Processo per la strage di Piazza della Loggia: il punto

Il punto sul processo per la Strage di Piazza della Loggia.

Va avanti nella disattenzione generale il processo a Brescia per la
strage di piazza della Loggia in cui il 28 maggio 1974 morirono 8
persone e altre 94 rimasero gravemente ferite.
Le vittime si chiamavano Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani,
Euplo Natali,Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi,
Clementina Calzari Trebeschi e Vittorio Zambarda.
La bomba, nascosta in un cestino sotto i portici, esplose durante una
manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e
dal Comitato Antifascista.
Dopo i morti di Piazza Fontana c’erano stati i morti di Peteano e
quelli della strage alla Questura di Milano. Poi dopo la strage di
Brescia sarebbe venuta, nell’agosto di quello stesso 1974, la strage
del treno Italicus che fece altri 12 morti e 48 feriti, ma il bilancio
avrebbe potuto essere ancor più sanguinoso se la bomba fosse esplosa
mentre il treno era ancora in galleria.
Piazza della Loggia appartiene dunque a quella fosca stagione in cui è
stato operativo lo stragismo riconducibile a un micidiale impasto di
serrtvizi deviati, ufficiakli infedeli e golpisti, neofascisti e
nazisti.

A Brescia la Corte d’Assise presieduta da Enrico Fischetti è
chiamata a giudicare sei rinviati a giudizio il 15 maggio del 2008:
Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino,
Giovanni Maifredi e Pino Rauti, accusati di aver ordito la strage.
Maifredi è intanto morto la scorsa estate.
I rinviati a giudizio Zorzi, Maggi e Tramonte erano all’epoca militanti
di spicco di Ordine Nuovo, gruppo neofascista fondato nel 1956 da Pino
Rauti (suocero di Gianni Alemanno) e più volte oggetto di indagini, pur
senza successive risultanze processuali, in merito all’organizzazione
ed al compimento di attentati e stragi. Ordine Nuovo fu sciolto nel
1973 per disposizione del ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani
con l’accusa di ricostituzione del partito fascista. Gli altri rinviati
a giudizio sono l’ex generale dei carabinieri Francesco Delfino
all’epoca responsabile – con il grado di capitano – del Nucleo
investigativo dei Carabinieri di Brescia, e Giovanni Maifredi, ai tempi
collaboratore del ministro dell’Interno Taviani.
La prima udienza si è tenuta i l 25 novembre 2008, il processo è oggi
arrivato alla centesima udienza. Inquietante e centrale appare sempre
più la figura dell’ufficiale dei CC Delfino, legato ai vertici piduisti
che guidavano all’epoca la divisione dei c carabinieri Pastrengo.

Questa è la terza volta che la magistratura si occupa della strage.
La prima istruttoria della magistratura portò alla condanna nel 1979 di
alcuni esponenti dell’estrema destra bresciana. Uno di loro,Ermanno
Buzzi, in carcere in attesa d’appello, fu strangolato il 13 aprile 1981
dai fascisti Pieluigi Concutelli e Mario Tuti.
Nel secondo grado di giudizio, nel 1982, le condanne del giudizio di
primo grado vennero commutate in assoluzioni, confermate poi nel 1985
dalla Cassazione.
Un secondo filone di indagine, sorto nel 1984 a seguito delle
rivelazioni di alcuni pentiti, mise sotto accusa altri rappresentanti
della destra eversiva e si protrasse fino alla fine degli anni ’80; gli
imputati furono assolti in primo grado nel 1987 per insufficienza di
prove, e prosciolti in appello nel 1989 con formula piena. La
Cassazione, qualche mese dopo, confermò il proscioglimento.
Un dato comunque era comune a queste due prime istruttorie: il
coinvolgimento di rami dei servizi segreti e di apparati dello Stato
nella strage.

Il terzo dibattimento – di cui stiamo fornendo i resoconti del
quotidiano locale “Bresciaoggi”, unico media che segue con assiduità il
processo (vedi i cinque resioconti già pubblicati, rintraccuiabili con
la tag "Processo di Brescia") – ha finora fatto acquisire un ulteriore
elemento: l’attentato fu organizzato con un obiettivo molto preciso,
colpire i carabinieri, che in effetti durante le manifestazioni
sostavano sotto i portici della piazza.
Scopo dell’attentato era accusare la sinistra anarchica e creare le
premesse per una svolta autoritaria. Insomma non una bomba “dei
fascisti contro i comunisti”, ma un disegno molto più perverso, cinico
e ampio. Quel giorno a Brescia però qualcosa andò di traverso: la
pioggia costrinse infatti i carabinieri a ritirarsi nel vicino cortile
del palazzo della prefettura, per lasciare spazio ai manifestanti che
si riparavano sotto i portici. E così le vittime furono solo civili.

