Quelli della Diaz: le verità negate…La notte nera della democrazia

Quelli della Diaz: le verità negate La notte nera della democrazia

UNO STATO che vessa e maltratta le persone private della libertà
non è uno Stato democratico. Una polizia che usa la forza non
per impedire reati, ma per commetterne, non può essere
considerata "forza dell’ordine". Fatti di questo genere distruggono la
credibilità delle istituzioni più di tanti insuccessi dei
poteri pubblici". Valerio Onida, giudice emerito della Corte Costituzionale. Sono
parole che bisogna tenere a mente ora che il processo per le violenze
della polizia nella scuola "Diaz", durante i giorni del G8 di Genova,
è prossimo alla sentenza.

* * *

Il 21 luglio del 2001 è il giorno più tragico del G8 di
Genova. È morto Carlo Giuliani in piazza Alimonda in una
città distrutta dai black bloc ? che riescono inspiegabilmente a
colpire indisturbati e a dileguarsi senza patemi. Per tutto il giorno,
Genova è insanguinata dai pestaggi della polizia, dei
carabinieri, dei "gruppi scelti" della guardia di finanza contro
cittadini inermi, donne, ragazzi, anche anziani, spesso con le braccia
alzate verso il cielo e sulla bocca un sorriso.

Ora, più o meno, è mezzanotte. Mark Covell, 33 anni,
inglese, giornalista di Indymedia.uk,
ozia davanti al cancello della scuola Diaz, diventato un dormitorio
dopo che i campeggi sono stati abbandonati per la pioggia. Covell si
accorge che la polizia sta "chiudendo" la strada. Avverte subito il
pericolo. Estrae l’accredito stampa, lo mostra, lo agita. I poliziotti,
che lo raggiungono per primi (sono della Celere, del VII nucleo
antisommossa del Reparto Mobile di Roma), lo colpiscono con i "tonfa" o
"telescopic baton", più che un manganello un’arma tradizionale
delle arti marziali: rigido e non di caucciù, a forma di croce:
"può uccidere", se ne vanta chi lo usa. Colpiscono Mark senza
motivo. Come, senza ragione, un altro poliziotto con lo scudo lo
schiaccia ? subito dopo ? contro il cancello mentre un altro, come un
indemoniato, lo picchia alle costole. Gli gridano in inglese: "You are black bloc, we kill black bloc" ("Tu sei un black, noi ti uccidiamo").

Covell cade finalmente a terra. E’ semisvenuto, in posizione fetale.
Potrebbe bastare anche se fosse un incubo, ma per Mark il calvario non
è ancora finito. Tutti i "celerini" che corrono verso la scuola
lo colpiscono a terra con calci (il pestaggio di Covell è
ripreso da una videocamera). Covell rimarrà, esanime, circondato
dall’indifferenza, in quell’angolo di via Cesare Battisti, al quartiere
di Albaro, per oltre venti minuti. Ha una grave emorragia interna, un
polmone perforato, il polso spezzato, otto fratture alle costole, dieci
denti in meno. Quando si sveglia in ospedale, viene arrestato per
resistenza aggravata a pubblico ufficiale, concorso in detenzione di
arma da guerra e associazione a delinquere. (E’ ancora aperta
l’indagine per individuare i poliziotti che lo hanno quasi ucciso.
L’accusa: tentato omicidio).

* * *

Distruggere. Annientare. E’ con questo obiettivo che, dopo aver
abbattuto con un blindato Magnum il cancello, le prime tre squadre del
Reparto Mobile di Roma (trenta uomini) invadono, a testuggine, il
pianoterra della scuola. Arnaldo Cestaro, "un vecchietto", è
sulla destra dell’ingresso. Viene travolto. Lo gettano contro il muro.
Lo picchiano con i "tonfa". Gli spezzano un braccio e una gamba. Ora ci
sono urla e baccano. Nella palestra, ai piani superiori ragazzi e
ragazze – anche chi si è già infilato nel sacco al pelo
per dormire – comprendono che cosa sta accadendo.

Tutti raccolgono le loro cose, il bagaglio leggero che si portano
dietro da giorni. Si sistemano con le spalle al muro; chi in ginocchio;
chi in piedi; tutti con le braccia alzate in segno di resa; chi ha
voglia di un’ultima "provocazione" mostra al più indice e medio
a V. Daniel Mc Quillan, quando vede le divise, si alza in piedi e dice:
"Noi siamo pacifici, niente violenza". "Come se fossero un branco di
cani impazziti, sono su di lui in un istante e lo colpiscono, lo
colpiscono, lo colpiscono?", dicono i testimoni. La furia dei celerini
si scatena contro chiunque e dovunque, irragionevolmente, con furore
(si vede uno che mena colpi con una specie di mazza da baseball).

