L’aquila.
7 Marzo 2010.
Sembrava un abbraccio di luce e calore intorno
al centro storico dell’Aquila innevato e che silenzioso si sgretola, le
migliaia di fiaccole che sabato pomeriggio hanno attraversato
silenziose la città terremotata e transennata.
Un’iniziativa nata per ricordare i morti di illegalità, a L’Aquila e in
tutta Italia. Primo atto di un fine settimana all’insegna della
partecipazione, come hanno dimostrato le migliaia di aquilani con
secchi, pale e carriole, il vero popolo del fare e non delle
chiacchiere, che la mattina seguente sono tornati in Piazza Palazzo per
rimuovere le macerie che ancora ingombrano la città.
Sabato sera a dar vita ad un suggestivo serpentone luminoso c’erano gli
aquilani dimenticati nei garage e negli alberghi a quasi un anno dal
sisma, i familiari e amici delle vittime dei crolli e del mancato
allarme alla casa dello studente, nelle catapecchie affittate a
carissimo prezzo in centro agli studenti fuori-sede, e poi crollate la
notte del sei aprile, come anche sotto gli antichi solai del convitto
nazionale, dove hanno trovato la morte tre ragazzi, di cui due
stranieri, in viaggio premio a L’Aquila. Qualcuno, nonostante mesi di
scosse ha dimenticato in un cassetto gli studi pagati dalla della
Protezione civile del 2004, dove appunto si attestava che un’intera ala
del palazzo era pressoché pericolante. C’erano anche i parenti delle
vittime della sciagura ferroviaria di Viareggio, 32 morti, zero
indagati, partita truccata.
E poi ancora una delegazione arrivata da Giampilieri, il paese
siciliano devastato da una frana e ancor prima da chi aveva fatto carta
straccia dei piani regolatori in cambio di voti e mazzette. L’ultima
catastrofe da apertura di tg, di una lunga serie a venire nel format di
un Paese al 70 per cento a rischio idrogeologico e dove la Protezione
civile, impegnata ad organizzare regate e convegni, a costruire Hotel a
cinque stelle sulle isole e quartieri popolari di campagna per i
terremotati, interviene tempestivamente ma rigorosamente a catastrofe
avvenuta.
C’erano le madri di Plaza de Mayo, donne fiere e coraggiose che con la
forza del ricordo hanno sfidato un regime; c’erano le Agende rosse che
tenendo viva la memoria e la lotta di Paolo Borsellino, contrastano i
regimi mafiosi di casa nostra, e poi i genitori dei ragazzi morti alla
scuola di san Giuliano di Puglia, in Molise, vittime anche loro di un
terremoto, ma anche di chi in questi anni ha investito molto in grandi
opere, poco o nulla per rendere sicuri gli edifici scolastici.
C’era insomma a L’Aquila un’internazionale della memoria e della
catastrofe, in una città che deve ricomporsi, come un mosaico le cui
tessere sono esplose, sforzandosi di ricordare il disegno originale
andato perduto.
Quelle fiammelle chiedevano giustizia, per un reato che non ha un solo
colpevole, ma una responsabilità collettiva in un Paese che affonda
nella gelatina dell’oblio. Il 6 marzo a L’Aquila. Il giorno giusto per
ricordare anche le parole dimenticate.
La memoria breve del pesciolino rosso e le parole dimenticate
L’Aquila, qualche giorno prima del 6 aprile 2009 – A casa di un mio
amico, osservando un pesciolino rosso dentro una boccia di vetro sopra
il davanzale, mi chiedevo spesso: «Ma non si annoierà, poverino, a
girare in tondo tutto il tempo dentro quella piccola sfera?».
No, non si annoiava, perché ho poi scoperto che i pesciolini rossi sono
dotati di memoria molto breve, e ciò costituisce il segreto della loro
piccola e incrollabile felicità. Il mondo di acqua e luce dentro la
sfera di vetro, grazie alla loro capacità di dimenticare, deve
apparirgli ogni giorno come un luogo delle meraviglie. Lo stesso
identico mangime, allo smemorato pesciolino, ogni volta deve sembrare
una prelibatezza mai assaporata prima, degna del re di tutti i mari.
