La polizia carica. Vicentin* occupano i binari!

La polizia carica. Vicentin* occupano i binari! Oggi il benvenuto a Costa

fonte: repubblica.it

Vicenza, i ‘No dal Molin’
occupano i binari della stazione

Vicenza, i ‘No dal Molin’ occupano i binari della stazione

VICENZA – I manifestanti del coordinamento ‘No Dal Molin’, dopo un primo scontro con le forze dell’ordine, hanno occupato i binari della stazione di Vicenza. La protesta nel corso di una fiaccolata per ribadire il "no" alla nuova base Usa di Vicenza all’aeroporto Dal Molin, dopo il recente sì del Consiglio di Stato, che ha di fatto dato il via libera al governo. L’occupazione è durata circa dieci minuti, e non ha avuto conseguenze sul traffico ferroviario: un gesto simbolico, dal momento che domani arriva a Vicenza il commissario governativo Paolo Costa.

Dopo lo scontro con le forze dell’ordine, che li avevano fatti ripiegare lungo viale Roma, e nel corso del quale ci sono state anche alcune manganellate da parte degli agenti, parte dei dimostranti – circa 2000 in tutto – ha iniziato a correre verso i lati esterni della stazione. In un punto hanno trovato un piccolo cancello aperto che ha rappresentato il varco per la conquista della sede ferroviaria.

Nello scontro di stasera tra forze dell’ordine e dimostranti sono rimasti leggermente contusi due poliziotti, e due o tre dimostranti. La decisione dei ‘No Dal Molin’ di forzare la mano è arrivata dopo il ‘no’ opposto dal questore di Vicenza, Giovanni Sarlo, alla richiesta dei manifestanti di entrare nella stazione.

I manifestanti hanno abbandonato volontariamente i binari. E’ assai probabile tuttavia che domani la questura, sulla base delle riprese filmate della protesta, possa segnalare alla magistratura gli eventuali responsabili dell’azione.

 

 

da www.infoaut.org

Dopo la risposta immediata di martedì scorso , in seguito al pronunciamento del Consiglio di Stato, Vicenza torna a farsi sentire e ad affermare il proprio NO determinato ad un futuro da retrovia della guerra globale. 3.000 vicentin* sono scesi in piazza ieri sera per dare una risposta forte al sopruso. 


Ci sono stati momenti di tensione e cariche di "alleggerimento" da parte della Polizia che non voleva permettere l’entrata in stazione del corteo. La decisione dei ‘No Dal Molin’ di forzare la mano è arrivata dopo il ‘no’ opposto dal Questore di Vicenza, Giovanni Sarlo, alla richiesta dei manifestanti di entrare nella stazione. Dopo un primo contatto con le forze dell’ordine, con qualche contuso tra i manifestanti, alcuni dimostranti sono riusciti a entrare.
Il corteo ha in seguito deciso di spiazzare l’assedio andando ad occupare i binari della stazione per una mezzora.

http://www.youtube.com/v/gFfqlpJVxRE&hl=en&fs=1 Oggi è invece previsto l’arrivo in città del commissario governativo Paolo Costa. Questo tre giorni dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato che, accogliendo il ricorso del Governo ad una sentenza del Tar Veneto favorevole ai contrari al progetto, ha di fatto dato il via libera all’avvio dei lavori della base. Pesante la militarizzzione dell’area antistante la Prefettura con poliziotti in assetto anti-sommossa e blindatura della piazza. I No Dal Molin pretendono comunque di consegnare a Costa il loro foglio di via dalla città. Per maggiori info: www.nodalmolin.it ">Ascolta l’intervisa con Francesco Pavin
Guarda il video della fiaccolata e delle manganellate di ieri:

Oggi è invece previsto l’arrivo in città del commissario governativo Paolo Costa. Questo tre giorni dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato che, accogliendo il ricorso del Governo ad una sentenza del Tar Veneto favorevole ai contrari al progetto, ha di fatto dato il via libera all’avvio dei lavori della base.
Pesante la militarizzzione dell’area antistante la Prefettura con poliziotti in assetto anti-sommossa e blindatura della piazza.
 I No Dal Molin pretendono comunque di consegnare a Costa il loro foglio di via dalla città.

Per maggiori info: www.nodalmolin.it

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on La polizia carica. Vicentin* occupano i binari!

Il Ponte dell’11 settembre

terrorismoNon ci sarebbe stata solo la mafia italoamericana a volere investire milioni di euro per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Stando alle indagini della Procura di Roma, una parte dei soldi potrebbe essere stata promessa da misteriosi finanziatori arabi. Giuseppe Zappia, l’ingegnere accusato di associazione mafiosa per i lavori del Ponte, ha rivelato l’identità di uno di essi. Si tratterebbe di uno dei congiunti della casa reale dell’Arabia Saudita. Spuntano così pericolosi trafficanti d’armi e agenti segreti, faccendieri e terroristi internazionali. E il sogno del Ponte s’incrocia con le indagati per gli attentati alle Torre Gemelli di New York, l’11 settembre del 2001…

 

leggi l’intervento di Antonio Mazzeo
rtf

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on Il Ponte dell’11 settembre

