l’avvocato Pelazza si è rifiutato di svolgere il contro-interrogatorio.
Si sono susseguiti anche vari agenti della DIGOS milanese, alcuni a
volto scoperto, altri coperti da passamontagna e separé, in pieno stile
poliziesco sudamericano. Alle domande dei difensori alcuni sono apparsi
molto vaghi e nervosi, tanto che perfino il giudice ha dovuto invitarli
a calmarsi e a cambiare tono.
Anche con questa udienza, come era accaduto nella precedente, si è
ripetuta “la comica” di alcuni atti riguardanti pedinamenti, identici
in tutto ma con data diversa.
Praticamente fatti tramite “copia incolla” e, proprio questi atti,
mancavano nelle relazioni in mano al teste in quel momento interrogato.
Ma che bella coincidenza! (come affermato da un avvocato della difesa).
Nell’udienza di lunedì prossimo saranno ascoltati ancora agenti della DIGOS di Milano e di Torino.
Salutando calorosamente tutti coloro che hanno portato la propria
solidarietà ai nostri cari diamo appuntamento all’udienza di lunedì 13
ottobre alle ore 9.30

Milano 8 ottobre 2008

Come imputati agli arresti domiciliari vogliamo esprimere
solidarietà ai nostri coimputati detenuti e unirci alla loro denuncia
per i pestaggi avvenuti sabato 3 ottobre nel carcere di Rebibbia.
Questo grave episodio rientra nel clima di tensione e soprusi che ha
caratterizzato questo procedimento fin dal giorno dei nostri arresti.
Lunghi periodi di isolamento carcerario, trasferimenti in carceri
lontanissimi sia dalle famiglie che dagli avvocati, trattamenti
detentivi ad hoc, ne sono esempio.
Anche le nostre condizioni di detenuti agli arresti domiciliari sono
caratterizzate da una serie di limitazioni e divieti tali da riprodurre
una gravosa situazione di isolamento volta a creare divisione sia tra
noi imputati, che tra noi e la rete di solidarietà che si è sviluppata
fuori.
Ci riferiamo al divieto di comunicare che ci impone un isolamento in
casa da oltre un anno, come se fossimo affetti da una malattia
contagiosa che invece non è altro che l’essere comunisti.
Questo è reso ancora più paradossale dal fatto che durante la nostra
detenzione in carcere potevamo scrivere e comunicare tramite posta con
chiunque.
Riteniamo che questo sia lesivo anche del nostro diritto di difesa
perchè il confronto e il dibattito tra noi imputati ne è parte
integrante; se da oltre un anno ci troviamo in questa condizione non è
certo per una presunta pericolosità sociale, ma per un motivo ben
preciso che è la nostra identità politica e internità nel movimento,
nelle università, nelle lotte popolari e dei lavoratori, in difesa del
diritto allo studio e contro le missioni militari.
Nello stesso contesto rientra il continuo divieto di riprendere
l’attività lavorativa che ci permetterebbe di non gravare ulteriormente
sui nostri familiari e conviventi.
Così anche il regolare impiego della scorta per qualunque spostamento,
dalla visita medica, agli esami universitari, alle udienze (fino ad
oggi abbiamo percorso più di 22.000 km scortati).
Le restrizioni a cui siamo costretti si inseriscono in un quadro
repressivo nato dalla crisi economica e strutturale del sistema
capitalista, che vede i lavoratori e le loro famiglie in condizioni
sempre più precarie, mentre le città vengono militarizzate, le
aggressioni fasciste e razziste aumentano di continuo fomentate dalla
politica reazionaria e di intolleranza promossa dallo Stato.
Il clima in cui si svolge questo processo non può essere ignorato in
quanto il suo carattere politico è funzionale alle politiche repressive
di questa società, e da questo ne derivano tutte le vessazioni e
soprusi a cui vengono sottoposti tutti gli imputati di questo processo.

Federico Salotto,
Alfredo Mazzamauro,
Michele Magon,
Amarilli Caprio,
Alessandro Toschi.

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