INDETTO PRESIDIO ANTIRAZZISTA

Domenica 17 febbraio,
piazza Rebaudengo. Alcuni antirazzisti decidono di salutare – a modo
loro – un gruppo di leghisti in partenza per una manifestazione. Al
primo momento di tensione, la polizia di scorta salta addosso agli
antirazzisti e ne arresta tre. Ad una settimana di distanza, uno è
ancora in carcere e gli altri liberi, ma costretti a firmare tutti i
giorni in questura.

Negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli attacchi a sfondo
razziale. Insulti e aggressioni ai danni di stranieri stanno diventando
episodi comuni nel paesaggio cittadino. Un giorno semplici minacce, il
giorno dopo una testa rotta, e poi ancora il rogo di un campo Rom:
così, come se fosse normale.
La propaganda dei gruppi leghisti o fascisti – ritenuta da molti
marginale e folkloristica – sta facendo presa, trasformandosi in
pratica diffusa e pericolosa.
Il tumore razzista produce metastasi, che rischiano di divenire incontrollabili.
Del resto, quando si fatica ad arrivare alla fine del mese, quando non
ci si sente più a casa da nessuna parte, quando non si capisce bene
cosa ci possa riservare il futuro, la propaganda razzista fornisce
rassicurazioni a buon prezzo: la colpa di tutto è sempre degli ultimi
arrivati, «che rubano donne, lavoro e sicurezza».
E mentre si scalda la guerra tra i poveri, i padroni ingrassano. Perché
le paranoie razziste e quelle securitarie rimettono in riga tutti
quegli stranieri – clandestini o regolari che siano – costretti a
lavorare in condizioni di semi-schiavitù nei cantieri, nelle fabbriche,
nelle case e per le strade della città. Le aggressioni di questi mesi,
unite alle continue retate, allo spettro della clandestinità, ai titoli
isterici dei giornali, alle politiche repressive degli amministratori
comunali, convincono anche i più riottosi a lavorare duro e,
soprattutto, in silenzio.
In tanti si dividono la responsabilità di questa situazione, oppure ne
approfittano: politici di destra e di sinistra, questori e prefetti,
industriali, malavitosi e piccoli imprenditori – italiani e stranieri.

Fermare il tumore razzista in città è urgente e necessario. E la
prima cosa da fare per fermarlo è tappare la bocca a tutti quei gruppi
che hanno fatto del razzismo il proprio cavallo di battaglia, il centro
della propria propaganda.
Se i discorsi razzisti non sono più solo parole al vento, neanche i
sinceri antirazzisti possono più limitarsi alle chiacchiere.

Sabato 23 febbraio dalle 11,30
Piazza Borgo Dora – Torino

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