Roma:In ricordo di Renato,a 2 anni dalla morte ·

Sono passati ormai 2 anni da quando , il 27 agosto del 2006, Renato, uscendo da una dance hall reggae sulla spiaggia di Focene, insieme alla sua fidanzata e al suo amico Paolo, fu aggredito da due giovani scesi dalla loro auto coltelli alla mano. Gli urlarono di tornare a casa, che quello non era il loro territorio. Colpirono Renato che, a 26 anni, morì poche ore dopo in ospedale. Nella disperazione di quei giorni i familiari, gli amici e i compagni si trovano a spiegare una scomoda verità: chi esce di casa armato di coltello per colpire chiunque possa essere considerato diverso, altro, di colore, gay, di sinistra, è un fascista. Che solo a Roma, nell’anno precedente c’erano state più di 130 aggressioni di matrice fascista. Oggi, che sono passati quasi 2 anni, si apre il processo per l’imputato minorenne. Il PM sostiene che Renato sia stato ucciso al termine di “banale diverbio degenerato per futili motivi”, e così lo uccidono una seconda volta. Lettera al Pm e al Giudice del Tribunale Minorile di Roma
"Come madre di Renato Biagetti sento la necessita’ di esprimermi riguardo all’omicidio ed alle accuse con cui il PM cita in giudizio Amoroso Gioacchino. Io non sento l’esigenza di una giustizia punitiva per il crimine che ha tolto la vita a mio figlio, solo su una cosa non transigo: sulla VERITA’ che mi è dovuta e che è dovuta a Renato, che non ha compiuto nessun reato. Di una giustizia menzognera non so che farmene, non mi appartiene se la motivazione sara’ ancora ‘morte per rissa avvenuta per futili motivi tra balordi’. Se questa deve essere la modalità per avere giustizia, preferisco che vengano dichiarati entrambi innocenti e mandati liberi! Solo attraverso una OGGETTIVA VERITÀ DEI FATTI si puo’ ottenere una giustizia. Perche’ io conosco Renato e il suo modo di vivere come nessun altro. Non accettero’ mai una lettura di questo evento tragico come un semplice e banale diverbio degenerato per futili motivi ! Per tante ragioni: perche’ Renato non era un rissoso e nella sua vita non ha mai fatto a botte, non ha mai cercato lo scontro fisico con nessuno, ha sempre anteposto al suo il bene del prossimo. Era un ragazzo che ha dedicato la sua giovane vita allo studio, ottenendo sempre ottimi risultati e non riportando mai note disciplinari…potrei allegare tante dichiarazioni dei suoi insegnanti e in special modo da chi lo ha visto come allievo nell’ultimo periodo della sua generosa vita. E cosi’ e’ stato anche quella notte. Perchè Renato Laura e Paolo sono stati aggrediti – mentre stavano tornando a casa dopo una tranquilla serata reggae sul litorale di Focene – da due individui, scesi dalla loro auto già armati di coltelli. Perche’ quei due armati di coltelli gli sono saltati addosso con violenza inaudita urlando loro di tornarsene a casa perche’ non erano del luogo. Signor Giudice, Signor PM chi scende dalla propria auto con coltelli alla mano per aggredire chiunque possa considerare estraneo e diverso, non sta cercando una lite. E’ un aggressore, e’ un potenziale assassino (come i fatti hanno dimostrato). Le mani di mio figlio erano bianche, non ha mai impugnato nulla che potesse offendere l’altro, anche nel momento dell’estremo saluto accanto ad un medico del Policlinico Gemelli, notavamo come fossero perfette, senza segni, ne’ escoriazioni. Non e’ possibile ridurre la violenza di questo atto alla degenerazione tragica di un banale diverbio, perche’ sarebbe come uccidere mio figlio un’altra volta. Renato ha ricevuto 8 coltellate violentissime e non soltanto Laura e Paolo – che erano direttamente coinvolti – ma anche altri testimoni hanno visto che tutti e due avevano in mano un coltello e che entrambi hanno colpito Renato. Nel giudicare l’imputato di questo processo si deve tener conto delle testimonianze di chi era presente quella notte, di chi era al suo fianco, di chi insieme a Renato è stato aggredito e ha avuto lesioni, per ricostruire l’accaduto in modo corretto senza omettere le responsabilita’ di entrambi gli assassini. Vi chiedo, nel processo, di raccontare l’aggressione con oggettiva verità e trarre le conseguenti conclusioni. Lei, giudice, ha in mano uno strumento di comunicazione e di educazione verso i giovani. Gli atti devono raccontare la verità, una verità semplice: che due ragazzi per odio verso l’estraneo, verso il diverso da sé e dal proprio contesto, hanno aggredito e ucciso Renato e ferito Paolo e Laura. La sentenza sulla morte di mio figlio può avere una valenza per altri giovani se viene raccontata negli atti la verità sull’aggressione violenta e devastante che ha subito mio figlio, oso dire scannato come un agnello sacrificale. Per dare un senso alla morte di Renato si deve chiarire quanto siano orribili la sopraffazione e l’uso delle armi, quanto sia terribile non riconocere nell’altro un proprio simile, ma solo un nemico da battere. In tal modo la sua sentenza deve servire a convincere un ragazzo a fermarsi, a riconoscere la supremazia della vita, deve fermarlo prima che una vita ancora sia strappata. Se lei scriverà una sentenza che possa fermare un’altra aggressione, avrà restituito a mio figlio la vera essenza della vita che è l’amore universale o anche semplicemente e non secondariamente la giustizia. Certa di essere compresa la ringrazio e le porgo i piu’ distinti saluti." Stefania Zuccari
Il prossimo 27 agosto saranno 2 anni che una mano fascista ci ha portato via il sorriso e gli occhi di Renato. Tante iniziative in questi 2 anni, frutto della passione di tanti compagni e compagne hanno permesso di realizzare i suoi sogni. Uno di questi è la sala prove e registrazione Renoize attraversata in questi pochi mesi di vita già da tantissimi giovani gruppi musicali e fucina di riflessioni sulle autoproduzioni.

Grazie a questo progetto il prossimo 29 agosto ricorderemo Renato attraverso la musica, la sua grande passione, in un concerto in cui si esibiranno
.Apostoli della strada,
.Bestie Rare,
.Rancore,
.Filippo Gatti,
.Bobo Rondelli,
.24 Grana

e in cui attraverso i suoni, le immagini e le parole racconteremo ancora una volta la verità su cosa accadde quella maledetta notte sul litorale di Focene, quando l’odio per il diverso di due giovani di 17 e 19 anni strappò con 8 coltellate la vita di Renato.

Con Renato nel cuore, ma anche per Carlo, Dax, Federico e Nicola che sono Ognuno di Noi Venerdì 29 agosto 08 dalle 18 alle 24 Parco della Basilica di San Paolo Via Ostiense, Roma.

Con rabbia e con amore i compagni e le compagne di Renato

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | Comments Off on Roma:In ricordo di Renato,a 2 anni dalla morte ·

Lega Nord a congresso con i neofascisti di tutta Europa ·

Lega Nord a congresso con i neofascisti di tutta Europa

La Lega Nord aderisce al “Congresso contro l’islamizzazione” indetto a Colonia, dal 19 al 21 settembre prossimo, dal movimento "Pro Köln". Ne dà notizia il sito informativo francese Rue 89.

Al congresso sarà presente un po’ tutta la galassia dell’estrema destra europea. Tra gli altri interverranno il fiammingo Vlaams Belang, nato sulle ceneri del Vlaams Blok, partito sciolto dall’Alta Corte belga per incitamento alla discriminazione e all’odio razziale, e l’Npd, organizzazione orgogliosamente neonazista che in certe regioni del nord della Germania supera il 30 per cento dei consensi. L’Npd, per intenderci, è quel partito i cui deputati, un paio di anni fa, uscirono dall’aula mentre l’Assemblea osservava un minuto di silenzio in memoria delle vittime di Auschwitz, e che, in occasione del 60° anniversario della fine delle seconda guerra mondiale, pretendeva di poter andare a sventolare bandiere uncinate nei pressi della Porta di Brandeburgo, a pochi metri dal Memoriale della Shoah.

