Autobiografia di un diverso( parte seconda)

 

il terzo capitolo del romanzo contro per i compagni, sul movimento, sulla vita reale di chi si sbatte il culo per cambiare questo fottutissimo mondo.. 

 

DUE

 

Lo stava
seguendo. Praticamente lo stava pedinando. Ma che fai? Ma sei diventato tutto
scemo? Ti metti a seguire le persone ora? Ma tornate a casa e stai li
tranquillo! No, no. Devo seguirlo. Devo vedere dove và. Guarda, guarda come
cammina, come è veloce. Che camminata, a testa bassa, sembra un fantasma. Nulla
lo smuove, non fa caso a nulla, non osserva nulla. Alex era a una cinquantina
di metri da lui. Riusciva benissimo a distinguere i suoi gesti, le sue mosse. E
fotografava nella sua testa ogni suo piccolo movimento, ogni suo passo. Scesero
viale Bovio, superarono Piazza Garibaldi, entrarono nel Corso principale di
Terra. C’era tantissima gente che passeggiava. Riccardo affrettò il passo. Si
confuse tra le centinaia di persone che camminavano. Schiamazzi, risate, grida,
abbracci, baci e sorrisi. Riccardo si perse tra tutte quelle teste. Dov’e’?non
lo vedo! Iniziò a balzare qua e là come se fosse un coniglio. Corse per un po’.
Si ribloccò. Si alzava ogni secondo sulle punte per scovarlo. Eccolo! Girò ad
una traversa del corso. L’aveva finalmente rivisto. Corse fino a esserli
nemmeno a dieci metri da lui. Si dirigeva verso Porta Madonna, ma passando per
i vicoli della cittadina. Alex sorrideva. Era felice. Sembrava che stesse
vivendo un avventura. Ancora in un altro vicolo. Girò anche Alex.
Dov’era?Riccardo? sparito. Non lo vedeva più. Dopo il vicolo era scomparso. Ma
come poteva essere?non era possibile. L’aveva a pochi metri di distanza.”
Circolo culturale anarchico Horst Fantazzini”. Un portone grande e vecchio con
rifiniture in tipico stile barocco. Forse era entrato lì dentro. Il portone era
aperto. Salì quelle scale e il cuore iniziò a batterli in gola. Sentiva le
minuscole goccioline di sudore che gli si formavano sulle tempie, il respiro
che si faceva leggermente più affannoso, le pupille degli occhi si ingrossavano
sempre di più per via del buio pesto che c’era in quelle rampe di scale. Primo
piano. Riconobbe la sua voce. Là dentro c’era Riccardo. E c’erano anche tante
altre persone. Voci distinte di uomini e donne che parlavano in modo pacato, in
una discussione che non riusciva a comprendere. Appoggiò lentamente l’orecchio
su quella porta. Cercò di sentire quello che dicevano. Puum! Perse l’equilibrio, inciampò e si ritrovò dentro quel locale.

-Vieni pure
Alex, accomodati,-disse tranquillo Riccardo- questo compagni è il mio nuovo
coinquilino, è di Sud.

Non sapeva cosa
fare. Titubante e impaurito, si raccolse nel suo corpicino e rimase immobile in
piedi. Ma come faceva a sapere che ero lì? Perché non si era arrabbiato che lo
stavo spiando? E ora che faccio? Che vergogna? Guarda quanta gente! Alex
abbassò la testa.

-Ciao a tutti-.
Fu l’unica cosa che gli venne in mente da dire.

Si sentì
stupido. Ma che dici “ciao a tutti”. Ma sei deficiente? Ma che vuol dire?
Scusati almeno no? Riccardo si alzò tranquillamente dal tavolo, andò verso di
lui, lo prese dolcemente per una mano e lo portò attorno al grande tavolo dove
tutti attorno erano seduti.

