Quelli della Diaz: le verità negate…La notte nera della democrazia

Quelli della Diaz: le verità negate La notte nera della democrazia

UNO STATO che vessa e maltratta le persone private della libertà
non è uno Stato democratico. Una polizia che usa la forza non
per impedire reati, ma per commetterne, non può essere
considerata "forza dell’ordine". Fatti di questo genere distruggono la
credibilità delle istituzioni più di tanti insuccessi dei
poteri pubblici". Valerio Onida, giudice emerito della Corte Costituzionale. Sono
parole che bisogna tenere a mente ora che il processo per le violenze
della polizia nella scuola "Diaz", durante i giorni del G8 di Genova,
è prossimo alla sentenza.

* * *

Il 21 luglio del 2001 è il giorno più tragico del G8 di
Genova. È morto Carlo Giuliani in piazza Alimonda in una
città distrutta dai black bloc ? che riescono inspiegabilmente a
colpire indisturbati e a dileguarsi senza patemi. Per tutto il giorno,
Genova è insanguinata dai pestaggi della polizia, dei
carabinieri, dei "gruppi scelti" della guardia di finanza contro
cittadini inermi, donne, ragazzi, anche anziani, spesso con le braccia
alzate verso il cielo e sulla bocca un sorriso.

Ora, più o meno, è mezzanotte. Mark Covell, 33 anni,
inglese, giornalista di Indymedia.uk,
ozia davanti al cancello della scuola Diaz, diventato un dormitorio
dopo che i campeggi sono stati abbandonati per la pioggia. Covell si
accorge che la polizia sta "chiudendo" la strada. Avverte subito il
pericolo. Estrae l’accredito stampa, lo mostra, lo agita. I poliziotti,
che lo raggiungono per primi (sono della Celere, del VII nucleo
antisommossa del Reparto Mobile di Roma), lo colpiscono con i "tonfa" o
"telescopic baton", più che un manganello un’arma tradizionale
delle arti marziali: rigido e non di caucciù, a forma di croce:
"può uccidere", se ne vanta chi lo usa. Colpiscono Mark senza
motivo. Come, senza ragione, un altro poliziotto con lo scudo lo
schiaccia ? subito dopo ? contro il cancello mentre un altro, come un
indemoniato, lo picchia alle costole. Gli gridano in inglese: "You are black bloc, we kill black bloc" ("Tu sei un black, noi ti uccidiamo").

Covell cade finalmente a terra. E’ semisvenuto, in posizione fetale.
Potrebbe bastare anche se fosse un incubo, ma per Mark il calvario non
è ancora finito. Tutti i "celerini" che corrono verso la scuola
lo colpiscono a terra con calci (il pestaggio di Covell è
ripreso da una videocamera). Covell rimarrà, esanime, circondato
dall’indifferenza, in quell’angolo di via Cesare Battisti, al quartiere
di Albaro, per oltre venti minuti. Ha una grave emorragia interna, un
polmone perforato, il polso spezzato, otto fratture alle costole, dieci
denti in meno. Quando si sveglia in ospedale, viene arrestato per
resistenza aggravata a pubblico ufficiale, concorso in detenzione di
arma da guerra e associazione a delinquere. (E’ ancora aperta
l’indagine per individuare i poliziotti che lo hanno quasi ucciso.
L’accusa: tentato omicidio).

* * *

Distruggere. Annientare. E’ con questo obiettivo che, dopo aver
abbattuto con un blindato Magnum il cancello, le prime tre squadre del
Reparto Mobile di Roma (trenta uomini) invadono, a testuggine, il
pianoterra della scuola. Arnaldo Cestaro, "un vecchietto", è
sulla destra dell’ingresso. Viene travolto. Lo gettano contro il muro.
Lo picchiano con i "tonfa". Gli spezzano un braccio e una gamba. Ora ci
sono urla e baccano. Nella palestra, ai piani superiori ragazzi e
ragazze – anche chi si è già infilato nel sacco al pelo
per dormire – comprendono che cosa sta accadendo.

Tutti raccolgono le loro cose, il bagaglio leggero che si portano
dietro da giorni. Si sistemano con le spalle al muro; chi in ginocchio;
chi in piedi; tutti con le braccia alzate in segno di resa; chi ha
voglia di un’ultima "provocazione" mostra al più indice e medio
a V. Daniel Mc Quillan, quando vede le divise, si alza in piedi e dice:
"Noi siamo pacifici, niente violenza". "Come se fossero un branco di
cani impazziti, sono su di lui in un istante e lo colpiscono, lo
colpiscono, lo colpiscono?", dicono i testimoni. La furia dei celerini
si scatena contro chiunque e dovunque, irragionevolmente, con furore
(si vede uno che mena colpi con una specie di mazza da baseball).

Melanie Jonach racconterà di essere svenuta subito al primo
colpo che la raggiunge alla testa. Gli altri, che vedono la bastonatura
inflittale, ricordano i suoi occhi aperti ma incrociati, le contrazioni
spastiche del corpo. Anche in queste condizioni, continuano a
picchiarla e a prenderla a calci. Un ultimo calcio sbatte la sua testa
contro un armadio: ora è "aperta" come un melone. Il comandante
del VII nucleo, a quel punto, grida "Basta!". Raggiunge la ragazza. "La
tocca con la punta dello stivale. Melanie non dà segni di vita e
quello ordina che venga chiamata un’autoambulanza". (Melanie Jonach ci
arriverà in codice rosso con una frattura cranica nella regione
temporale sinistra).

Nicola Doherty ancora piange in aula mentre racconta: "Hanno cominciato
a picchiarci immediatamente. C’era gente che piangeva e implorava i
poliziotti di fermarsi. Anch’io piangevo e chiedevo che la smettessero.
Uno mi è venuto vicino e con fare dolce mi ha detto "Poverina!"
e mi ha colpito ancora. Sembrava che ci odiassero. Ho visto un
poliziotto con un coltello in mano, bloccava le ragazze, i ragazzi e
tagliava una ciocca di capelli con il coltello". Voleva il suo
personale trofeo di guerra. Altri continuano a gridare, dopo aver
picchiato duro: "Dì, che sei una merda". Mentre colpiscono
gridano: "Frocio!", "Comunista!", "Volevate scherzare con la polizia?",
"Nessuno sa che siamo qui e ora vi ammazziamo tutti!".