Annunciata, anche, la presenza del "Lavoro, Famiglia e Patria" di Henry Nitzsche (già membro della CDU ma indotto ad abbandonare il partito a seguito di sempre più esplicite manifestazioni di simpatia per l’estrema destra neonazista), e della rivista, anch’essa tedesca, Nation-Europa, fondata da ex appartenenti alle SS e le cui pagine possono vantare la firma di Alain de Benoist, ideologo della Nuova Destra francese nonché uno dei “Buoni Maestri” dei nostri Giovani Padani, come si può leggere sul loro sito.

Ovviamente aderiscono pure l’Fpö austriaco ed il francese Front National di Le Pen, adesione, quest’ultima, che desta qualche preoccupazione oltralpe. Ma che dire, allora, della Lega Nord, che non solo propone gli stessi odiosi argomenti di Le Pen, che non solo, a differenza di Le Pen, trova sponda elettorale presso gli altri partiti di destra e del centro destra, ma che pure, sempre a differenza di Le Pen, insieme a quegli altri partiti se ne sta tranquilla e minacciosa al governo?

Comunque vadano pure, gli impenitenti leghisti, a levare la spada dell’Alberto da Giussano in mezzo a rune e croci celtiche. Che Roberto Maroni poi la smetta di affermare, però, con un’irritante faccia tosta, che i suoi provvedimenti in materia di immigrazione sono vittime di pretestuosi “fraintendimenti”.

Daniele Sensi

http://danielesensi.blogspot.com/2008/07/lega-nord-congresso-con-i-neofascisti.html


IMPEDIRE IL CONGRESSO INTERNAZIONALE RAZZISTA

http://www.hingesetzt.mobi/cms/index.php?option=com_content&view=article&id=113&Itemid=112

Dal 19 al 21 settembre 2008 razzisti e neofascisti da tutta l’Europa
vogliono tenere a Colonia un cosiddetto "Congresso
anti-islamizzazione". Invitati dall’autodefinitosi "Movimento Civico per Colonia"("Bürgerbewegung pro Köln"), membri di gruppi di destra europei, che si presume possano raggiungere il numero di 1000 presenze, di diversa connotazione (dai "classici" neonazisti fino ai conservatori di destra), vogliono divulgare la loro propaganda contro cittadini di altra origine e religione, con il pretesto di una presunta critica all’Islam. Pro Köln (Per Colonia) è un partito di estrema destra che da anni porta avanti a Colonia e a livello sovra regionale una politica razzista. Molti funzionari e membri di Pro Köln provengono da partiti neonazisti e da gruppi quali il "NPD", i "Republikaner" e la "Deutsche Liga für Volk und Heimat" (lega tedesca per il popolo e la patria). Ultimamente Pro Köln ha aizzato gli animi principalmente contro la costruzione di una moschea a Colonia-Ehrenfeld, cercando così di catturare voti con propaganda razzista e di estrema destra.
Al congresso di settembre hanno annunciato la loro partecipazione tra l’altro rappresentanti di partiti di estrema destra dall’Austria (FPÖ), Belgio (Vlaams Belang), Italia (Lega Nord), USA (Robert Taft Group), Gran Bretagna (British National Party), Spagna e Ungheria. Vi dovrebbe inoltre partecipare il presidente del FN, Front National, di estrema destra Jean Marie Le Pen, noto a livello internazionale. Con questo congresso europeo basato su di una campagna di odio, i neofascisti di vecchi data di Pro Köln perseguono due obiettivi: intensificare la collaborazione tra i partiti di estrema destra in tutta l’Europa e aprire con questa grossa iniziativa la campagna elettorale per le elezione comunali nel Nordreno-Westfalia del 2009.

Noi non tollereremo né un congresso internazionale di stampo razzista né permetteremo che il partito Pro Köln/Pro NRW possa portare avanti indisturbato la sua propaganda razzista.
Per questa ragione chiamiamo tutti a raccolta per impedire questo congresso!
Questo obiettivo può solo riuscire se durante quei giorni un numero più alto possibile di persone bloccherà il luogo in cui si tiene la manifestazione e impedirà il passaggio ai militanti della destra.
Sebbene abbiamo diversi punti di vista politici, questo obiettivo ci
unisce.
Ci contrapporremo a questo congresso con fermezza e il nostro
intervento sarà comune e ricco di una grande varietà di posizioni.
Tramite la disobbedienza civile respingeremo Pro Köln e suoi seguaci.
Partecipate ai blocchi di massa davanti al luogo di svolgimento del congresso!
Non passeranno!

LISTA ADESIONI
http://www.hingesetzt.mobi/cms/index.php?option=com_content&view=article&id=47&Itemid=56

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | 1 Comment

Chiaiano : prove generali di riappropriazione

Chiaiano : Prove generali di riappropriazione

Nella serata di ieri il presidio permanente di Chiaiano e Marano contro la discarica ha consentito ai mezzi delle aziende per la raccolta di rifiuti di pulire parte dell’immondizia accumulata ai fianchi delle barricate. Un operazione necessaria dopo 4 mesi di blocchi e barricate che hanno portato la parte alta di Via Cupa dei Cani in pessime condizioni igienico sanitarie. A seguito dell’intervento di pulizia un nutrito gruppo di attivisti si e’ inoltrato nella Selva fino a giungere a poche centinaia di metri dalle cave. Con grande stupore abbiamo trovato una postazione della Guardia Forestale con tanto di jeep e filo spinato che costituiva un vero e proprio check point per chiunque si fosse inoltrato sui sentieri verso la cava. La presenza di filo spinato rendeva il tutto ancora piu’ lugubre, ed alle domane dei cittadini riferite al fatto se la zona militare cominciasse proprio li’, gli agenti ed i funzionari dell’ordine pubblico non sapevano dare risposta. A quel punto un centinaia di attivisti del presidio hanno cominciato a rimuovere il filo spinato, a forare le gomme dei mezzi della forestale per quello che era un check point assolutamente illeggittimo. La Forestale proteggendosi con gli scudi ha provato ad ostacolare la rimozione del check point ma ha dovuto battere in ritirata davanti alla determinazione dei cittadini. Dopo l’eliminazione del check point il centinaio di cittadini si sono avvicinati fino al limite invalicabile della zona militare mettendo in subbuglio la brigata garibaldi che trova all’interno della cava. Quello di ieri e’ un’atto di ripristino della normalita’ effettuato dal presidio permanente che ha eliminato un check point illeggittimo e invasore.
Una prova generale di quello che faremo il 27 settembre, quando in occasione della manifestazione nazionale a Chiaiano e Marano proveremo a riprenderci la nostra terra.

