A Bolzaneto fu tortura. ORA IL DOCUMENTO INTEGRALE

A Bolzaneto fu tortura "ma in Italia non esiste"

Un corridoio della "Bolzaneto"

GENOVA – A
Bolzaneto i detenuti vennero torturati, le testimonianze delle vittime
furono circostanziate e addirittura "prudenti", ma i giudici devono
condannare in base a condotte criminose per delineate, che non possono
essere influenzate dal clima politico. E’ questa in sostanza, e ad una
prima lettura delle 441 pagine, il succo delle motivazioni della
sentenza sul processo di Bolzaneto.

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La sentenza, quest’estate aveva deluso chi si aspettava condanne
esemplari per la vergogna del carcere speciale del G8 bollato come
luogo di torutra da Amnesty international. Il tribunale presieduto da
Renato De Lucchi pronunciò una sentenza di condanna per 15
persone e 30 assoluzioni, comminando pene variabili fra i 5 mesi e i 5
anni. I reati contestati agli imputati, a vario titolo, erano abuso
d’ufficio, violenza privata, falso ideologico, abuso di autorità
nei confronti di detenuti o arrestati, violazione dell’ordinamento
penitenziario e della convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali .

Nelle motivazioni i giudici spiegano che "la mancanza, nel nostro
sistema penale, di uno specifico reato di tortura ha costretto
l’ufficio del pm a circoscrivere le condotte inumane e degradanti (che
avrebbero potuto senza dubbio ricomprendersi nella nozione di tortura
adottata nelle convenzioni internazionali)".

E più avanti sottolineano che "anche in questo processo,
quantunque celebrato in un’atmosfera caratterizzata da forti
contrapposizioni politico-ideologiche sia sui mezzi di informazione che
nell’opinione pubblica, sono stati portati a giudizio non situazioni
ambientali o orientamenti ideologici, bensì, ovviamente, singoli
imputati per specifiche e ben individuate condotte criminose loro
attribuite nei rispettivi capi di imputazione, che costituiscono la via
maestra da cui il giudicante non deve mai deviare, pena la violazione
dell’altro cardine del nostro sistema di garanzie processuali
rappresentato dall’art. 24 della Costituzione".

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