SUL PROCESSO ALL”OCCUPAZIONE DEI BINARI A TRENTO

 


Il 17 gennaio scorso ho occupato, assieme a più di cento persone, i
binari della stazione di Trento. È stata una risposta di solidarietà
con la lotta di Vicenza contro la costruzione della nuova base militare
USA. Qualche giorno prima, infatti, in seguito al “Sì” dichiarato da
Prodi alla base Dal Molin, centinaia di vicentini avevano bloccato la
stazione ferroviaria della città palladiana.
Per la nostra azione solidale, il 30 novembre saremo processati in una decina dal tribunale di Trento.

Ho occupato i binari, e sono pronto a rifarlo.
Di
fronte alla costruzione di basi militari – strumenti logistici
necessari ai massacri democratici che continuano ad insanguinare il
pianeta – non possiamo rimanere indifferenti. Essere contro la guerra,
per me, significa battersi concretamente contro ciò che la rende
possibile.
La scelta di occupare i binari non deriva solo dal fatto
che sulla linea del Brennero sono transitati e transitano mezzi e armi
per la guerra. Da sempre, e in particolare negli ultimi anni, il blocco
della circolazione di merci e persone è una forma di lotta assai
diffusa. Il senso dei blocchi per me è anche questo: spezzare quella
normalità della catastrofe che ci rende disumani. Quando si bombarda in
nostro nome, quando si acquistano caccaiabombardieri progettati per
trasportare bombe atomiche (come gli F-35), quando si costruiscono
nuove basi della morte, bisogna fermarsi, riflettere, amare, lottare.
Perché la catastrofe è proprio che tutto continui così.
Quel giorno
in stazione eravamo in diversi con le bandiere NO TAV/KEIN BBT perché
la battaglia contro le nocività ambientali è tutt’uno con quella contro
la guerra permanente. Non a caso il giorno prima ottocento valsusini
avevano bloccato la stazione di Bussoleno. È ormai l’intero sistema a
correre ad alta velocità verso il collasso ecologico e sociale.
Realizzare
la rottura, abitare il blocco: ecco la condizione paradossale in cui è
sempre più necessario che impari a vivere chi non vuol continuare a
farlo a spese di milioni di suoi simili.
Due parole sul processo, infine.
Mi
sono sempre chiesto se un’azione fosse giusta o sbagliata, mai se fosse
legale o illegale. La guerra è legale. Lo sfruttamento dei lavoratori è
legale. La devastazione ambientale è legale. La discriminazione
razzista è legale. In questi tempi di coscienze disintegrate, sarà il
caso di ricordare che l’etica non ha niente a che fare con il codice
penale. Così, se mi decido ad occupare dei binari, la mia
preoccupazione è eventualmente il disagio che provoco ai pendolari, non
certo l’infrazione di una legge.
“E se tutti facessero così?” – dirà
qualcuno. Spero che altri ribelli sconosciuti blocchino il treno su cui
io stesso salirò domani. Risponderò con un sorriso, e mi unirò a loro.

Rovereto, 23 novembre 2007
Massimo Passamani

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