-Accomodati
pure qui- e lo fece sedere spingendolo su una sedia. Attorno a lui c’era un
silenzio di tomba. Tutti lo guardavano. Prima del suo arrivo c’era in atto una
discussione. Ora si era creata un atmosfera alquanto bizzarra. Una quindicina
di persone lo fissava, lui aveva la testa bassa, seduto con Riccardo in piedi
al suo fianco. I nuvoli di fumo delle sigarette accese, il silenzio assordante
della camera, la forma statica delle persone fisse verso Alex. Non avrebbe
resistito ancora molto in questa situazione.

-Beh, Elisa,
stavi appunto dicendo del percorso. Come mai non vuoi che passiamo davanti la
questura?-Riccardo si sedette finalmente.

Passarono due
secondi e come per magia la discussione si riaccese, come se non fosse successo
nulla.

-No Ricki, non
è che sono contraria. Il problema è che ci saranno migliaia di compagni. È
logico che tra questi migliaia, ci potrebbe essere qualcuno che lì davanti
potrebbe fare sciocchezze. Che so, lanciare oggetti o urlare slogan troppo
forti. Ci siamo capiti no?-

-Continuo a no
vedere il problema-rispose Riccardo, con l’aria un po’ annoiata.

Prese la parola
un altro ragazzo, seduto esattamente di fronte ad Alex.

-Forse qui non
ci siamo capiti, compagni. Tra 4 mesi c’è Jenova, il G8, e ci stiamo preparando
per partecipare attivamente. Ma una settimana fa, una guardia, una lurida
guardia ha fatto finire in coma un ragazzo di 17 anni, un nostro compagno, un
nostro fratello. Ci rendiamo conto della situazione? Mario, stava manifestando
pacificamente a Nammoli. Tranquillo com’era. Manifestazione pre Jenova per i
migranti. E finisce in coma perché una guardia lo manganella talmente tante
volte sulla testa da farlo finire in ospedale con una commozione celebrale. E
tutto questo 4 mesi prima del g8. come a dire: Attenti che a Jenova sarà ancora
più dura per voi noglobal del cazzo. E no, Elisa. Io non ci sto. Questa ti pare
democrazia? E cosa è allora? Io propongo non solo di passare davanti alla
questura, ma di rimanerci pure li davanti e leggere la lettera della madre di
Mario. E se parte qualcosa contro quell’edificio, io certamente non starò lì ad
applaudire quel gesto, ma sicuramente non avrò nemmeno il coraggio di dire ai
compagni che non devono lanciare nulla. E questo è quanto!-

Alcuni ragazzi
applaudirono.

-Ma che cazzo
dici, Ste. E questa è la risposta non violenta del movimento? Questo lo chiami
pacifismo? Se ora quel ragazzo fosse qui con noi sicuramente non sarebbe
d’accordo su questa scelta. Ricordiamoci che non dobbiamo mai rispondere alle
provocazioni, altrimenti facciamo il loro sporco gioco-

 Si alzò Riccardo.

-E tu cosa ne
pensi Alex?-

Aveva chiamato
me? O madonna santa,e ora che dico? Che figura faccio! Non aveva mai
partecipato a riunioni politiche, non parlava la loro lingua. Si trovava
spaesato. Certo le sue idee le aveva sempre portate avanti, a scuola, con le
occupazioni, le autogestioni, ma non si era mai schierato, non aveva mai parlato
il politichese, non conosceva nulla di quel mondo. Non aveva tessere di
partito, non frequentava associazioni. Non conosceva nemmeno quel G8. cioè, ne
aveva sentito parlare, in modo molto marginale, s’era fatto la propria idea, ma
non l’aveva mai esposta a nessuno. Riccardo lo fissava, come per incalzarlo a
parlare. Alex allora si alzò in piedi.

-Beh, se ho
capito bene, un ragazzo durante una manifestazione è stato ferito..-

-No cazzo,
Mario è in coma, non è stato ferito e quei..- interruppe Stefano.