Presidio Permanente di Chiaiano e Marano contro la discarica

Ascolta Jatevenne… la canzone del presidio

31 Luglio Critical Mass contro la discarica

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on Chiaiano : prove generali di riappropriazione

Vicenza si difende: news No Dal Molin

Non si è fatta aspettare la reazione dei No dal Molin all’ordinanza del Consiglio di Stato che oggi ha accolto il ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Difesa contro l’ordinanza del Tar del Veneto che aveva sospeso i lavori della nuova base.
"Una sentenza politica, quella del Consiglio di Stato", scrivono in un comunicato i cittadini del Presidio No Dal Molin. Le preoccupazioni e il netto dissenso che da oltre due anni esprime un’intera comunità, "non prive di oggettive giustificazioni", come si legge nell’ordinanza, non contano nulla. Non ci sono neppure rischi concreti dal punto di vista ambientale nonostante non sia mai stata fatta nessuna valutazione d’impatto ambientale.
Da oggi i cittadini del Presidio lanciano una settimana di mobilitazione che è partita stasera con una manifestazione, a cui hanno partecipato centinaia di persone, davanti ai cancelli dell’Aeroporto. Ancora una volta al lavoro gli operai dell’Altro Comune che hanno realizzato un blocco stradale utilizzando dei plinti fissati con il cemento a presa rapida a 200 mt dai cancelli, a loro protezione le donne del Presidio. I cancelli erano naturalmente blindati dalle forze dell’ordine.
Dopo questa iniziativa i cittadini hanno dato vita ad un "soft walking" con le automobili verso la caserma Ederle. Un lungo e rumoroso serpentone di circa 200 macchine, che si è ingrossato lungo il tragitto, ha attraversato molto lentamente la città per raggiungere la Caserma, bloccando completamente il traffico cittadino. Arrivati sul posto il "soft walking" è continuato intorno alla Ederle a suon di clacsons per far capire quanto sia indesiderata la presenza militare statunitense.
Giovedì 31 agosto la protesta si sposterà nel centro cittadino con una nuova iniziativa pubblica alle ore 20.30 in P.zza Castello per "difendere Vicenza".
Un appuntamento importante sarà poi dal 4 al 14 settembre con il campeggio nazionale No Dal Molin. "Se i lavori saranno iniziati, li bloccheremo", annunciano dal Presidio.

Cronaca audio
"Siamo più determinati di prima, siamo incazzati" dalla Caserma Ederle Francesco che ricorda l’appuntamento di giovedì 31 luglio che avrà lo slogan "Vicenza si difende".
-  [ audio ]
"Qua nessuno si sente sconfitto da questa ordinanza. La situazione adesso è cambiata, ma non la nostra determinazione". Dal "soft walking" la corrispondenza con Olol, Presidio No Dal Molin.
-  [ audio ]
Ci si prepara al "soft walking" verso la Caserma Ederle. Dall’iniziativa sull’ordinanza del Consiglio di Stato un commento di Davide.
-  [ audio ]
Gli interventi durante l’assemblea prima della partenza del corteo verso i cancelli dell’Aeroporto di Francesco [ audio ] e Cinzia [ audio ]

Link
www.nodalmolin.it

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on Vicenza si difende: news No Dal Molin

A Manca pro s’Indipendentzia a congresso

A Manca pro s’Indipendentzia a congresso

conflitti globali

Nelle giornate dall’11 al 13 luglio si è svolto a Nuoro, presso la sede nazionale, il II° Congresso Nazionale di a Manca pro s’Indipendentzia. Al Congresso hanno preso parte tutti i militanti dell’organizzazione che, secondo statuto, costituiscono l’Assemblea Politica Nazionale, massimo organo della nostra organizzazione.

Nel corso delle giornate dell Congresso sono stati affrontati i seguenti temi:

ANALISI DELL’ATTIVITÀ POLITICA DI A MANCA PRO S’INDIPENDENTZIA. Nel periodo dal precedente congresso (Nuoro, aprile 2006) ad oggi, con particolare riferimento a come la nostra organizzazione ha saputo affrontare l’attacco repressivo lanciato dallo stato italiano con “l’operazione Arcadia”. In questa fase di analisi è stato sottolineato il fatto che in ogni situazione di repressione la risposta più proficua è comunque sempre la pratica politica che smaschera in maniera palese i reali intenti che muovono gli apparati repressivi.

ANALISI DELLA FASE INTERNAZIONALE. Ciò che è emerso nella discussione congressuale è che quello che deve caratterizzare un’analisi internazionale non deve essere un errato approccio euro-centrico, intendendo l’entità Europa Unita come una categoria imperialista tanto quanto i singoli Stati che la comporrebbero. Lo spazio da cui partire per un’analisi come Popolo Sardo è, geograficamente, storicamente, economicamente, politicamente, socialmente e culturalmente, quello mediterraneo, con la Sardigna, posta esattamente al centro che, da un lato, funge da luogo di incontro degli interessi politico-militari delle potenze imperialiste, dall’altro funge da ponte e luogo di incontro tra Africa, Europa e Medio Oriente. Questo spazio presenta al suo interno situazioni di oppressione nazionale e sociale, nazioni senza Stato, colonie e popoli oppressi che costituiscono un punto di riferimento imprescindibile nell’osservazione delle dinamiche e degli equilibri imperialisti. Punti di riferimento da cui partire per sviluppare un internazionalismo finalizzato alla costruzione di rapporti di solidarietà internazionale e relazioni internazionali per la risoluzione pratica delle rispettive questioni nazionali e sociali.

