I Segreti di Prosperini


Pier Gianni Prosperini, l’ex assessore del Pdl lombardo arrestato il 16
dicembre scorso, ha tentato il suicidio nella sua casa di corso
Garibaldi, a Milano, dove era ai domiciliari. Secondo i medici non è in
pericolo di vita. In casa Prosperini avrebbe lasciato messaggi in cui
lamenta una "persecuzione giudiziaria". Prosperini era stato scarcerato
dopo aver patteggiato 3 anni a 5 mesi di reclusione per aver incassato
una tangente da 230 mila euro su un appalto da 7,2 milioni di euro: spot
pubblici dirottati sulle tv private che lo sostenevano politicamente
tra il 2008 e il 2010. I guai dell’ex assessore non erano tuttavia
terminati: la procura di Milano stava infatti indagando sul traffico di
armi e munizioni verso l’Eritrea coperto, secondo l’accusa, dallo stesso
Prosperini, in elusione ai controlli internazionali e agli embarghi. Su
questo filone "L’espresso" ha pubblicato nelle scorse settimane diverse
inchieste, l’ultima delle quali appare nel numero in edicola domani, e
che anticipiamo qui di seguito.

Una banda di insospettabili trafficanti d’armi, guidata da un ex
dirigente della Beretta. Almeno tre anni di triangolazioni proibite, per
rifornire segretamente gli arsenali dell’Iran. E un carico parallelo di
fucili in partenza per l’Eritrea. Con un politico lombardo che si fa
pagare mediazioni su un conto svizzero: Pier Gianni Prosperini,
assessore regionale della giunta Formigoni fino al 16 dicembre, quando è
stato arrestato per corruzione.

A collegare le guerre internazionali alle tangenti italiane sono due
indagini separate, che si sono incrociate proprio mentre la Guardia di
Finanza ammanettava l’ex leader di Nordestra, la corrente da lui creata
per contendere alla Lega i voti razzisti. Prosperini, quella sera, sta
per registrare l’ennesimo show anti-immigrati, quando si vede arrestare
per aver intascato 230 mila euro da Raimondo Lagostena Bassi, il
proprietario del circuito di tv lombarde che da anni lo sostiene. In
cambio, il politico gli ha fatto arrivare montagne di spot pubblici: 7
milioni e 200 mila euro, pagati dai lombardi con le tasse.

Mentre il governatore Roberto Formigoni e il ministro Ignazio la Russa
difendono l’assessore, che un trimestre più tardi chiederà di
patteggiare una condanna a tre anni e cinque mesi, i finanzieri
sequestrano l’archivio di Prosperini e i computer del suo factotum,
Gionata Soletti. E qui spuntano file riservati: armi all’Eritrea. Un
affare che scotta. Nei computer sono registrate tutte le trattative per
vendere alla dittatura africana decine di fucili prodotti dalla Beretta,
la più famosa fabbrica italiana d’armi. Per esportarli in Eritrea,
secondo i documenti ora sotto sequestro, l’industria bresciana avrebbe
pagato provvigioni a una società off shore che girava i soldi a
Prosperini. Dal punto di vista della Beretta, s’intende, è tutto lecito:
la consulenza estera è regolarmente fatturata. E dalla fabbrica
italiana risultano usciti solo fucili da caccia. Oggi anche l’Eritrea è
finita sotto l’embargo dell’Onu, ma fino a pochi mesi fa era reato solo
esportare armi da guerra. Ma allora, perché pagare il politico? Perché
Prosperini, sempre stando ai file, avrebbe lavorato per la Beretta come
procacciatore d’affari privato. E perché versargli i soldi in Svizzera?
Perché così chiedeva lui. Per la Beretta, quei fucili erano davvero
destinati a onesti cacciatori eritrei amici di Prosperini. Tutto
regolare, insomma. Almeno fino all’arresto di Prosperini, quando un
altro gruppo delle Fiamme Gialle registra un imprevisto allarme rosso.
Che riguarda un’inchiesta diversa. Esplosiva.

Il nucleo di polizia tributaria sta intercettando da luglio
un’organizzazione di trafficanti che dal 2007 esporta sistematicamente
armi da guerra in Iran nonostante l’embargo di Usa, Onu e Ue. Le
indagini documentano vendite di ben mille puntatori ottici di produzione
tedesca: visori speciali per cecchini o sabotatori, in parte
sequestrati tra Svizzera, Romania e Inghilterra mentre partivano per
Teheran. E trattative avanzate, proseguite fino a febbraio scorso, per
cedere all’Iran elicotteri, spolette esplosive, elmetti, congegni
spionistici, miscele chimiche per razzi o bombe, kit per paracadutisti,
gommoni e respiratori subacquei. Uno dei capi di questa presunta banda è
Alessandro Bon, 43 anni, ex dirigente della Beretta: fino al 2005 era
l’export manager del settore difesa per il Medio Oriente, cioè il
responsabile delle vendite nei paesi più caldi del mondo. Ufficialmente
trattava solo armi sportive. Lasciata l’industria legale, si è messo in
proprio, secondo l’accusa, come trafficante illegale, sfruttando anche
una ditta di vernici della fidanzata. Bon è il presunto regista di
triangolazioni milionarie con emissari dei servizi segreti iraniani (due
arrestati, altri due ricercati), tra cui un finto giornalista che a
Roma spiava e indottrinava la stampa italiana e intanto fondava a
Bucarest una ditta per esportare i puntatori.

