MASSACRATO DI BOTTE A VARESE.IL CASO UVA

MILANO – Un ragazzo che chiama il 118 per chiedere
un’ambulanza mentre sente le urla del suo amico nella stanza
accanto, all’interno della caserma dei carabinieri di Varese. "Lo
stanno massacrando" dice a bassa voce. Una "anomala presenza di
carabinieri e poliziotti in quella caserma di via Saffi, dove per
tre ore il fermato subisce violenze sistematiche e ininterrotte".
Gli indumenti sporchi di sangue, le ecchimosi sul volto e su altre
parti del corpo, le macchie rosse tra pube e ano. Il ricovero in
ospedale alle 5 del mattino con la "somministrazione di medicinali
incompatibili con lo stato di ubriachezza dell’uomo".

Dopo aver reso pubblico il caso di Stefano Cucchi, la denuncia di
Luigi Manconi, presidente di "A buon diritto" ed ex sottosegretario
alla Giustizia, tenta di far luce sulla storia di Giuseppe Uva, 43
anni, fermato ubriaco alle 3 del mattino il 14 giugno 2008, a
Varese. Lui e un suo amico, Alberto B., vengono portati in caserma.
Qui Uva, ha ricostruito Manconi, "resta in balìa di una decina di
uomini tra carabinieri e poliziotti all’interno della caserma di
via Saffi". Il suo amico, nella stanza accanto, sente due ore di
urla incessanti, chiama il 118 per far arrivare un’ambulanza.
"Stanno massacrando un ragazzo" sussurra all’operatore del 118, che
chiama subito dopo in caserma e chiede se deve inviare davvero
l’autoambulanza. "No guardi, sono due ubriachi che abbiamo qui –
risponde un militare – ora gli togliamo i cellulari. Se abbiamo
bisogno vi chiamiamo noi".

Ma è invece alle 5 del mattino che da via Saffi parte la richiesta
di un Trattamento sanitario obbligatorio per Uva. Trasportato al
pronto soccorso, viene poi trasferito al reparto psichiatrico
dell’ospedale di Circolo, mentre il suo amico viene lasciato
andare. Sono le 8.30. Poco dopo due medici – gli unici indagati
dell’intera storia – gli somministrano sedativi e psicofarmaci che
ne provocano il decesso, perché sarebbero incompatibili con l’alcol
bevuto durante la notte.

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"Un caso limpido di diritti violati nell’indifferenza più totale –
denuncia ora Luigi Manconi – . Infatti, per quanto accaduto
all’interno della caserma si sta procedendo ancora contro ignoti".
"Al di là dei primi interrogatori nei giorni successivi di
poliziotti e carabinieri, non è stato più sentito nessuno" denuncia
l’avvocato Fabio Anselmo, lo stesso che ha squarciato il velo di
omertà nelle istituzioni su altri casi di violenze di appartenenti
alle forze dell’ordine, come quelli di Federico Aldrovandi e
Stefano Cucchi.

Anche nella storia di Giuseppe Uva e nella sua ultima notte di
vita, c’è ancora molto da chiarire. Gli interrogativi dei suoi
parenti sono ancora tanti: perché in una caserma si riuniscono
carabinieri e poliziotti? Come si spiegano le ferite e i lividi sul
volto, il sangue sui vestiti, la macchia rossa tra pube e regione
anale? Perché l’autopsia non ha previsto esami radiologici per
evidenziare eventuali fratture? "Sono passati quasi due anni e non
abbiamo avuto ancora giustizia – dice in lacrime Lucia Uva, sorella
di Giuseppe – . Non sappiamo ancora perché nostro fratello è morto:
se per le botte o per i farmaci somministrati in ospedale.
Aspettiamo che un giorno qualcuno dica la verità".

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