ANALISI DELLA FASE NAZIONALE. La Sardigna è una colonia dello Stato italiano perché in essa la rapina sistematica delle risorse economiche, delle risorse umane e del patrimonio naturale ed ambientale, lo sfruttamento imposto dal capitalismo straniero (intendendosi in tale accezione naturalmente anche quello “italiano”) a tutti i settori dell’economia, la soppressione di qualsiasi attività economica autonoma e non integrabile e di qualsiasi forma di autogestione delle risorse, l’utilizzo del territorio nazionale come area di servizi del capitalismo internazionale, hanno determinato e determinano un regime di sfruttamento della forza-lavoro del Popolo Lavoratore Sardo ad opera del capitalismo internazionale e del colonialismo italiano ed una sua conseguente oppressione nazionale e di classe. Il colonialismo italiano è: Economico, Politico e Ideologico.

Possiamo considerare la fase attuale come una fase di trasformazione del colonialismo dalla sua forma classica ad una più moderna, maggiormente adatta alle esigenze del capitalismo contemporaneo. Questo significa che la Sardigna subisce lenti, graduali ma precisi processi di trasformazione che, da luogo di rapina delle risorse ne stanno facendo un’area di servizi del capitalismo internazionale. È dunque una fase di transizione tra vecchie e nuove forme di sfruttamento coloniale, organica alla ristrutturazione capitalistica in atto all’interno dello Stato italiano e dell’imperialismo mondiale. Ma anche in questa fase di trasformazione il colonialismo mantiene salda la sua “spina dorsale” che è costituita dal regime di dipendenza economica che tiene saldamente legata la Sardigna all’italia. La Sardigna, colonia dell’italia, non può avere settori economici prosperi e autosufficienti, in quanto, se ci fossero, questi potrebbero creare uno stato di autosufficienza, di ricchezza, di autonomia economica, e ciò potrebbe permettere ai Sardi di vivere del loro lavoro. Così l’Italia, in perfetto accordo con la classe politica compradora, preferisce che la Sardigna fornisca solo materie prime, affinché sia costretta a rimanere sempre legata ai finanziamenti assistenziali dello Stato, cioè in uno stato di dipendenza. In quest’ottica si può affermare che qualsiasi lotta politica sviluppata in Sardigna, esterna alle dinamiche della coscienza nazionale, che non incida nel processo di rottura della dipendenza, non porta alcun vantaggio reale per le sorti del Popolo Lavoratore Sardo.

DISCUSSIONE SULLA LINEA POLITICA. Nelle nazioni senza Stato e nelle colonie, lo scontro tra imperialismo ed antimperialismo assume la forma – ma soprattutto la sostanza – della lotta anticolonialista, costituendo la liberazione nazionale dei popoli oppressi un avanzamento del movimento rivoluzionario internazionale ed un corrispondente indebolimento del campo imperialista.

L’emancipazione del Popolo Lavoratore Sardo può avvenire esclusivamente assumendo come base di azione la rottura delle catene coloniali che tengono legata la Sardigna allo Stato italiano e contemporaneamente sciogliendo lo scontro capitale-lavoro ponendo in essere il primato del lavoro sul capitale. E’ quindi necessario schierarsi sul terreno dell’anticolonialismo sviluppando la questione dell’autodeterminazione-autodecisione-autogoverno del Popolo Lavoratore Sardo.

Per autodeterminazione si intende il diritto del Popolo Lavoratore Sardo di riconoscersi in quanto tale nella propria specificità, acquisendo in questo modo una coscienza di classe-nazione che metta le basi per la questione della sovranità nazionale, ovvero la capacità insita nel Popolo Lavoratore Sardo di decidere autonomamente del proprio destino.

Per autodecisione si intende il diritto della classe-nazione sarda di separazione dallo Stato italiano per la creazione della Repubblica Socialista di Sardigna.

Per autogoverno si intende il diritto della classe-nazione di gestione delle risorse, della struttura e della sovrastruttura nell’interesse esclusivo del Popolo Lavoratore Sardo e, tramite questo del proletariato internazionale.

PUNTI PROGRAMMATICI DI A MANCA PRO S’INDIPENDENTZIA. La novità sostanziale di questo ultimo congresso è che aMpI ha elaborato un proprio programma generale, ovvero un insieme di punti programmatici generali di intervento nei vari settori della vita economica, politica e culturale sarda. Tali punti sono:

# ECONOMIA
# OCCUPAZIONE MILITARE,
# LINGUA E CULTURA,
# REPRESSIONE,
# SINDACATO,
# RELAZIONI INTERNAZIONALI,
# RELAZIONI NAZIONALI,
# EMIGRAZIONE = DEPORTAZIONE,
# EMIGRAZIONE INTERNA

Le Tesi Provvisorie presentate durante il congresso e rimaste nella sostanza invariate – in attesa di una stesura definitiva – sono rinvenibili sul sito web dell’organizzazione: www.manca-indipendentzia.org
Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on A Manca pro s’Indipendentzia a congresso

The Guardian: La sanguinosa battaglia di Genova

http://www.carta.org/campagne/genova+2001/14697

La sanguinosa battaglia di Genova
Nick Davies The Guardian
[18 Luglio 2008]

Traduciamo e pubblichiamo un articolo apparso sul quotidiano britannico The Guardian il 17 luglio a proposito delle sentenze sui processi per i fatti del G8 del 2001. L’articolo è di Nick Davies. Che cerca di trarre da Genova una lezione per tutte le cosiddette democrazie.