Melanie Jonach racconterà di essere svenuta subito al primo
colpo che la raggiunge alla testa. Gli altri, che vedono la bastonatura
inflittale, ricordano i suoi occhi aperti ma incrociati, le contrazioni
spastiche del corpo. Anche in queste condizioni, continuano a
picchiarla e a prenderla a calci. Un ultimo calcio sbatte la sua testa
contro un armadio: ora è "aperta" come un melone. Il comandante
del VII nucleo, a quel punto, grida "Basta!". Raggiunge la ragazza. "La
tocca con la punta dello stivale. Melanie non dà segni di vita e
quello ordina che venga chiamata un’autoambulanza". (Melanie Jonach ci
arriverà in codice rosso con una frattura cranica nella regione
temporale sinistra).

Nicola Doherty ancora piange in aula mentre racconta: "Hanno cominciato
a picchiarci immediatamente. C’era gente che piangeva e implorava i
poliziotti di fermarsi. Anch’io piangevo e chiedevo che la smettessero.
Uno mi è venuto vicino e con fare dolce mi ha detto "Poverina!"
e mi ha colpito ancora. Sembrava che ci odiassero. Ho visto un
poliziotto con un coltello in mano, bloccava le ragazze, i ragazzi e
tagliava una ciocca di capelli con il coltello". Voleva il suo
personale trofeo di guerra. Altri continuano a gridare, dopo aver
picchiato duro: "Dì, che sei una merda". Mentre colpiscono
gridano: "Frocio!", "Comunista!", "Volevate scherzare con la polizia?",
"Nessuno sa che siamo qui e ora vi ammazziamo tutti!".

Lena Zulkhe, colpita alle spalle e alla testa, cade subito. Le danno
calci alla schiena, alle gambe, tra le gambe. "Mentre picchiavano, ho
avuto la sensazione che si divertissero". La trascinano per le scale
afferrandola per i capelli e tenendola a faccia in giù.
Continuano a picchiarla mentre cade. La rovesciano quasi di peso verso
il pianoterra. "Non vedevo niente, soltanto macchie nere. Credo di
essere per un attimo svenuta. Ricordo soltanto – ma quanto tempo era
passato? – che sono stata gettata su altre due persone, non si sono
mossi e io gli ho chiesto se erano vivi. Non hanno risposto, sono stata
sdraiata sopra di loro e non riuscivo a muovermi e mi sono accorta che
avevo sangue sulla faccia, il braccio destro era inclinato e non
riuscivo a muoverlo mentre il sinistro si muoveva ma non ero più
in grado di controllarlo. Avevo tantissima paura e pensavo che
sicuramente mi avrebbero ammazzata".

Dei 93 ospiti della "Diaz" arrestati, 82 sono feriti, 63 ricoverati
ospedale (tre, le prognosi riservate), 20 subiscono fratture ossee
(alle mani e alle costole soprattutto, e poi alla mandibola, agli
zigomi, al setto nasale, al cranio).

* * *

Che cosa ha provocato questa violenza rabbiosa e omicida? Come è
stata possibile pensarla, organizzarla, realizzarla. Il 22 luglio, il
portavoce del capo della polizia convoca una conferenza stampa e
distribuisce un breve comunicato che vale la pena di ricordare per
intero: "Anche a seguito di violenze commesse contro pattuglie della
Polizia di Stato nella serata di ieri in via Cesare Battisti, si
è deciso, previa informazione all’autorità giudiziaria,
di procedere a perquisizione della scuola Diaz che ospitava numerosi
giovani tra i quali quelli che avevano bersagliato le pattuglie con
lancio di bottiglie e pietre. Nella scuola Diaz sono stati trovati 92
giovani, in gran parte di nazionalità straniera, dei quali 61
con evidenti e pregresse contusioni e ferite. In vari locali dello
stabile sono stati sequestrati armi, oggetti da offesa ed altro
materiale che ricollegano il gruppo dei giovani in questione ai
disordini e alle violenze scatenate dai Black Bloc a Genova nei giorni
20 e 21. Tutti i 92 giovani sono stati tratti in arresto per
associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio e
detenzione di bottiglie molotov. All’atto dell’irruzione uno degli
occupanti ha colpito con un coltello un agente di Polizia che non ha
riportato lesioni perché protetto da un corpetto. Tutti i feriti
sono stati condotti per le cure in ospedali cittadini". Il portavoce
mostra anche le due molotov che sarebbero state trovate nell’ingresso
della scuola, "nella disponibilità degli occupanti".