Prima sussurrato a mezza voce, poi insinuato dalle ricostruzioni
giornalistiche e dalle commissioni d’inchiesta, infine conclamato in
un’inchiesta giudiziaria ed esplicitato ad alta voce in un’aula di
giustizia, ecco allora confermato fin dall’inizio del processo un
ulteriore elemento fondamentale: il ruolo dei servizi segreti nella
strage di piazza Loggia, l’azione di corpi e gruppi deviati degli 007
italiani e stranieri.
Fin dalla prima udienza questo scenario ha fatto irruzione nel
processo. Il procuratore Roberto Di Martino l’ha chiarito da subito,
senza giri di parole. «Riteniamo – ha detto – che i nostri imputati
agissero con l’ispirazione e con l’identica finalità che avevano alcuni
di questi servizi». I servizi che avrebbero dovuto difendere l’ordine
democratico, secondo l’accusa, «ispiravano» (“avevano identica
finalità”) chi sperava di imprimere alla vicenda italiana una svolta
autoritaria a colpi di bombe.
Gli elementi a favore di questa ricostruzione hanno fatto subito una certa impressione.
Carlo Digilio – ha ricordato il procuratore Di Martino a proposito di
questo inquisito morto poi il 12 dicembre 2005– si è sempre proclamato
agente della Cia oltre che militante di Ordine nuovo; l’altro
scomparso, Massimiliano Fachini, avrebbe avuto collaborazioni con il
capitano del Sid La Bruna; Maurizio Tramonte è stato identificato con
la «fonte Tritone» dei servizi militari; Delfo Zorzi, secondo
testimonianze, avrebbe avuto frequentazioni con l’ufficio Affari
riservati del Viminale , così come Stefano Delle Chiaie; Giovanni
Melioli infine sarebbe stato il confidente di un capitano dei
carabinieri.
Nelle 830 mila pagine dell’inchiesta Di Martino-Piantoni sovrabbondano
veline, informative del controspionaggio, relazioni dei capicentro.

E infine emerge una struttura supersegreta denominata “Anello”.Di
questo «Anello» il consulente Aldo Giannuli (scopritore dell’archivio
dimenticato dell’Ufficio Affari Riservati sulla via Appia) ha riferito
prima al giudice di Milano Guido Salvini, poi alla procura di Brescia,
infine alla commissione stragi.
«Nelle nostre carte – ha spiegato in aula il pm Roberto Di Martino –
sembra emergere un servizio segreto parallelo, il cosiddetto "Anello",
la cui storia si perde nei tempi della guerra, ma che è stato
particolarmente attivo negli anni Settanta». Stando ai «contenuti di
alcuni appunti», ha aggiunto Di Martino, l’«Anello» potrebbe avere a
che fare con la strage: «Il capitano dei carabinieri Francesco Delfino,
secondo un testimone avrebbe avuto contatti con questo servizio,
Esposti ne sarebbe stato lambito». Figura-chiave per conoscere questa
struttura parallela è Adalberto Titta che – spiega Di Martino –
«avrebbe operato nell’azione sfociata nella liberazione dell’assessore
campano Cirillo, nella liberazione del generale Dozier, nel caso Moro e
nella fuga di Kappler».
Alcuni dei grandi misteri della storia repubblicana, ma anche vicende
che chiamano in causa la destra eversiva, farebbero capo – secondo la
ricostruzione di Di Martino – a questo «Anello». Se testi e prove
relative a queste vicende saranno ammessi a processo, nell’aula della
corte d’assise di Brescia nei prossimi mesi verrà ricostruito un pezzo
della storia d’Italia: il cuore di tenebra dello stragismo degli anni
settanta, le trame che fra il ’69 e il ’74 tentarono di far cadere
l’unica democrazia mediterranea europea, quella italiana, e di
precipitare Roma in un regime totalitario come quelli che allora
governavano Atene, Madrid, Lisbona.
In aula si scriverà, insomma, un pezzo dell’«altra» storia d’Italia. In
un processo che potrebbe diventare un maxi-processo, ma che rischia
altresì di diventare un processo-monstre, ci vorrà tutta l’esperienza e
il polso del presidente Enrico Fischetti per tenere la barra dritta.
Puntata sulla duplice stella polare: verità e giustizia.

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