Era poco prima di mezzanotte quando il primo agente di polizia colpì Mark Covell con una manganellata sul braccio sinistro. Covell fece del suo meglio per gridare, in italiano, di essere un giornalista, ma in pochi secondi si trovò circondato da agenti in tenuta antisommossa che lo colpivano con i manganelli. Per qualche secondo, è riuscito a rimanere in piedi, fino a quando un colpo sul ginocchio non lo ha gettato sul pavimento. A faccia in giù nell’oscurità, escoriato e spaventato, si rendeva conto di avere agenti tutt’intorno, che si stavano ammassando per attaccare gli edfici delle scuole Diaz e Pertini, dove 93 manifestanti si erano accampati per passare la notte. La speranza di Covell era che gli agenti passassero attraverso la catena che chiudeva il cancello principale senza più occuparsi di lui. Se fosse andata così, avrebbe potuto alzarsi e correre oltre la strada, per cercare riparo nel centro di Indymedia, dove aveva passato gli ultimi tre giorni a scrivere sul summit del G8 e sulla violenta gestione dell’ordine pubblico. In quel momento, un funzionario di polizia si è lanciato su di lui e gli ha dato un calcio al petto talmente forte da comprimere verso l’interno l’intera parte sinistra della sua gabbia toracica e rompendogli una mezza dozzina di costole, i cui detriti hanno perforato la pleura. Covell, un metro e sessanta, è stato letteralmente sollevato dal pavimento e sbalzato in strada dal calcio. Ha sentito il poliziotto ridere mentre un pensiero si formava nella sua testa: «Non me la caverò». La squadra antisommossa stava ancora trafficando al cancello principale, e allora un gruppo di agenti pensò di ingannare il tempo usando Covell come pallone. Questa serie di calci gli ha procurato la frattura di una mano e lesioni alla spina dorsale. Da qualche parte alle sue spalle, Covell ricorda di aver sentito un altro agente gridare «Basta» prima di sentire il suo corpo trascinato sul pavimento.
A quel punto, un veicolo corazzato della polizia ruppe i cancelli della scuola e 150 agenti, per la maggior parte con caschi, scudi e manganeli, fece irruzione nell’edificio indifeso. Due agenti si fermarono per occuparsi di Covell: uno gli ha rotto la testa con il manganello; l’altro lo ha preso a calci in bocca, facendogli sputare una dozzina di denti. Covell svenne. Ci sono molte buone ragioni per non dimenticare quello che è successo a Covell, che allora aveva 33 anni, quella notte a Genova. La prima è che era solo l’inizio. Per la mezzanotte del 21 luglio 2001, quegli agenti di polizia stavano sciamando in tutti i piani della Diaz, e dispensavano il loro particolare tipo di punizione alle persone che stavan lì, fino a ridurre il dormitorio improvvisato in quella che più tardi uno degli agenti avrebbe descritto come «una macelleria messicana». Loro e i loro colleghi avrebbero poi arrestato illegalmente le vittime in un centro di detenzione, diventato un luogo di puro terrore.
La seconda ragione è che, sette anni dopo, Covell e le altre vittime stanno ancora aspettando giustizia. Lunedì, 15 poliziotti, guardie carcerarie e medici penitenziari sono stati finalmente condannati per la parte avuta nelle violenze–sebbene nessuno di loro andrà in prigione. In Italia, gli imputati non vanno in prigione fino a quando non hanno esaurito tutti i gradi di giudizio; e in questo caso, le condanne e le sentenze saranno cancellate dalla prescrizione, l’anno prossimo. Nel frattempo, i politici che erano responsabili per la polizia e per il personale penitenziario, non hanno mai dato alcuna spiegazione. Le domande fondamentali, su come tutto ciò sia potuto accadere, rimangono inevase e alludono alla terza e più importante ragione per ricordare Genova. Non è semplicemente la storia di un funzionario di polizia che esce dai ranghi, ma qualcosa di peggiore e più preoccupante sotto la superficie. Il fatto che questa storia possa essere raccontata è frutto di sette anni di duro lavoro di un gruppo di coraggiosi pubblici ministeri, guidati da Emilio Zucca. Aiutato da Covell e dal proprio staff, Zucca ha raccolto centinaia di testimonianze e analizzato cinquemila ore di video, oltre che migliaia di fotografie. Messi assieme, raccontano una storia incotrovertibile, che iniziò a svilupparsi mentre Covell sanguinava a terra.
La polizia fa irruzione nella scuola Diaz. Alcuni di loro gridavano «Black bloc! Vi uccideremo!», ma se avessero davvero pensato di avere di fronte gli anarchici del Blocco nero che avevano causato un violento caos in alcune zone della città nei giorni precedenti, avrebbero commesso un errore. La scuola era stata concessa dalla municipalità di Genova come base per i manifestanti che non avevano nulla a che fare con gli anarchici: avevano anche messo qualcuno di guardia per evitare infiltrazioni. Uno dei primi a vedere la squadra antisommossa fu Michael Geiser, un 35 enne economista belga, che poi ha descritto come in quel momento si era appena messo il pigiama e stava facendo la coda per il bagno, con tanto di spazzolino in mano, quando il raid ebbe inizio. Giesere crede nella forza del dialogo e all’inizio andò verso gli agenti dicendo «Dobbiamo parlare». Poi vide i giubbotti imbottiti, i caschi, i manganelli e cambiò idea scappando per le scale. Altri sono stati più lenti. Erano ancora nei sacchi a pelo. Un gruppo di dieci spagnoli si svegliò con i colpi dei manganelli. Alzarono le mani in segno di resa. E sempre più agenti li picchiavano in testa, tagliando e ferendo e rompendo arti, compreso il braccio di una signora di 65 anni. Da un lato della stanza, alcuni giovani sedevano davanti ai computer e mandavano email a casa. Una di loro era Melanie Jonasch, 28 anni, studente di archeologia a Berlino, volontaria nella gestione dell’edificio, che non era nemmeno stata alle manifestazioni. Lei ancora non riesce a ricordare cosa è successo. Ma molti altri testimoni hanno raccontato come gli agenti le si sono lanciati addosso, picchiandola in testa così forte da farle perdere subito i sensi. Quando cadde, gli agenti la circondarono, picchiandola ancora e prendendola a calci, sbattendole la testa contro una lavagna e lasciandola in una pozza di sangue. Katherina Ottoway, che ha visto tutto questo, ricorda: «Tremava tutta. I suoi occhi erano aperti ma girati. Pensavo che sarebbe morta». Nessuno di quelli che erano a terra è riuscito a evitare ferite. Come Zucca ha scritto nel suo atto d’accusa: «Nel giro di pochi minuti, tutti gli occupanti del piano terra erano stati ridotti in uno stato di completa impotenza, i lamenti dei feriti si mischiavano con il suono delle richieste di ambulanze». Poi i tutori della legge sono saliti lungo le scale. Nel corridoio del primo piano trovarono un gruppo di persone, compreso Geiser, ancora con lo spazzolino in mano. «Qualcuno consigliò di sdraiarci, per far vedere che non facevamo resistenza. E così ho fatto. Gli agenti sono arrivati e hanno iniziato a picchiarci, uno per uno. Mi sono protetto la testa con le mani e ho pensato ‘Devo sopravvivere’. La gente attorno gridava, ‘per favore, basta’. Anche io l’ho detto. Pensavo a una macelleria, ci stavano trattando come animali».
