Incontro con Joy al Cie di Ponte Galeria

Visita nel Cie di Ponte Galeria a Roma, dove è rinchiusa Joy. Una
giovane nigeriana vittima della tratta e di un tentato stupro nel Cie di
via Corelli a Milano, rinchiusa sei mesi in carcere dopo una rivolta
nel Cie e rinchiusa di nuovo in un Cie.


Al Cie di Ponte Galeria a Roma stamattina ho finalmente
incontrato Joy. Negli scampoli di questa consiliatura, e dopo non poche
fatiche, finalmente sono riuscita a entrare di nuovo al Centro di
identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, nel quale sono molte
volte andata in questi cinque anni ma che ultimamente sembrava diventato
off limit. Troppi e troppo lenti i controlli, troppi i passaggi
burocratici e sempre una «buona» ragione per rinviare: una volta la
visita del console nigeriano, la seconda la mancanza della luce, la
terza una protesta dei reclusi, la quarta un fantomatico permesso dal
ministero che non arriva. Per una ragione o per l’altra, una prerogativa
dei consiglieri regionali, fin qui grossomodo rispettata, rischiava di
saltare. Finalmente questa mattina il sopralluogo si è potuto fare.

A pochi giorni dalla protesta dello scorso sabato 13 marzo durante la
quale, in coincidenza con una manifestazione dei comitati romani contro
il Cie, fuori dal centro, alcuni reclusi sono saliti sul tetto e hanno
minacciato di restarci, senza cibo né acqua, la struttura è stata
rimessa più o meno a posto. Almeno quanto può esserlo un luogo che per
ammissione dello stesso Prefetto Pecoraro, meglio sarebbe chiudere che
ristrutturare. Dal primo di questo mese c’è anche una gestione nuova:
fatta fuori la Croce Rossa [che però ha già fatto ricorso] la
responsabilità è ora della cooperativa Auxilium che fa parte del
consorzio La Cascina dei fratelli Pietrofancesco e Angelo Chiorazzo.

Chi ha un po’ di memoria o solo frequenta l’università, sa che La
Cascina è un vero e proprio impero con un fatturato annuo che supera i
200 milioni di euro costruito sulle mense e su una serie di servizi che
il consorzio è in grado di garantire a prezzi «competitivi» in ambito
sanitario e nelle istituzioni più o meno totali. Oltre a Ponte Galeria,
Auxilium gestisce anche il Centro per richiedenti asilo di Bari. Il
direttore del Cie, Sangiuliani, ci accoglie con cortesia e non lesina
critiche alla precedente gestione [che peraltro praticava costi più
alti] che a suo dire, oltre a una serie di leggerezze amministrative,
sarebbe anche responsabile di eccessiva «generosità» nella
somministrazione di valium e benzodiazepine.

Chiediamo di incontrarci con Joy, la ragazza nigeriana che è finita
sui giornali non perché la sua storia sia diversa da quella di tante
ragazze della sua età che cadono nella tratta e finiscono sui
marciapiedi delle metropoli occidentali, ma perché in più lei ha avuto
la disavventura di inciampare in un ispettore di polizia del Cie di via
Corelli, a Milano, Vittorio Adesso. Lo ha raccontato più volte la stessa
Joy che ha denunciato il suo aggressore per tentato stupro ottenendo,
peraltro, una contro denuncia per calunnia e non solo. L’ispettore dice
che lei avrebbe bruciato il materasso durante una rivolta al Cie
nell’agosto scorso.

Quella notte, ricorda Joy, l’ispettore Addesso si presentò nella sua
stanza e, senza un motivo, cominciò a picchiarla, accusandola di aver
preso parte alla rivolta. Joy venne condannata a sei mesi di carcere e
quando uscì, in febbraio, venne di nuovo rinchiusa in un Cie, questa
volta a Modena e da lì a Roma. Joy ha fatto richiesta di restare in
Italia e ne avrebbe doppiamente diritto: una volta facendo ricorso, in
quanto vittima di tratta, all’articolo 18 del Testo Unico
sull’immigrazione. E una seconda volta in quanto persona offesa da un
reato [tentato stupro] per il quale deve celebrarsi un processo. Per ora
Joy resta a Ponte Galeria e lei stessa ci ha detto di non stare male,
lì, ma di rivolere la sua libertà e poter fare finalmente il suo lavoro
di parrucchiera per il quale era stata ingannevolmente portata in Italia
da un gruppo di sfruttatori che poi la obbligò a prostituirsi.

Probabilmente di Joy nel Cie di Ponte Galeria ce ne sono molte ma Joy
è diventata un simbolo, la possibilità di ribellarsi rischiando tutto,
anche la vita in nome della propria dignità.

Ma i casi in quell’inferno chiamato Centro di identificazione ed
espulsione non finiscono lì. Ciascuno dei 164 uomini oggi reclusi e
ciascuna delle 138 donne ha una storia, una vita da raccontare. Alcune
però, peggiori di altre. Come quella del giovane algerino da quindici
giorni in sciopero della fame per poter riabbracciare il figlio di sei
anni. E’ in un letto, dorme e quasi non riesce a svegliarsi, quando
entriamo nella camerata da sei letti nella quale vive da un mese. La
moglie che ha il permesso di soggiorno è in ospedale a Milano e il
figlio è ora affidato alle cure della nonna che però non ce la fa. Lui è
lì e altro non può fare che non mangiare sperando che questa sua
protesta gli restituisca il figlio. E’ dimagrito dieci chili, ci dice il
medico e se va avanti così, due possono essere le soluzioni: o
l’alimentazione coatta o le dimissioni. Ogni giorno che passa, quella
scelta diventa sempre più drammatica, e sempre più necessaria.

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