Lena Zulkhe, colpita alle spalle e alla testa, cade subito. Le danno
calci alla schiena, alle gambe, tra le gambe. "Mentre picchiavano, ho
avuto la sensazione che si divertissero". La trascinano per le scale
afferrandola per i capelli e tenendola a faccia in giù.
Continuano a picchiarla mentre cade. La rovesciano quasi di peso verso
il pianoterra. "Non vedevo niente, soltanto macchie nere. Credo di
essere per un attimo svenuta. Ricordo soltanto – ma quanto tempo era
passato? – che sono stata gettata su altre due persone, non si sono
mossi e io gli ho chiesto se erano vivi. Non hanno risposto, sono stata
sdraiata sopra di loro e non riuscivo a muovermi e mi sono accorta che
avevo sangue sulla faccia, il braccio destro era inclinato e non
riuscivo a muoverlo mentre il sinistro si muoveva ma non ero più
in grado di controllarlo. Avevo tantissima paura e pensavo che
sicuramente mi avrebbero ammazzata".

Dei 93 ospiti della "Diaz" arrestati, 82 sono feriti, 63 ricoverati
ospedale (tre, le prognosi riservate), 20 subiscono fratture ossee
(alle mani e alle costole soprattutto, e poi alla mandibola, agli
zigomi, al setto nasale, al cranio).

* * *

Che cosa ha provocato questa violenza rabbiosa e omicida? Come è
stata possibile pensarla, organizzarla, realizzarla. Il 22 luglio, il
portavoce del capo della polizia convoca una conferenza stampa e
distribuisce un breve comunicato che vale la pena di ricordare per
intero: "Anche a seguito di violenze commesse contro pattuglie della
Polizia di Stato nella serata di ieri in via Cesare Battisti, si
è deciso, previa informazione all’autorità giudiziaria,
di procedere a perquisizione della scuola Diaz che ospitava numerosi
giovani tra i quali quelli che avevano bersagliato le pattuglie con
lancio di bottiglie e pietre. Nella scuola Diaz sono stati trovati 92
giovani, in gran parte di nazionalità straniera, dei quali 61
con evidenti e pregresse contusioni e ferite. In vari locali dello
stabile sono stati sequestrati armi, oggetti da offesa ed altro
materiale che ricollegano il gruppo dei giovani in questione ai
disordini e alle violenze scatenate dai Black Bloc a Genova nei giorni
20 e 21. Tutti i 92 giovani sono stati tratti in arresto per
associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio e
detenzione di bottiglie molotov. All’atto dell’irruzione uno degli
occupanti ha colpito con un coltello un agente di Polizia che non ha
riportato lesioni perché protetto da un corpetto. Tutti i feriti
sono stati condotti per le cure in ospedali cittadini". Il portavoce
mostra anche le due molotov che sarebbero state trovate nell’ingresso
della scuola, "nella disponibilità degli occupanti".

* * *

Il processo di Genova ha dimostrato ragionevolmente (e spesso con la
qualità della certezza) che nessuna delle circostanze descritte
dal portavoce del capo della polizia (capo della polizia era all’epoca
Gianni De Gennaro) corrisponde al vero. Quelle accuse sono false,
quelle ragioni sono inventate di sana pianta. Si dice che l’assalto (la
"perquisizione") fu organizzato dopo che un corteo di auto e blindati
della polizia era stato, poco prima della mezzanotte, assalito in via
Cesare Battisti con pietre, bottiglie e bastoni. Il processo ha
dimostrato che non c’è stata nessuna pattuglia aggredita. Si
dice che gli ospiti della Diaz fossero già feriti, quindi
coinvolti negli scontri in città.

Nessuno dei 93 arrestati era ferito prima di essere bastonato dai
"celerini". Poliziotti, comandanti, dirigenti hanno riferito che,
mentre entravano nella scuola, c’è stata contro di loro una
sassaiola e addirittura il lancio di un maglio spaccapietre. I filmati
hanno dimostrato che non fu lanciata alcun sasso e nessun maglio. Il
comandante del Reparto Mobile di Roma ha scritto in un verbale che ci
fu una vigorosa resistenza da parte di "alcuni degli occupanti, armati
di spranghe, bastoni e quant’altro". Assicura che nella scuola (entra
tra i primi) sono stati "abbandonati a terra, numerosi e vari attrezzi
atti ad offendere, tipo bastoni, catene e anche un grosso maglio".

Nella scuola non c’è stata alcuna colluttazione, nessuna
resistenza, soltanto un pestaggio. Nessuno degli occupanti ha tentato
di uccidere con una coltellata il poliziotto Massimo Nucera. Due
perizie dei carabinieri del Ris hanno smentito che lo sbrego nel suo
corpetto possa essere il frutto di una coltellata. Nella scuola non
c’erano molotov. Come ha testimoniato il vicequestore che le ha
sequestrate, quelle due molotov furono ritrovate da lui non nella
scuola la notte del 22 luglio, ma sul lungomare di Corso Italia nel
pomeriggio del giorno precedente. La prova falsa, manipolata, è
stata inspiegabilmente distrutta, durante il processo, nella questura
di Genova.

* * *

In settimana il tribunale deciderà delle responsabilità
personali dei 29 imputati (poliziotti, dirigenti, comandanti, alti
funzionari della polizia di Stato) accusati di falso ideologico, abuso
di ufficio, arresto illegale e calunnia. Quel che qui conta dire
è che la responsabilità non penale, ma tecnico-politica
di chi, impotente a fronteggiare i black bloc, si è abbandonato
(per vendetta? per frustrazione? con quali ordini e di chi?) a pestaggi
ingiustificati e indiscriminati, non può e non deve essere
liquidata da questa sentenza. Centinaia di agenti, sottufficiali,
ufficiali, dirigenti di polizia, funzionari del Dipartimento di
pubblica sicurezza hanno mentito durante le indagini e al processo.