-Ma fallo
parlare- esclamò Riccardo fulminando Stefano con gli occhi. -Continua pure Alex-

-Dicevo,-riprese-che
un ragazzo è in coma per via di un poliziotto. E che tra 4 mesi c’è il G8 a
Jenova. E voi state organizzando una manifestazione qui a Terra, contro le
repressione, per questo ragazzo e per prepararvi al G8.Giusto?”

-Perspicace il
ragazzo, ci sei arrivato! Mah.. questi di Sud sono tutti così? Sentenziò Elisa.

Alex riprese a
parlare emozionato.

-Credo che la
polizia sia di per sé un organo istituzionale che non funziona, un controllo
che non serve. O meglio, serve ora, in questa società malata. Ma se tra gli
uomini ci fosse tolleranza e fratellanza, beh, la polizia sarebbe inutile. Chi
controllare se tra le persone regna la buonafede? Comunque il controllo statale
sulle persone che la pensano diversamente è effettivamente qualcosa di
mostrosuamente nocivo alla democrazia. Questa per andare avanti ha bisogno di
avere persone che pensino con la propria testa, di persone differenti, di
persone con opinioni. E se si cerca di limitare il loro pensiero, di spianare
la loro diversità e di delimitare la loro azione, beh la cosiddetta democrazia
non esisterebbe più. Detto questo, credo che il miglior modo di protesta, anche
pacifica, su questa situazione sia fare un semplice corteo. Un corteo normale.
Che passi per il centro della città. Che parli con le persone ai lati della
strada. Che faccia capire perché si è contro questo G8. Magari con volantini,
ma scritti in una maniera semplice, non con tutte le solite parole auliche che
ho sempre letto sui volantini politici. Magari anche parlando con i signori che
ci osservano. Poi magari creare un cordone autorganizzato di persone che
distanzi il più possibile la polizia dal resto dei manifestanti, per avere più
agibilità. E ad un certo punto del corteo, deviare dal percorso stabilito con
la questura e dirigersi verso la prefettura o la questura stessa. Ovviamente
tutti dovranno seguire il camion che apre il corteo. Una volta arrivati davanti
la prefettura, beh sarebbe bello entrare tutti in massa, in modo pacifico, e
lanciare da dentro la segreteria del prefetto un comunicato ai giornali e alla
città, spiegare il motivo di quella occupazione simbolica e di leggere davanti
al prefetto questa famosa lettera della madre del ragazzo in coma. Penso che
noi potremmo fare così. Il bastone tra le loro ruote.-

Si sedette. Non
era soddisfatto delle cose che aveva detto e abbassò la testa in segno di resa.

-Bello!!

-Si si, si può
fare!

-Bella pensata.

-Grande sto
ragazzino!

Alex alzò la
testa. Le persone attorno a quel tavolo iniziarono a parlare, a discutere di
quello che aveva detto. Tutti sembrarono entusiasti. E lui, non poteva
crederci. Forse non aveva detto delle cretinate, forse a qualcuno piaceva ciò
che pensava, lo ascoltavano, non era un numero, non era zero. Riccardo voltò la
testa verso il suo coinquilino

-Ottima idea
Alex. Allora compagni, pensate tutti a come mettere in pratica l’idea di Alex e
domani alla stessa ora ci vediamo qui e ne discutiamo assieme. A domani allora.
Quelli del circolo invece restano qui che dobbiamo parlare di un'altra
questione. –

Quasi tutti si
alzarono. Salutarono con un abbraccio Riccardo. Evidentemente avevano un gran
rispetto per lui. Si vedeva da come gli parlavano, da come facevano quasi la
fila per salutarlo. Rimasero seduti solo in sei. “ Ok,Riccardo, vado allora. Ci
vediamo a casa”. “ ma dove vai?tu resti qui. Dobbiamo parlare” e gli fede segno
di sedersi.  Spaesato e incredulo,
ubbidì.Tutti uscirono dal locale. Rimasero Riccardo, Alex, Alessia, Stefano,
Francesca, Roberto, Luigi e Marika.