* * *

Il processo di Genova ha dimostrato ragionevolmente (e spesso con la
qualità della certezza) che nessuna delle circostanze descritte
dal portavoce del capo della polizia (capo della polizia era all’epoca
Gianni De Gennaro) corrisponde al vero. Quelle accuse sono false,
quelle ragioni sono inventate di sana pianta. Si dice che l’assalto (la
"perquisizione") fu organizzato dopo che un corteo di auto e blindati
della polizia era stato, poco prima della mezzanotte, assalito in via
Cesare Battisti con pietre, bottiglie e bastoni. Il processo ha
dimostrato che non c’è stata nessuna pattuglia aggredita. Si
dice che gli ospiti della Diaz fossero già feriti, quindi
coinvolti negli scontri in città.

Nessuno dei 93 arrestati era ferito prima di essere bastonato dai
"celerini". Poliziotti, comandanti, dirigenti hanno riferito che,
mentre entravano nella scuola, c’è stata contro di loro una
sassaiola e addirittura il lancio di un maglio spaccapietre. I filmati
hanno dimostrato che non fu lanciata alcun sasso e nessun maglio. Il
comandante del Reparto Mobile di Roma ha scritto in un verbale che ci
fu una vigorosa resistenza da parte di "alcuni degli occupanti, armati
di spranghe, bastoni e quant’altro". Assicura che nella scuola (entra
tra i primi) sono stati "abbandonati a terra, numerosi e vari attrezzi
atti ad offendere, tipo bastoni, catene e anche un grosso maglio".

Nella scuola non c’è stata alcuna colluttazione, nessuna
resistenza, soltanto un pestaggio. Nessuno degli occupanti ha tentato
di uccidere con una coltellata il poliziotto Massimo Nucera. Due
perizie dei carabinieri del Ris hanno smentito che lo sbrego nel suo
corpetto possa essere il frutto di una coltellata. Nella scuola non
c’erano molotov. Come ha testimoniato il vicequestore che le ha
sequestrate, quelle due molotov furono ritrovate da lui non nella
scuola la notte del 22 luglio, ma sul lungomare di Corso Italia nel
pomeriggio del giorno precedente. La prova falsa, manipolata, è
stata inspiegabilmente distrutta, durante il processo, nella questura
di Genova.

* * *

In settimana il tribunale deciderà delle responsabilità
personali dei 29 imputati (poliziotti, dirigenti, comandanti, alti
funzionari della polizia di Stato) accusati di falso ideologico, abuso
di ufficio, arresto illegale e calunnia. Quel che qui conta dire
è che la responsabilità non penale, ma tecnico-politica
di chi, impotente a fronteggiare i black bloc, si è abbandonato
(per vendetta? per frustrazione? con quali ordini e di chi?) a pestaggi
ingiustificati e indiscriminati, non può e non deve essere
liquidata da questa sentenza. Centinaia di agenti, sottufficiali,
ufficiali, dirigenti di polizia, funzionari del Dipartimento di
pubblica sicurezza hanno mentito durante le indagini e al processo.

E chi non ha mentito, ha negato, taciuto o dissimulato quel che ha
visto e saputo. Dell’assalto alla "Diaz" non inquieta soltanto il
massacro di 93 cittadini inermi diventati in una notte "criminali" a
cui non si riconosce alcuna garanzia e diritto. Quel che angoscia
è anche questo silenzio arrogante, l’omertà indecorosa
che manipola prove; costruisce a tavolino colpevoli; nasconde le
responsabilità; sfida, senza alcuna lealtà istituzionale,
il potere destinato ad accertare i fatti. Le apprensioni di sette anni
raddoppiano ora che, decreto dopo decreto, si fa avanti un "diritto di
polizia". Il Paese ha bisogno di sapere se il giuramento alla
Costituzione delle forze dell’ordine non sia una impudente finzione.
Perché quel che è accaduto a Mark Covell e ai suoi 92
occasionali compagni di sventura rende chiaro, più di qualsiasi
riflessione, come uno Stato che si presenta nelle vesti di sbirro e
carnefice fa assai presto a diventare uno Stato criminale quando il
dissidente, il non conforme, l’altro diventa un "nemico" da annientare.

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