Anche noi umani post-contemporanei, spiegano gli scienziati, stiamo
sviluppando una sempre più pronunciata memoria breve.
Come faremmo del resto ascoltare senza prendere a morsi il divano, ad
ogni campagna elettorale, da parte degli stessi politici, sempre le
stesse roboanti promesse e i mirabolanti impegni, che loro
dimenticheranno di mantenere, e noi ci saremo scordati di pretendere
prima di rivotarli? Come potremmo vedere nel piccolo schermo, da anni
tutte le sere, senza provare a ingurgitare per autolesionismo il
telecomando, sempre le stesse facce, le stesse stupidaggini, le stesse
bugie, o gli stessi stucchevoli giri di DO al Festival di Sanremo, da
Nilla Pizzi al principe Emanuele Filiberto?
L’oblio, la capacità di resettare in continuazione la nostra scatola
cranica, è insomma un meccanismo che preserva la salute mentale e la
serenità in un eterno ritornello dell’uguale.
L’oblio può anche uccidere, come è avvenuto anche a L’Aquila. Per
rendersene conto basta navigare in un archivio di notizie di qualche
quotidiano on-line locale. Inserendo, tanto per cominciare, parole ed
espressioni come «terremoto», «zona sismica», «faglia», «norme
antisismiche», «prevenzione sismica». Ebbene, non sfuggirà che esse
compaiono quasi tutte in pagine pubblicate dopo il 6 aprile 2009.
Prima dell’autunno del 2008, queste parole diventano poi rare come la
rosa di Atacama o l’asino albino, e le troviamo più che altro in
espressioni metaforiche, come ad esempio «terremoto politico», oppure
incastonate in frasi come «sisma giudiziario travolge la giunta».
Più frequenti, nei mesi precedenti il terremoto che ha creato
distruzione e morte a L’Aquila, l’espressione «sciame sismico», quasi
sempre associata a «niente allarmismi», «normale e progressivo rilascio
di energia», «tutto sotto controllo», «fase di assestamento»,
«procurato allarme», «I terremoti non sono prevedibili», e a nomi
propri come «Enzo Boschi», «Franco Barberi», «Guido Bertolaso».
Praticamente sconosciute alla comunità dei parlanti prima del 6 aprile,
erano parole oggi a L’Aquila frequentatissime e di uso comune come
«tamponature», «cemento armato», «staffe», «pilastri», «casa
antisismica», «micro-zonazione», «carotaggio», «indagini
geo-strutturali». Queste semplici constatazioni, rese possibili dalla
consultazione di un archivio di notizie e parole, suggeriscono alcune
riflessioni.
Tanto per cominciare a L’Aquila avevamo dimenticato di vivere in una
terra ad altissimo rischio sismico, con interi quartieri costruiti
sopra le faglie e in suoli che amplificano le onde telluriche. Ci
eravamo dimenticati l’antica saggezza che consente di interpretare i
segni di avvertimento che sempre la natura lancia prima di ogni
catastrofe. Avevamo dimenticato chi e come aveva costruito la nostra
casa, con quali materiali, con quali precauzioni. Per anni avevamo
gettato in qualche angolo dimenticato della nostra memoria, come
inutili cianfrusaglie, parole che ci avrebbero consentito di prendere
coscienza e di comunicare un rischio terribile e altamente probabile.
Eravamo invece pronti a censurare ogni parola e ogni pensiero profeta
di sventura, che minacciava la nostra instabile serenità, il nostro
irresponsabile benessere. Anche noi forse eravamo come quel pesciolino
rosso sul davanzale a casa del mio amico. A girare in tondo in un beato
e spensierato oblio. Nell’illusione che la sfera di vetro che ci
ospitava, fosse eterna ed infrangibile.