Gli agenti abbatterono le porte delle stanze che portavano fuori dal corridoio. In una stanza trovarono Dan MacQuillan e Norman Blair, arrivati da Stansted per mostrare il loro appoggio «a una società libera e uguale dove le persone vivono in armonia». I due inglesi e il loro amico neozelandese Sam Buchanan avevano sentito l’attacco ai piani inferiori e stavano cercando di nascondersi sotto alcuni tavoli nell’angolo di una stanza buia. Una decina di agenti fece irruzione e li scovò con una torcia e, per quanto MacQuillan stesse con le mani alzate dicendo ‘Piano, piano’, li picchiarono, causandogli molte ferite e tagli e rompendo il polso di MacQuillan. Norman Blair ricorda: «Potevo sentire il veleno e il loro odio». Gieser era nel corridoio: «La scena attorno a me era coperta di sangue, dappertutto. Un poliziotto gridò ‘Basta’. Una parola che sembrava una speranza. Eppure non si fermavano. Continuavano con piacere. Alla fine si sono fermati, ma come se si togliesse un giocattolo a un bambino, riluttanti». In quel momento c’erano agenti in tutti i quattro piani dell’edificio, che prendevano a calci e picchiavano. Molte vittime hanno descritto una specie di sistema della violenza, con ogni agente che picchiava ogni persona che si trovasse davanti, prima di passare alla successiva, mentre un collega picchiava quella di prima. Sembrava importante che chiunque fosse ferito. Nicola Doherty, 26 anni, un’assistente di Londra, ha descritto come il suo partner Richard Moth si sia sdraiato per proteggerla: «Potevo sentire ogni colpo sul suo corpo. I poliziotti si spostavano oltre Richard per colpire ogni mia parte esposta». Ha cercato di proteggersi la testa con le mani e le hanno rotto un polso.
In uno dei corridoi, gli agenti avevano ordinato a un gruppo di giovani uomini e donne di inginocchiarsi per poterli picchiare meglio sulle spalle e sulla testa. E’ stato in quel momento che Daniel Albercht, 21 anni, studente di violoncello di Berlino, ha riportato una frattura alla testa talmente profonda da avere bisogno di un’operazione chirurgica per fermare l’emorragia celebrale. Attorno all’edificio, gli agenti avevano impugnato i manganelli al contrario, per usare l’impungatura a L come un martello. E in tutta questa violenza, ci sono stati momenti in cui la polizia ha preferito l’umiliazione: l’agente che stava a gambe divaricate di fronte a una donna ferita e inginocchiata, le ha preso la testa per tirarsela verso l’inguine, prima di girarsi e fare la stessa cosa con Daniel Albercht, inginocchiato accanto a lei; l’agente che durante i pestaggi ha usato il coltello per tagliare una ciocca di capelli alle sue vittime, compreso Nicola Doherty; gli insulti continui; l’agente che ha chiesto a un gruppo di persone se stavano bene e ha reagito con una nuova manganellata a chi ha detto ‘No’. Qualcuno è sfuggito, almeno per un po’. Karl Boro è riuscito a raggiungere il tetto ma poi ha fatto l’errore di rientrare nell’edificio, dove lo hanno ridotto con un braccio ferito, una frattura cranica e sangue nel petto. Jaraslaw Engel, dalla Polonia, era riuscito a usare le impalcature attorno all’edificio per uscire dalla scuola, ma è stato intercettato in strada da alcuni agenti, che gli hanno rotto la testa, prima di mettersi a fumare mentre il suo sangue bagnava l’asfalto. Due degli ultimi a essere presi sono stati una coppia di studenti tedeschi, Lena Zuhlke, di 24 anni, e il suo compagno Niels Martensen. Si erano nascosti in un armadietto delle pulizie, al piano superiore. Hanno sentito gli agenti avvicinarsi, sbattendo i manganelli lungo i muri. La porta dell’armadietto si aprì, Martensen è stato trascinato fuori e picchiato da una decina di agenti in semicerchio attorno a lui. Zulkhe è scappata nel corridoio e si è nascosta nei bagni. Gli agenti l’hanno vista, inseguita e trascinata per i dreadlock. Nel corridoio, hanno giocato con lei come cani con un coniglio. E’ stata picchiata in testa e presa a calci quando era a terra, fino a che non le hanno rotto le costole. E’ stata bloccata al muro, dove un agente le ha dato una ginocchiata all’inguine, mentre gli altri continuavano a pestarla con i manganelli. Quando è scviolata a terra, hanno continuato a picchiarla: «Sembrava che si divertissero e quando gridavo sembrava che si divertissero di più».
Gli agenti trovarono un estintore e spruzzarono la schiuma sulle ferite di Martensen. La sua compagna è stata trascinata per le scale, dai capelli, testa in avanti. Hanno portato Zulkhe fino al piano terra, dove avevano radunato tutti i prigionieri dagli altri piani, in un caos di sangue ed escrementi. L’hanno gettata su altre due persone, immobili, tanto che Zulkhe chiese cautamente se erano ancora vivi. Senza risposta, anche lei si accasciò sul pavimento, incapace di muovere il braccio destro, e di fermare il tremore al braccio sinistro e alle gambe, nonché il sangue. Un gruppo di agenti passava lì vicino, e ciascuno si tolse il fazzoletto per sputarle addosso. Perché dei tutori della legge possono comportarsi con tanto disprezzo della legge? La semplice risposta può essere quella che veniva gridata dai manifestanti fuori dalla scuola, che scelsero una parola che sapevano i poliziotti avrebbero capito. «Bastardi». Ma c’è qualcos’altro, qui, qualcosa emerso più chiaramento nei giorni successivi.