E chi non ha mentito, ha negato, taciuto o dissimulato quel che ha
visto e saputo. Dell’assalto alla "Diaz" non inquieta soltanto il
massacro di 93 cittadini inermi diventati in una notte "criminali" a
cui non si riconosce alcuna garanzia e diritto. Quel che angoscia
è anche questo silenzio arrogante, l’omertà indecorosa
che manipola prove; costruisce a tavolino colpevoli; nasconde le
responsabilità; sfida, senza alcuna lealtà istituzionale,
il potere destinato ad accertare i fatti. Le apprensioni di sette anni
raddoppiano ora che, decreto dopo decreto, si fa avanti un "diritto di
polizia". Il Paese ha bisogno di sapere se il giuramento alla
Costituzione delle forze dell’ordine non sia una impudente finzione.
Perché quel che è accaduto a Mark Covell e ai suoi 92
occasionali compagni di sventura rende chiaro, più di qualsiasi
riflessione, come uno Stato che si presenta nelle vesti di sbirro e
carnefice fa assai presto a diventare uno Stato criminale quando il
dissidente, il non conforme, l’altro diventa un "nemico" da annientare.

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No Tav e No Dal Molin scrivono a movimento No Gelmini

Lettera aperta agli studenti, ai
precari, agli insegnanti, ai genitori impegnati nella difesa di un bene
comune: la scuola e l’università

Vi abbiamo visto nelle strade e nelle piazze delle
nostre città. Abbiamo incrociato i vostri sguardi e abbiamo
ritrovato la nostra determinazione: quella di chi non cerca un
privilegio ma con il proprio impegno difende l’oggi di se stesso
e il domani di tanti altri.

Siamo donne e uomini di Vicenza, della Val di Susa e di
tante altre realtà riunite nel Patto di Mutuo Soccorso
mobilitate in maniera permanente per difendere la nostra terra e la
nostra acqua, le nostre città, le nostre valli e il nostro
futuro: che si tratti di nuove basi militari, di nuove linee ad alta
velocità, di nuove discariche e nuovi inceneritori, di sorgenti
svendute al miglior offerente o di quant’altro poco cambia: beni
comuni sottratti alla collettività, spazi di democrazia
cancellati.

In questi anni abbiamo imparato a guardarci intorno, a
conoscere e interrogare. Vogliamo capire e imparare, costruire e
creare. Come voi ci riuniamo in assemblea. Come voi cerchiamo di
valorizzare la nostra creatività e la nostra diversità.
Come voi difendiamo beni comuni che i governi vorrebbero sottrarci:
l’accesso ai saperi per regalarlo ai profitti dei privati, il
territorio per svenderlo ai militari statunitensi o al partito del
tondino e del cemento, l’acqua per consentire nuovi enormi
profitti alle grandi multinazionali. Come voi puntiamo sulla forza
della ragione e della verità e pratichiamo metodi di lotta
pacifici.

Nella nostra mobilitazione abbiamo conosciuto
l’utilizzo distorto delle informazioni e delle conoscenze; ci
vorrebbero disinformati e ignoranti per imporci scelte devastanti a
nostra insaputa. Difendere l’accesso ai saperi e
l’istruzione, allora, significa difendere la possibilità
di ognuno di noi a opporsi e indignarsi di fronte alle tante
imposizioni quotidiane ai danni delle donne e degli uomini che vivono
le nostre città, le nostre campagne, le nostre valli e le nostre
montagne.

Vi abbiamo visto nelle strade e nelle piazze delle
nostre città e come un’onda travolgere silenzi compiacenti
e sguardi indifferenti. La vostra onda incrocia le nostre onde, le
risorse che vogliono sottrarre alla scuola e
all’università vorrebbero utilizzarle per nuove devastanti
grandi opere inutili e dannose; difendere la scuola pubblica da questo
ennesimo tentativo di scippo è il vostro e anche il nostro
obiettivo, la vostra resistenza rafforza le nostre resistenze e
viceversa. Le nostre onde seguono la stessa rotta: quella che ha come
meta la difesa dei beni comuni, della partecipazione e della
democrazia. Il futuro è nelle nostre mani.

6 Novembre 2008

Presidio permanente No Dal Molin
NOTAV Val di Susa

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Cossiga: “…picchiarli a sangue…”

Segue un’interessante intervista a Cossiga apparsa sul QN (Quotidiano Nazionale).

Presidente Cossiga, pensa che minacciando l’uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato?
«Dipende, se ritiene d’essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché è l’Italia è uno Stato debole, e all’opposizione non c’è il granitito Pci ma l’evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà quantomeno una figuraccia».

Quali fatti dovrebbero seguire?
«A questo punto, Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno».

Ossia?
«In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito…».

Gli universitari, invece?
«Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».

Dopo di che?
«Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».

Nel senso che…
«Nel senso che le forze dell’ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano».

Anche i docenti?
«Soprattutto i docenti. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».

E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero.
«Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio».

Quale incendio?
«Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà ad insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate Rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università. E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale».

E’ dunque possibile che la storia si ripeta?
«Non è possibile, è probabile. Per questo dico: non dimentichiamo che le Br nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo».

Il Pd di Veltroni è dalla parte dei manifestanti.
«Mah, guardi, francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama…».

Non andrà in piazza con un bastone, certo, ma politicamente…
«Politicamente, sta facendo lo stesso errore che fece il Pci all’inizio della contestazione: fece da sponda al movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com’era logico, nel mirino finirono anche loro cambiarono radicalmente registro. La cosiddetta linea della fermezza applicata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla… Ma oggi c’è il Pd, un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed è anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente».