La Finanza sente parlare per la prima volta di tangenti il 22 agosto
2009. In quel momento Bon sta disputandosi 256 mila euro con un presunto
complice, Arnaldo La Scala. Alle 16,08 l’ex manager della Beretta
chiede a uno spione di Teheran di non versare più quei soldi a La Scala,
un messinese che controlla società aeronautiche in Svizzera, perché
"ogni sei mesi lui deve pagare un politico in Italia e non lo ha ancora
pagato". "Io ho bisogno dell’appoggio di questo politico, per cui manda i
soldi a me", ingiunge Bon all’agente iraniano Homayoun Bakhtiyari:
"Così metto da parte il denaro per il politico e poi gli trasferisco i
soldi di cui ha bisogno". I finanzieri capiscono chi sia solo quattro
mesi dopo, quando Prosperini viene arrestato per le tangenti tv: a quel
punto La Scala, Bon e perfino sua madre mostrano "gravissima
preoccupazione". Il perché lo spiega il ‘supporto informatico’
sequestrato al politico, da cui risulta che proprio "Bon e La Scala
hanno usufruito della mediazione retribuita di Prosperini nella vendita
di armi, visori notturni e munizioni al governo eritreo". Tra Teheran e
Asmara, dunque, c’è lo stesso canale occulto.

Bon non sa ancora che un ex militare delle forze speciali inglesi (Sas),
William Faulkner, arrestato a Londra, ha già confessato i traffici
d’armi con l’Iran, chiamandolo in causa. Ma capisce subito che
Prosperini rischia di rovinare tutti. "Allarmati", Bon e La Scala
contattano Soletti, il factotum dell’assessore arrestato, che li
rassicura: Prosperini non li coinvolgerà.

Ma il 13 gennaio il primo è ancora preoccupato: "Ho l’ansia che
l’altro… che gli fanno i controlli". Bon in realtà era angosciato già
da ottobre, quando spiegava al complice: "Sono finito sulla lista nera,
hanno trovato due ottiche in Afghanistan ai talebani, con cui hanno
sparato a militari tedeschi… E adesso mi chiedo cosa ci facevano in
Afghanistan: fra me e te, fan parte di un lotto spedito nel tempo…".
Al che La Scala gli risponde con questa ipotesi: "Hanno fatto casino,
come hanno fatto diecimila volte casino quelli di Beretta". La polizia
inglese, per altro, riesce a trovare "puntatori analoghi" solo a
Bassora, tra il 2006 e il 2007, a guerriglieri iracheni (filo-iraniani).

Molto più sicuro si sentiva invece il più in vista tra i nove arrestati
per le armi all’Iran, l’avvocato d’affari Raffaele Rossi Patriarca. Tra
il 12 e i 17 dicembre, mentre per Prosperini si apre la cella, il legale
torinese vola a Teheran per trattare "nove elicotteri da 15 milioni,
spolette esplosive e miscele di zirconio" con "un generale iraniano
pluridecorato". Al rientro, incontra in Svizzera un emissario di
Ahmadinejad, orgoglioso di mostrargli "le sue foto con il grande capo". E
poi gira l’Europa per cercare esplosivi da trafficanti montenegrini. Ed
elicotteri da industriali italiani "amici", tra cui inserisce un top
manager della Inaer di Andrea Bonomi, con cui vanta affari precedenti,
fino a prova contraria leciti.

La spavalderia dell’avvocato spaventa perfino Bon e La Scala: "Ha
chiesto roba con la sigla I.HE, dove I sta per incendiario… Vuole roba
chimica…". "Lì non c’è dual use, c’è un solo uso ed è quello
sbagliato…". A rendere così tranquillo Patriarca è un misterioso
"referente di Roma": un vip che Guglielmo Savi, titolare della Sirio
srl, che vende ponti radio a Stati esteri e alla Rai con il ‘nulla osta
sicurezza’ della presidenza del Consiglio (ora ritirato), dice di poter
contattare "anche all’una di notte". Alle sei del mattino del 3 marzo
scattano gli arresti per le armi all’Iran. Mentre il factotum Soletti
finisce in cella per aver svuotato il conto svizzero delle tangenti di
Prosperini, prelevando gli ultimi 800 mila euro in contanti. Ora in
carcere qualcuno potrebbe parlare. Forse il giallo delle armi da guerra
italiane è solo all’inizio.

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