Thyssen, parenti e operai in aula “Ho sentito l’odore di carne bruciata”.SESTA UDIENZA

Drammatica la sesta udienza del processo per la
morte dei sette operai. Ad essere chiamati come testi i parenti
delle vittime e gli operai sopravvissuti. La prima ad essere sentita la
madre di Rosario Rodinò: "Ridatemi mio figlio. Lui mi diceva che
in caso di incidente sarebbero morti tutti". La sorella Concetta:
"Mi hanno tolto la gioia di essere mamma". L’operaio Fabio Simonetta:
"Ho sentito l’odore di carne bruciata
i

Nuova drammatica udienza al processo Thyssen. Ad essere sentiti
come testi nel processo per il rogo che causò la morte di sette
operai i familiari delle vittime e un operaio sopravvissuto che ha
raccontato di aver sentito l’odore di carne bruciata. La prima ad
essere ascoltata è stata la madre di Rosario
Rodinò
. Toccante la sua testimonianza: "Voglio sapere
perché mio figlio è morto. Ho firmato l’accordo con l’azienda ma
rivoglio indietro vivo mio figlio".
"Eravamo orgogliosi – ha poi aggiunto Grazia Cascino – che nostro
figlio fosse andato a lavorare in quella fabbrica, in cui mio
marito ha lavorato per 40 anni. Dal giorno della tragedia invece ci
sentiamo in colpa e non ci sopportiamo nemmeno più tra noi".
"Voglio sapere perchè mio figlio è morto – ha ribadito più volte
Grazia Cascino con la voce rotta dal pianto, rispondendo alle
domande degli avvocati compreso quello delle difesa che le chiedeva
se fosse stata risarcita – L’unica cosa che voglio è che mi ridiate
mio figlio indietro. Sono sempre lì a casa che aspetto di sentire
che con le chiavi apra la porta ed entri". La presidente della
Corte, Maria Iannibelli, le ha rivolto la parola in questo modo:
"Signora, se avessimo questo potere…". "Nell’ultima settimana –
ha continuato Grazia Cascino – Rosario diceva che se fosse
scoppiato qualcosa non si sarebbe salvato nessuno. E lui non si è
salvato". La donna ha anche mostrato ai giudici una foto del
figlio: "Guardate, era con le cugine nel settembre del 2007. Questi
momenti non ci saranno più".

Toccante anche il ricordo di Laura Rodinò,
sorella di Rosario. "Quando è successa la tragedia ero all’ottavo
mese di gravidanza, aspettavo due gemelle e quando sono entrata in
sala parto mi sono imposta di non soffrire, di non gridare perchè
mio fratello aveva sofferto molto di più. Mi hanno tolto la gioia
del diventare mamma". Con disprezzo e rabbia Laura ha inoltre
mostrato agli avvocati della difesa la maglietta con una vecchia
foto di una gita al mare in famiglia in cui c’è anche suo fratello.
Breve l’intervento dell’altra sorella,

Concetta: "Questo Natale come l’hanno passato
quelli che hanno causato la morte di mio fratello? Noi al
cimitero".

Entrambe le sorelle hanno detto che dopo la tragedia i rapporti
in famiglia sono cambiati. "Sono cambiati i rapporti anche con i
miei figli -dice Concetta- e con mio marito bisticcio di continuo",
mentre Laura dice che "la tragedia ha influenzato anche i rapporti
con mio marito, prima facevamo di tutto, ci divertivamo tutti
insieme, adesso non ho più voglia di fare nulla. Lui cerca di
starmi vicino -prosegue- ma io sono scontrosa, arrabbiata, cattiva,
ma non mi sento più cattiva degli assassini di mio fratello che per
me era come un figlio e per colpa loro ci ritroviamo così".


Entrambe le ragazze hanno risposto con un certo nervosismo alla
domanda dell’avvocato della difesa che chiedeva se loro, o i loro
famigliari, avessero ricevuto un risarcimento dall’azienda per la
morte del congiunto "era il minimo che potessero fare", hanno
replicato. Poche le parole di Luigi Santino,
fratello di Bruno Santino: "Nulla è più come prima. negli ultimi
tempi diceva che non c’era più sicurezza. Eravamo sempre
insieme" 


Dopo i familiari è toccato ad alcuni operai presenti quella notte
in fabbrica. Straziante il resconto di Fabio
Simonetta
, che lavorava alla linea 4, quella vicina alla
linea del rogo. "Non si vedeva niente. C’erano fiamme alte fino al
soffitto, fumo. E si sentiva odore di carne bruciata".  "Ho visto –
ha detto – Roberto Scola e Angelo Laurino straziati dalle fiamme,
in uno stato orribile. Scola urlava ‘portatemi via’. Provai a
telefonare all’infermeria, poi cercai di spegnere l’incendio:
afferrai la manichetta di un idrante ma si staccò". Simonetta fu
tra coloro che portò fuori dal locale Scola e Laurino ("urlavano
dal dolore, avevo paura a toccarli, non dimenticherò mai e sono in
preda ai sensi di colpa perchè volevo fare di più") e poi, essendo
rimasto intossicato dal fumo, venne portato a sua volta in
ospedale, dove gli applicarono una maschera d’ossigeno per
un’intera giornata. Quanto alle condizioni di lavoro, Simonetta ha
detto che "c’erano incendi tutti i giorni". "In prima battuta
dovevamo intervenire noi, poi chiamare la squadra di emergenza,
composta da due colleghi".

 

Sulla sicurezza, Simonetta ha anche aggiunto: "Noi venivamo
avvertiti delle ispezioni dell’Asl due giorni prima, e allora ci
mettevano a pulire. Negli ultimi tempi – ha detto parlando delle
condizioni di lavoro nell’acciaieria in via di smantellamento – ci
trasferivano di continuo da una linea all’altra. Dovevamo lavorare
su impianti che non conoscevamo e cercavamo di capirci qualcosa da
soli. A me, comunque, nessuno non ha mai spiegato niente".
"Rispetto al 2003, quando ho cominciato – ha poi osservato – c’era
stato un cambiamento enorme. La manutenzione non si faceva più, e
la ditta delle pulizie degli impianti arrivava una volta la
settimana anzichè tutti i giorni".

Dopo la testimonanza di Simonetta, la seduta è stata aggiornata al
3 marzo quando in aula dovrebbe essere convocato Antonio Boccuzzi,
uno dei sopravvissuti al rogo, parlamentare del Pd. La decisione
della Corte di ascoltare subito i parenti arriva dopo le polemiche
della scorsa udienza quando per un problema procedurale i familiari
iscritti come testi erano stati costretti ad uscire. Nessun teste
può infatti restare in aula e ascoltare testimonianze prima del suo
turno. La presidente della Corte Maria Iannibelli
ha previsto un fitto calendario di udienze sino a giugno. Nelle
prime cinque udienze erano stati risolti alcuni problemi
procedurali e affrontate diverse eccezioni come quella presentata
dalla difesa dei manager tedeschi della multinazionale che
sosteneva che due dirigenti non conoscessero l’italiano.

 

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