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I fascisti denunciano l’attore Ulderico Pesce ·

I FASCISTI DENUNCIANO L’ATTORE ULDERICO PESCE

Indagato dalla Procura della Repubblica di Cosenza

L’apologia di fascismo in Italia non sussiste! E’ infatti stato regolarmente riconosciuto dalle Istituzioni italiane il Movimento politico nazionale “FASCISMO E LIBERTA’”.
In un momento storico delicato per gli equilibri di solidarietà, tolleranza e integrazione un ulteriore attacco al significato stesso della parola “libertà”.
Il 15 maggio 2005 a Matera, in occasione del Referendum popolare in favore della ricerca sulle cellule staminali, Ulderico Pesce, attore e regista lucano, è stato disturbato durante il suo intervento dall’arrivo di alcuni giovani che raccoglievano adesioni per un nuovo movimento di ispirazione fascista.
I promotori di questo “Movimento”, esponendo un tricolore sul quale primeggiava al centro un fascio littorio, si aggiravano in prossimità del palco distribuendo volantini promozionali circa il loro “credo” politico.
L’attore lucano, dopo ripetuti solleciti per cercare di allontanare questi “promotori autorizzati”, data la loro inopportuna intrusione, si è visto costretto ad abbandonare il palco.
In occasione del festival teatrale di Milano e del debutto dei suoi spettacoli presso il teatro “Sapzio Mil” di Sesto S. Giovanni (“Il Triangolo degli Schiavi”, “Storie di Scorie”, “Asso di Monnezza”), Pesce rende pubblico il suo dissenso su fatti di straordinaria importanza.
A distanza di alcuni anni, infatti, la Procura della Repubblica di Cosenza lo ha indagato per calunnie contro il movimento politico “FASCISMO E LIBERTA’” avvenute durante il comizio di Matera.
“Stiamo mandando avanti una petizione” spiega Pesce “per l’archiviazione dell’indagine. Inoltre in una lettera aperta al Presidente della Repubblica chiedo, assieme ai firmatari, come sia possibile che un movimento simile possa essere stato legittimato dallo stato”.
I promotori di “Fascismo e Libertà” hanno ormai invaso molte città d’Italia con manifesti affissi nei luoghi pubblici e proclami per ottenere nuove adesioni.
“Oggi, poiché è legale,” conclude l’attore “è diventato possibile pubblicizzare il fascismo!”
Ulderico Pesce invita tutti ad aderire alla sua petizione disponibile sul sito internet www.uldericopesce.com .
(Comunicato Stampa a cura di Valentina Bruno 339-3111154)

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EVERSIVO L*ATTACCO DI FORZA NUOVA AL PAZ

Rassegna stampa del 23 ottobre 2008

Eversivo l’attacco di Forza Nuova al Paz. Sui muri dell’ex centrale scritte contro la polizia

"Eversivo l’attacco di Forza Nuova al Paz. Sul muro dell’ex centrale del latte scritta contro la polizia"
da Il Corriere Romagna del 23 ottobre 2008
-  [ articolo ]

"Assaltare un centro sociale è eversivo"
da Il Resto del Carlino del 23 ottobre 2008
-  [ articolo ]

"Cassazione: eversive azioni contro centri sociali Custodia cautelare neofascisti Forza Nuova"
da Il Messaggero del 23 ottobre 2008
-  [ articolo ]

"Cassazione: Si’ alla custodia cautelare per un gruppo di forza nuova, bloccati mentre tentavano di incendiare centro sociale a Rimini"
da ADNkronos del 23 ottobre 2008
-  [ articolo ]

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CARICATO IL CORTEO DEGLI STUDENTI A ROMA

VeNerdì 24 ottobre 2008 19:49 Roma – Caricato il corteo degli studenti davanti all’Auditorium

Migliaia di studenti in corteo a Roma si sono diretti verso l’Auditorium, dove è in corso il Festival del cinema. Al grido di "la crisi non la paghiamo noi" sono stati caricati dalle forze dell’ordine. Il corteo si è fermato ma non disperso iniziando un presidio spontaneo mentre il pubblico dell’audiotorium è stato chiuso nelle sale della struttura.

La corrispondenza con Alioscia, la Sapienza occupata che ribadisce "bloccheremo tutto se non bloccano la legge": 
 [ audio ]

Vai alla galleria fotografia dal sito di Repubblica

 

 

 

 

 

 

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SGOMBERATO IL NUOVO EX CARCERE A PALERMO

23.10.2008

Sgomberato il nuovo Ex-Carcere

movimenti

Palermo – Alle ore 6 di questa mattina un centinaio di agenti della polizia ha sgomberato a palermo il nuovo centro sociale exkarcere in Vesalio, occupato sabato 11 ottobre durante il corteo in difesa degli spazi sociali e in difesa dell’ex karcere di via Mongitore 77 occupato nel marzo 2001 sotto minaccia di sgombero.

Dopo lo sgombero della vecchia struttura avvenuto la scorsa settimana, il pesante intervento di oggi con un ampio numero di forze dell’ordine sembra il segnale di un volontario e premeditato attacco ai centri sociali dopo gli sgomberi dei giorni seguenti contro l’Horus di Roma e il Paz di Rimini e il destino di Crash che qualcuno vorrebbe come già scritto.

Tutti i compagni e le compagne presenti all’interno della struttura al momento dello sgombero sono stati/e identificati. Oggi e stasera assemblee pubbliche in solidarietà con l’Ex-Carcere si terranno all’interno della Facoltà di Lettere, tra le più attive nella mobilitazione studentesca di questi giorni. Compagn* dell’Ex-Carcere promettono di riversare la risposta nel movimento NoGelmini e di riprendersi uno spazio il più presto possibile.

Un messaggio da* compagn* di Palermo:

Non ci fermeranno mai..
rioccuperemo..
resisteremo..
ci riprenderemo tutto quello che ci spetta e che ogni giorno ci
sottraggono…

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in attesa del manicomio………….

Per maggiori informazioni in campo
antipsichiatrico vi consigliamo di dar una lettura al sito dell’OISM
(Osservatorio Italiano per la Salute Mentale) all’indirizzo www.oism.info

Sanità/ Guzzanti propone la riforma della legge Basaglia
Rafforzamento del Tso,nuova selezione personale,più coordinamento

Roma, 14 ott. (Apcom) – La legge 180 del 1978, nota come legge
Basaglia, fu la grande conquista di una stagione culturale che era
iniziata nel 1968 all’università di Trento. La riforma voluta da Franco
Basaglia chiuse i manicomi, strutture detentive all’interno delle quali
i pazienti venivano spesso sottoposti a elettroshock e a vari
trattamenti degradanti, veri e propri buchi neri dove finivano persone
con difficoltà molto differenti, spesso anche non di natura
psichiatrica. La legge Basaglia stabilì che "gli accertamenti e i
trattamenti sanitari sono volontari", restringendo drasticamente lo
spazio per i trattamenti obbligatori. Che rimasero soltanto come ultima
opzione per i casi in cui è impossibile fare diversamente. L’intero
intervento psichiatrico venne puntato nella direzione di un percorso
riabilitativo in cui al centro fosse la volontà del paziente e il suo
percorso di integrazione nella società. Le strutture psichiatriche
vennero trasformate in centri da cui i pazienti potevano uscire quando
volevano, e fu imposto il limite dei 15 utenti, per mettere fine a
quelle enormi strutture in cui le persone diventavano un numero che si
confondeva nella massa.