-Ricki, ma non
è meglio che esce anche lui?- disse quest’ultima.

-No, voglio che
ascolti per bene!-disse Riccardo-allora tralasciando per ora il discorso corteo
di sabato prossimo, vi comunico ufficialmente che abbiamo individuato un posto.
Persino in centro.

-Davvero?Da
paura

-Dove Ricki?-
tutti si chiesero.

-Allora avete
presente l’Ipercoop? Beh dietro c’e una vecchia cascina. E’ abbandonata. Al
catasto risulta di essere di un tale che è emigrato in Svizzera. Ieri siamo
andati a vederla con  compagni del
collettivo SenzaConfini ed è in ottime condizioni. C’è solo da ripulirla e
attaccare la corrente.

-Dai, e che
aspettiamo allora?

Alex stava ad
ascoltare. In silenzio. Ma stavolta non più con la testa bassa. Aveva
conquistato un po’ di fiducia. Allora prese ancora un po’ più di coraggio e interruppe
le loro discussioni.

-Scusate
ragazzi, cosa è questo posto?Cioè non capisco.

 Di nuovo si sentì osservato. Tutti smisero di
parlottare. Lo iniziarono di nuovo a fissare. Servì ancora un uscita di
Riccardo per riportare tutto alla normalità.

-Hai ragione
Alex. Scusami. E’ colpa mia. Prima ti invito alle nostre discussioni e poi non
mi spiego bene-

Alex pensò che
in realtà non l’aveva invitato lui.

E’ da troppo
tempo che siamo in cerca di un posto da occupare. Finalmente pensiamo di averlo
trovato.-

Un posto da
occupare?occupare per cosa?perchè? queste domande non le fece però. Stavolta se
ne stette in silenzio.

-Sei dei
nostri, vero?-sentenziò Luigi.

-Ma certo che è
dei nostri, vero Alex?-gli chiese Riccardo.

Alex nascondeva
un certo imbarazzo.

-Eh, eh.. si si
si! Certo. Come no. Ovvio.-Ma che sto dicendo?sono con loro? Ma in cosa?uffa
non c sto capendo nulla! Occupare un posto. Ma che vuol dire!?

-Perfetto
Compagni. Domani dopo la riunione con gli altri, non prendete impegni. Domani
notte si occupa.

Si levò un
grido di gioia corale. Tutti si abbracciarono

-E vai!

-Si!

-Finalmente!

Per non essere
da meno anche Alex esultò.

-Che bello si
occupa!-disse. Ma fu l’unica voce stonata. E si ritirò un po’.

Ma la gioia e
la felicità in quelle quattro mura era troppa. E nessuno se ne rese  conto più di tanto. Nell’aria colma di fumo
di sigaretta, si sentiva l’odore denso di emozione. Quella sera l’emozione
aveva un profumo. Sapeva di quei sette ragazzi. Sapeva di misticità e di
allegria. E anche Alex né fu trasportato.

Tornando a casa
quella sera i due non si parlarono. Non c’era bisogno. Capivano che stava
nascendo qualcosa tra di loro. E le parole non avevano senso in quei momenti.
Quando furono dentro casa Riccardo prese la mano di Alex.

-Tu sei come
me. Sei un anarchico. Buonanotte. A domani.

Alex si sentì
per svenire. Troppe emozioni, troppe quel giorno. Tutte assieme, poi. Troppi
cambiamenti nella sua vita. Tutti concentrati. Entrò barcollando nella sua
camera. Si spogliò e si mise a letto. Spense la luce.

-Io, io sono
anarchico!

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One Response to Autobiografia di un diverso( parte seconda)

  1. liaisicinue says:

    Make peace, not war!

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