La riforma proposta oggi da Paolo Guzzanti punta l’indice contro questa limitazione del trattamento sanitario obbligatorio
(Tso), secondo lui eccessiva, e ne dispone invece un rafforzamento,
aprendo la strada al ricovero in Tso anche presso strutture private.
Secondo il disegno di legge, infatti, il Tso "può essere prolungato in
sede di comunità terapeutica o presso una casa di cura privata
accreditata, o comunque in una struttura che esenti la famiglia da una
convivenza pericolosa". Il testo introduce poi il Tso in affidamento,
cioè la prosecuzione del trattamento obbligatorio sotto la
responsabilità di un familiare o di "qualsiasi altra persona o nucleo
familiare ritenuto idoneo, a eccezione del tutore, che suo ruolo di
sostegno del paziente e di difensore dei suoi diritti deve rimanere
figura indipendente, in rapporto dialettico con l’affidatario e il
personale curante".

Il disegno di legge voluto da Guzzanti prevede che il servizio
psichiatrico di diagnosi e cura per i ricoveri Tso in ambiente
ospedaliero, dispongano di almeno un posto letto ogni 10mila abitanti.
Il testo parla poi anche di "cliniche psichiatriche umanizzate", dove
ai pazienti e ai familiari sia riservato un "trattamento empatico e
rispettoso della loro dignità e dei loro valori". Per andare in questa
direzione, il testo suggerisce che il personale andrà selezionato in
base a "criteri di autenticità, empatia e rispetto incondizionato,
secondo la psicologia umanistica". Accanto "ai parametri tradizionali
di competenza e conoscenza nozionistica – precisa il ddl – è
riconosciuta pari importanza alle qualità attitudinali e caratteriali
del candidato".

Il dipartimento di psichiatria, di cui ogni Asl attualmente dispone,
dovrà rafforzare il coordinamento degli interventi, sia ospedalieri che
extraospedalieri, inclusi quelli sulle patologie "connesse alla
farmacodipendenza e alla tossicodipendenza", che spesso viaggiano
insieme alla patologia psichiatrica. Il dipartimento seguirà il
paziente attraverso il passaggio nelle diverse presìdi: centro di
salute mentale, servizio psichiatrico di diagnosi e cura, pronto
soccorso psichiatrico e clinica psichiatrica "umanizzata".
Quest’ultima, secondo il ddl, includerebbe le comunità protette
residenziali, quelle terapeutiche per le doppie diagnosi (cioè i
pazienti che oltre ai problemi psichiatrici presentano anche una forma
di tossicodipendenza o di alcolismo), gli appartamenti autogestiti e i
centri diurni psichiatrici.

Il testo istituisce poi una commissione per i diritti del malato
psichico presso ogni tribunale, con funzioni ispettive e di controllo,
e che decide sui ricorsi contro le decisioni del centro di salute
mentale sui Tso. Inoltre il malato, il genitore o il tutore potranno
scegliere liberamente il medico curante e le eventuali strutture di
ricovero e supporto. Per venire incontro alle famiglie il testo
istituisce un fondo, da ripartire tra le regioni, per fare fronte alle
spese legali per i reati commessi e per il risarcimento dei danni
provocati dai malati. Per l’attuazione della legge, in particolare per
la realizzazione delle strutture necessarie, è vincolata una quota di
spesa corrispondente ad almeno il 6% del fondo sanitario nazionale ed è
prevista la concessione di strutture idonee disponibili da parte dello
Stato e delle regioni.

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Cronaca 10a e 11a udienza del processo in corso a Milano contro i compagni e la compagna arrestati lo scorso 12/02/2007.

Cronaca 10a e 11a udienza del processo in corso a Milano contro
i compagni e la compagna arrestati lo scorso 12/02/2007.

Il 6 ottobre, dopo la pausa estiva, è ripreso il processo ai compagni arrestati con l’operazione “Tramonto”.

Fuori dall’aula, più di 150 persone, tra cui molti compagni in
nutrite delegazioni da Svizzera, Spagna, Belgio hanno fatto sentire la
loro calda solidarietà con interventi, slogans, striscioni, sostegno
che si è fatto sentire anche dentro l’aula, tra pugni chiusi e cori
internazionalisti. Una presenza molto significativa che ha mostrato
come il tentativo di criminalizzare la solidarietà internazionale,
culminato con gli arresti il 6 giugno scorso di 5 compagni in Belgio
appartenenti al Soccorso Rosso di quel paese (ora tutti liberati),
invece che fermare la solidarietà la ha estesa.
Un presidio molto importante non solo per la partecipazione numerosa in
appoggio ai comunisti sotto processo a Milano, ma anche per il suo
valore di tassello nello sviluppo della solidarietà internazionale, per
il sostegno ai rivoluzionari prigionieri in tutta Europa.

Dentro l’aula, dalle gabbie i compagni subito hanno denunciato il
pestaggio avvenuto contro alcuni prigionieri durante il trasferimento
dal carcere di Siano (CZ) a Milano. Il 3 ottobre, in particolare,
durante la “sosta” al carcere di Rebibbia, i compagni sono stati
oggetto di perquisizioni effettuate con modalità degradanti, con
flessioni, nudi, di fronte alle guardie, con l’unico obiettivo di
umiliarli. Di fronte al rifiuto dei prigionieri di proseguire tale
pratica, un compagno è stato portato a viva forza, praticamente nudo,
in cella di isolamento, tra le proteste degli altri. Il giorno dopo, la
partenza da Rebibbia è avvenuta tra due ali di agenti lungo i corridoi
che hanno percosso e insultato i compagni, in particolare Ghirardi e
Sisi.
La denuncia di tali condotte è stata messa per iscritto in un
documento, presentato dai prigionieri del PCP-M e sottoscritto da tutti
gli altri prigionieri, consegnato al giudice e messo agli atti.
Tale clima di pesante intimidazione si è potuto respirare anche durante
l’udienza: in aula sono ricomparse le panche tra le gabbie e i legali,
con il chiaro intento di rendere più difficoltosa la comunicazione tra
difesa e prigionieri; è stato impedito ai giovani avvocati
collaboratori negli studi dei legali di fiducia dei prigionieri di
potersi avvicinare alle gabbie, ostacolando così ancor di più il lavoro
collegiale delle difese.
Ma anche fuori, le zelanti guardie si sono distinte per il particolare
accanimento contro i compagni, minacciando di denuncia la compagna di
un detenuto nel momento dell’arrivo al tribunale, per aver avuto uno
slancio affettivo e avere tentato istintivamente di avvicinarglisi per
abbracciarlo dopo lungo tempo che non lo vedeva. La permanenza nel
carcere di Siano e i recenti spostamenti per il riavvio del processo
hanno infatti reso molto difficile ai familiari visitare con regolarità
i propri cari, costringendo in alcuni casi a una lontananza di più di
due mesi e, nessuna richiesta di potersi avvicinare alle gabbie da
parte di familiari e parenti durante le udienze, è stata finora accolta.
E’ ritornata inoltre la pagliacciata del paravento per nascondere il
volto dell’ispettore DIGOS Valente di Milano chiamato a testimoniare
dalla PM, nonostante il rinnovo dell’opposizione dei legali a tale
pratica che ostacola il diritto alla difesa, per l’evidente
impossibilità di cogliere quei segnali di comunicazione non verbale
utili al lavoro degli avvocati, ma che, soprattutto, come sottolineato
dall’avvocato Pelazza, pone un grave elemento di pregiudizio nei
confronti della corte, inducendola a considerare gli imputati come
pericolosi per l’incolumità dei testi. La PM, invitata da più legali a
specificare le motivazioni della richiesta del paravento, data
l’assenza nell’ordinamento giuridico di una norma che consente tale
pratica al di fuori di casi eccezionali (minorenni, pentiti di mafia,
ecc.), ha continuato a fare orecchie da mercante rimanendo nel vago e
giustificandosi con la solita scusa di tutelare chi è impegnato in
attività investigative. L’unica deduzione possibile, evidentemente, è
che non si vogliano “bruciare” i funzionari della DIGOS infiltrati nel
movimento milanese.
Per il resto, le due testimonianze estenuanti degli ispettori DIGOS di
Torino e Milano si sono concentrate, al solito, sui movimenti dei
compagni, sulle presunte tecniche di contro pedinamento, sulla “prova
gommone” (mai visto e senza alcuna ipotesi investigativa credibile) e
sulla ormai famosa pistola Sig Sauer. Era stata ritrovata nel deposito
di armi di Rossin ad Arzercavalli ma per essa era stata fatta una
richiesta di distruzione nel 1983, dopo che era stata sequestrata in
Piemonte per un reato. Ma se era stata distrutta come faceva ad essere
ad Arzercavalli? Su questo il teste, incalzato dalla difesa, dopo aver
detto che era stato un errore di computer, alla fine ha detto di non
essere in grado di dare spiegazioni di come ciò sia potuto avvenire.
Di seguito i testi della DIGOS si sono soffermati sulla descrizione di
un video, sequestrato ad un imputato, che riprende alcune sedi fasciste
e luoghi di ritrovo a Milano.
Nel controinterrogatorio, da sottolineare la richiesta di informazioni
da parte dell’avvocato Pelazza all’isp. Valente su un documento di “
Tutto antifà” circolato in internet con la mappa delle sedi fasciste a
Milano e sui trascorsi di due personaggi, citati dallo stesso come
“militanti di destra”, responsabili il primo di un attentato nel treno
Genova-Milano nel 1972 e l’altro, ex responsabile della Bottega del
fantastico, oggi defunto, condannato per l’omicidio di un agente,
sempre nel 1972. La risposta del funzionario ha suscitato l’ilarità del
pubblico: “Non sono qui per rispondere a domande di cultura generale”,
ha affermato.
La curiosità dell’avvocato Pelazza ha contagiato perfino il giudice
quando ha chiesto spiegazioni, sempre a Valente, su due relazioni della
DIGOS distanti 4 giorni l’una dall’altra: in entrambe era riportata la
stessa, identica descrizione dei movimenti di un imputato, un perfetto
copia-incolla, comprese le virgole, gli avverbi e le condizioni
metereologiche. Alla domanda stupita di Cerqua: “ma pioveva anche quel
giorno?”, l’ispettore ha risposto che l’imputato in questione era
“molto abitudinario”.
Almeno alla fine ci siamo fatti due risate…
L’udienza si è conclusa con slogans e saluti a pugno chiuso scambiati tra il pubblico e i compagni dentro la gabbia.

Comunicato 6 ottobre 2008

Con l’udienza di oggi riprende il processo che ci vede imputati in
un tribunale dello Stato borghese, strumento di dominio e oppressione
di classe.
Vogliamo affermare la natura politica di questo processo, resa evidente
dal trattamento carcerario cui siamo sottoposti. Dopo svariate
peregrinazioni tra Palermo, Napoli, Caserta, ecc. ci siamo ritrovati
quasi tutti radunati per la pausa estiva a Catanzaro, a "soli" 1.300 km
sia dai nostri parenti, sia dalla sede processuale e dagli avvocati.
Ovviamente ciò fa parte di ben note strategie per ottenere resa e
collaborazione, ed anche dello spirito fascistoide di certe autorità
dello "Stato democratico".
Il giorno 3 ottobre, dunque, siamo partiti in sette dal carcere si
Siano (CZ) per un tour di due giorni, approdando infine nei dintorni di
Milano.
Nel percorso, ci tocca una sosta notturna presso il carcere di
Roma-Rebibbia, usato spesso come vetrina delle buone intenzioni del
Ministero di Grazia e Giustizia, anche fucina dei processi dissociativi.
Qui veniamo sottoposti a modalità di perquisizione evidentemente
degradanti, con flessioni, nudi, a fronte di una o più guardie, senza
alcun fine che l’umiliazione personale. In quanto tali, peraltro,
queste modalità non sono a norma di legge; ma queste, quando ci sono,
sono sottoposte all’arbitrio.
Al rifiuto di ciò, segue immediatamente un’escalation aggressiva. Uno
di noi viene portato a viva forza, praticamente nudo, attraverso i
corridoi, in un a cella di isolamento.
Gli altri, protestando per il ritorno del loro compagno, vengono
portati più tardi ai transiti scortati da uno squadrone di guardie.
Il giorno successivo la partenza avviene tra due ali di agenti lungo i
corridoi, percossi ed insultati, alla presenza del comandante e di vari
ispettori. trattamento riservato in particolare a due compagni.
Niente dei nuovo sotto il sole, si dirà, essendo pratiche costantemente
presenti sotto il velo democratico e che rivelano invece il rapporto
sociale di dominio ed oppressione.
Anzi, sintomo, tra gli altri, dell’attuale militarizzazione sociale, di
una repressione che colpisce vari strati di popolazione, tra cui
appunto quella carceraria.
La nostra presenza in quest’aula, d’altronde, si motiva nella
continuazione di questa battaglia politica di classe; e pure
internazionalista, come ampiamente dimostrato dalla presente
solidarietà.
Non siamo certo qui a sottoporci passivamente ai riti di una legge che
resta espressione dell’oppressione di classe. Così non staremo qui ad
assistere sempre alla sfilata di tutti i personaggi assoldati dallo
Stato: poliziotti, pentiti e collaboratori.
Siamo qui per affermare la nostra identità comunista, la nostra
appartenenza alla classe operaia, la legittimità della lotta
rivoluzionaria.
Oggi, quando sarà finita questa giornata, una ventina di operai e
operaie saranno morti, uccisi dalle cause dirette della violenza dello
sfruttamento (incidenti, malattie mortali, intossicazioni).
Ogni giorno vediamo crescere la ricchezza della grande borghesia, così
come la miseria del proletariato. In questo nesso è sempre più evidente
la natura criminale di questo modello di società. Il processo di
imbarbarimento è causato dallo sfruttamento fra i gruppi e Stati
imperialisti, che portano alla guerra, all’oppressione dei popoli, al
saccheggio dei paesi fino all’esaurimento delle risorse naturali.
L’attuale crisi finanziaria, oltre a sprofondare interi continenti nel
caos e nella miseria, dimostra la fragilità del sistema,
l’impossibilità di trovare soluzioni e di riformarsi.

Per tutte queste ragioni, ribadiamo la prospettiva della lotta
rivoluzionaria di classe, come unica strada per il proletariato ed i
popoli oppressi ai fini della trasformazione e liberazione sociali.

I compagni detenuti del processo PCP-M
Milano, 6 ottobre 2008

Firmato da tutti i detenuti nelle gabbie

L’8 ottobre si è svolta la seconda udienza dopo la pausa estiva.

Come sempre si è tenuta in un’aula blindata da agenti della
penitenziaria, vari DIGOS, anche tra il pubblico, e carabinieri che non
hanno mancato in arroganza e prepotenza verso i famigliari quando
tentavano di salutare e comunicare per pochi istanti con i loro cari.
Appare, dunque, sempre molto evidente l’enorme dispendio di denaro
pubblico per questo processo tra trasferimenti attuati con grande
numero di mezzi, decine e decine di agenti a non fare nulla per ore e
ore. Tra il pubblico la presenza di compagni di lavoro degli imputati.
È stato acquisito agli atti un documento presentato da alcuni compagni
imputati agli arresti domiciliari nel quale esprimono solidarietà ai
compagni pestati nel carcere di Rebibbia e denunciano le condizioni di
isolamento a cui sono sottoposti da più di un anno. Al tentativo di un
compagno di leggerlo la PM si è opposta con la sua solita pratica,
sbraitando e definendo il documento sovversivo. A quel punto il
compagno si è alzato riassumendo il contenuto del documento e ribadendo
alla fine dell’intervento, la solidarietà ai compagni per le vessazioni
subite a Rebibbia. Per il resto, nell’udienza va segnalata la protesta
dell’avvocato Pelazza quando la Corte ha deciso di ascoltare come teste
un perito calligrafico che aveva eseguito una perizia su un biglietto
sequestrato in una perquisizione, ordinata dal PM Giovagnoli di Bologna
nel 2002, nell’abitazione del compagno Claudio Latino. Pelazza aveva
argomentato sull’inammissibilità del teste per vari motivi: i termini
scaduti per la presentazione della richiesta, il fatto che il sequestro
del biglietto era avvenuto ben prima dell’inizio delle indagini
dell’operazione “Tramonto” (iniziate ufficialmente nel 2004) e, quindi,
non poteva essere pertinente con il processo in corso a Milano.
Inoltre, la citata inchiesta bolognese, si è conclusa senza rinvio a
giudizio. Di fronte all’accettazione, da parte della Corte del teste,
l’avvocato Pelazza si è rifiutato di svolgere il contro-interrogatorio.
Si sono susseguiti anche vari agenti della DIGOS milanese, alcuni a
volto scoperto, altri coperti da passamontagna e separé, in pieno stile
poliziesco sudamericano. Alle domande dei difensori alcuni sono apparsi
molto vaghi e nervosi, tanto che perfino il giudice ha dovuto invitarli
a calmarsi e a cambiare tono.
Anche con questa udienza, come era accaduto nella precedente, si è
ripetuta “la comica” di alcuni atti riguardanti pedinamenti, identici
in tutto ma con data diversa.
Praticamente fatti tramite “copia incolla” e, proprio questi atti,
mancavano nelle relazioni in mano al teste in quel momento interrogato.
Ma che bella coincidenza! (come affermato da un avvocato della difesa).
Nell’udienza di lunedì prossimo saranno ascoltati ancora agenti della DIGOS di Milano e di Torino.
Salutando calorosamente tutti coloro che hanno portato la propria
solidarietà ai nostri cari diamo appuntamento all’udienza di lunedì 13
ottobre alle ore 9.30

Milano 8 ottobre 2008

Come imputati agli arresti domiciliari vogliamo esprimere
solidarietà ai nostri coimputati detenuti e unirci alla loro denuncia
per i pestaggi avvenuti sabato 3 ottobre nel carcere di Rebibbia.
Questo grave episodio rientra nel clima di tensione e soprusi che ha
caratterizzato questo procedimento fin dal giorno dei nostri arresti.
Lunghi periodi di isolamento carcerario, trasferimenti in carceri
lontanissimi sia dalle famiglie che dagli avvocati, trattamenti
detentivi ad hoc, ne sono esempio.
Anche le nostre condizioni di detenuti agli arresti domiciliari sono
caratterizzate da una serie di limitazioni e divieti tali da riprodurre
una gravosa situazione di isolamento volta a creare divisione sia tra
noi imputati, che tra noi e la rete di solidarietà che si è sviluppata
fuori.
Ci riferiamo al divieto di comunicare che ci impone un isolamento in
casa da oltre un anno, come se fossimo affetti da una malattia
contagiosa che invece non è altro che l’essere comunisti.
Questo è reso ancora più paradossale dal fatto che durante la nostra
detenzione in carcere potevamo scrivere e comunicare tramite posta con
chiunque.
Riteniamo che questo sia lesivo anche del nostro diritto di difesa
perchè il confronto e il dibattito tra noi imputati ne è parte
integrante; se da oltre un anno ci troviamo in questa condizione non è
certo per una presunta pericolosità sociale, ma per un motivo ben
preciso che è la nostra identità politica e internità nel movimento,
nelle università, nelle lotte popolari e dei lavoratori, in difesa del
diritto allo studio e contro le missioni militari.
Nello stesso contesto rientra il continuo divieto di riprendere
l’attività lavorativa che ci permetterebbe di non gravare ulteriormente
sui nostri familiari e conviventi.
Così anche il regolare impiego della scorta per qualunque spostamento,
dalla visita medica, agli esami universitari, alle udienze (fino ad
oggi abbiamo percorso più di 22.000 km scortati).
Le restrizioni a cui siamo costretti si inseriscono in un quadro
repressivo nato dalla crisi economica e strutturale del sistema
capitalista, che vede i lavoratori e le loro famiglie in condizioni
sempre più precarie, mentre le città vengono militarizzate, le
aggressioni fasciste e razziste aumentano di continuo fomentate dalla
politica reazionaria e di intolleranza promossa dallo Stato.
Il clima in cui si svolge questo processo non può essere ignorato in
quanto il suo carattere politico è funzionale alle politiche repressive
di questa società, e da questo ne derivano tutte le vessazioni e
soprusi a cui vengono sottoposti tutti gli imputati di questo processo.

Federico Salotto,
Alfredo Mazzamauro,
Michele Magon,
Amarilli Caprio,
Alessandro Toschi.

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on Cronaca 10a e 11a udienza del processo in corso a Milano contro i compagni e la compagna arrestati lo scorso 12/02/2007.

Vicenza, via il bavaglio! Si vota.

 
 

 
 
 
Vicenza, via il bavaglio! Si vota.
 
È arrivato il giorno della grande consultazione popolare con la quale Vicenza decide il futuro dell’aeroporto Dal Molin. Oggi si vota per difendere la democrazia

COME SI VOTA
LA MAPPA DEI SEGGI
Diamo i numeri: perché votare SÌ

Esprimi il tuo voto anche online (il voto online non sostituisce quello al seggio!)

 

È
arrivato il giorno della grande consultazione popolare con la quale
Vicenza decide il futuro dell’aeroporto Dal Molin. Dopo l’atto di
dispotismo del Consiglio di Stato che, esprimendo una sentenza ben poco
fondata giuridicamente e molto filogovernativa, ha annullato la
consultazione ufficiale organizzata dall’Amministrazione comunale,
centinaia di volontari si sono offerti per garantire l’apertura dei 53
seggi; i quali, invece di essere all’interno delle scuole, saranno
davanti ai cancelli di queste ultime dove questa mattina all’alba sono
stati sistemati gazebo, tavoli e urne.

Sarà, quello di oggi, un referendum vero, con tanto di liste
elettorali, presidenti di seggio e scrutatori; seggi aperti dalle 8.00
alle 21.00, poi lo scrutinio. Per votare è necessario il documento
d’identità e si può consegnare la scheda soltanto nel proprio seggio di
appartenenza. Chi non avesse ricevuto a casa la scheda – o l’avesse
perduta – può chiederne un duplicato direttamente al seggio.

In città, ieri, si respirava un clima di effervescenza. Come riporta
l’Ansa, furgoncini e auto private giravano i quartieri della città
berica con gli altoparlanti per invitare al voto; ai banchetti
organizzati nelle piazze si fermavano tanti cittadini intenzionati a
esprimere il proprio parere sul futuro della grande area verde alla
periferia della città. È il giorno della dignità di Vicenza: un voto
che non ha soltanto a che fare con il progetto statunitense, ma che
rappresenta soprattutto un momento di difesa della democrazia che a
Vicenza è stata calpestata da chi ha fatto dell’imposizione la propria
forma di governo.

Dopo la splendida risposta di mercoledì sera – quando 12 mila vicentini
sono scesi in piazza per protestare contro le sentenza del Consiglio di
Stato emessa poche ore prima – oggi Vicenza dimostra la propria
determinazione a difendere la democrazia e la dignità di una città che
qualcuno vorrebbe silenziosa e accondiscendente. A nulla sono serviti,
in questi giorni, gli insulti piovuti sulla città berica da chi, come
il governatore veneto Giancarlo Galan, non riesce ad accettare che i
cittadini possano esprimersi democraticamente.

Nel frattempo, messaggi di solidarietà e appoggio alla popolazione
vicentina sono giunti da tutta Italia; e, in molte città, quest’oggi
saranno aperti dei seggi simbolici dove i cittadini voteranno sulla
stessa scheda sulla quale migliaia di vicentini porranno la propria
croce. Un modo per dimostrare il proprio sostegno al diritto di Vicenza
di potersi esprimere liberamente, ma anche di ricordare che la città
del Palladio non è sola nell’opposizione alla militarizzazione del
territorio. Ma la vicenda Dal Molin supera anche i confini nazionali,
tanto che ieri si è svolta una protesta davanti al consolato italiano
di Barcellona e oggi avverrà altrettanto in altre città europee.

Buon voto, dunque: Vicenza, via il bavaglio!

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