Covell e decine di altre vittime furono portate nell’ospedale San Martino, dove gli agenti camminavano nei corridoi facendo suonare i manganelli nel palmo delle mani, ordinando ai feriti di non guardare fuori dalla finestra o di non muoversi, tenendoli ammanettati e poi, spesso con le ferite ancora non chiuse, portandoli con decine di altri manifestanti nel centro di detenzione di Bolzaneto. I segni di qualcosa di peggiore apparvero all’inizio in modo superficiale. Alcuni agenti avevano canzoni fasciste come suonerie dei loro telefonini e parlavano con entusiasmo di Mussolini e Pinochet. Più volte, è stato ordinato ai prigionieri di gridare «Viva il duce». Alcune volte, i prigionieri sono stati minacciati per costringerli a cantare canzoni fasciste. Le 222 persone detenute a Bolzaneto sono state sottoposte a condizioni che i pubblici ministeri hanno descritto come tortura. Al loro arrivo, venivano marchiati con una croce di vernice su ogni guancia e molti di loro sono stati costretti a camminare in mezzo a due linee parallele di funzionari che li prendevano a calci e a manganellate. La maggior parte è stata ammassata in celle grandi, con oltre 30 persone. Lì venivano costretti a rimanere in piedi per molto tempo, con la faccia verso il muro, le braccia alzate e le gambe larghe. Chi non ce la faceva, veniva insultato, picchiato umiliato. Mohammed Tabach, con una gamba artificiale, non poteva farcela e si è beccato due spruzzate di spray urticante in faccia e poi un pestaggio particolarmente brutale. Norman Blair avrebbe poi ricordato che mentre stava in questa posizione, un agente gli chiese: «Chi è il tuo governo»? «La persona prima di me aveva risposto Polizei e io ho fatto la stessa cosa per non essere picchiato». Stefan Bauer ha osato replicare: quando un agente che parlava tedesco gli ha chiesto di dove fosse, lui ha risposto che era dell’Unione europea e aveva il diritto di andare dove voleva. E’ stato preso, picchiato, spruzzato con lo spray urticante, spogliato nudo e gettato sotto una doccia gelata. I suoi vestiti sono stati gettati via ed è stato rimandato nella cella gelata solo con addosso una tuta da ospedale. Tremando sul freddo marmo della cella, i prigionieri non ricevevano né coperte, né cibo e gli veniva negato il diritto di fare una telefonata a un legale, cui avrebbero avuto diritto. Dalle altre celle si sentivano urla e pianti. Agli uomini e alle donne con i dreadlock sono stati tagliati grossolonamente i capelli fino alla cute. Marco Bistacchia è stato portato davanti a un agente, spogliato, fatto inginocchiare, abbaiare come un cane e gridare «Viva la polizia italiana». Un agente ha detto al quotidiano italiano La Repubblica, in condizioni di anonimato, di aver visto alcuni agenti urinare addosso ai detenuti e picchiarli per essersi rifiutati di cantare Faccetta nera, una canzone dell’era fascista. Ester Percivati, una giovane donna turca, ricorda le guardie che la insultavano mentre andava in bagno, dove un’agente donna l’ha costretta a infilare la testa nella tazza, mentre un maschio commentava, «Bel culo! Ci vuoi un manganello?». Molte donne hanno riferito di minacce di stupro. Perfino l’infermeria era pericolosa. Richard Moth, coperto di tagli ed escoriazioni, ha avuto suture sulla testa e sulle gambe senza anestesia: «Un’esperienza molto dolorosa. Dovevano tenermi fermo. ». Tra i condannati di lunedì c’è anche personale medico della prigione. Tutti sono d’accordo che non si trattava di un modo per far parlare i detenuti, ma solo di un esercizio di paura. Che ha funzionato. Nelle dichiarazioni, i prigionieri hanno descritto le loro sensazioni di impotenza, di isolamento dal resto del mondo, in un mondo senza leggi né regole. La polizia ha perfino fatto firmare delle dichiarazioni di rinuncia a tutte le tutele legali. Un uomo, David Laroquelle, ha testimoniato di essersi rifiutato di firmare, e di aver avuto tre costole rotte. Anche Percivati si è rifiutata, ed è stata sbattuta contro un moro, occhiali rotti e naso sanguinante. Il mondo esterno ha ricevuto alcuni resoconti molto distorti di tutto questo. Nell’ospedale di San Martino, il giorno dopo il suo pestaggio, Covell si sentì scuotere da una persona che gli sembrò essere dell’ambasciata britannica. Solo quando ha visto il fotografo accanto a lei ha capito che era una reporter del Daily Mail. In prima pagina, il giorno dopo, c’era un resoconto del tutto falso che lo descriveva come il cervello delle rivolte. [Quattro lunghi anni più tardi, il Mail ha chiesto scusa e ha pagato a Covell il risarcimento per l’invasione della privacy]. Mentre i suoi cittadini venivano picchiati e tormentato in uno stato di detenzione illegale, i portavoce del primo ministro Tony Blair, dichiarava: «La polizia italiana ha dovuto svolgere un compito difficile. Il primo ministro crede che lo abbiano fatto». La polizia italiana ha fornito ai media una ricca messe di falsità. Perfino mentre i corpi sangunanti venivano portati via dalla Diaz, gli agenti dicevano ai giornalisti che le ambulanze che erano sul posto non avevano nulla a che vedere con il blitz e che le ferite, chiaramente freschissime, erano vecchie e che l’edificio era pieno di violenti estremisti che avevano attaccato gli agenti. Il giorno dopo, alti funzionari hanno tenuto una conferenza stampa per annunciare che tutte le persone trovate nell’edificio sarebbero state accusate di resistenza e di associazione a delinquere finalizzata al saccheggio. I tribunali italiani hanno fatto cadere ogni capo d’accusa contro ogni persona. Compreso Covell. I tentativi della polizia di accusarlo di una serie di reati molto gravi sono stati descritti dal pm Zucca come «grotteschi».
In quella stessa conferenza stampa, la polizia mostrò un bagaglio di quelle che secondo loro erano armi. C’erano sbarre, martelli, chiodi che gli agenti stessi avevano preso da un magazzino di edilizia vicino alla scuola. C’erano strutture di zaini in alluminio, presentate come armi offensive; 17 macchine fotografiche; 13 paia di occhialetti da piscina; 10 coltellini e una bottiglia di lozione solare. Mostrarono anche due bottiglie molotov che, ha concluso Zucca, la polizia aveva trovato prima in un’altra zona della città e portato alla Diaz dopo la fine del raid. Questa disonestà pubblica era parte di un più ampio sforzo per insabbiare quello che era successo. Nella notte del raid, un reparto di 59 poliziotti è entrato nell’edificio di fronte alla Diazx, dove Covell e altri avevano allestito il loro centro media e dove, elemento cruciale, era sistemato un gruppo di avvocati che avevano raccolto le prove della violenza della polizia nelle manifestazioni dei giorni precedenti. Gli agenti sono entrati nella stanza degli avvocati, minacciato gli occupanti, distrutto i computer, sequestrato gli hard-disk e portato via qualsiasi cosa contenesse foto o filmati. Mentre i tribunali rifiutavano di convalidare le accuse contro gli arrestati, la polizia riuscì ad ottenere un ordine di espulsione per tutti gli stranieri, con il divieto di ritorno in Italia per cinque anni. Così, i testimoni venivano tolti di scena. Come per le accuse, gli ordini di espulsione sono stati poi cancellati, in quanto illegali, dal tribunale.
Zucca si è aperto la strada attraverso anni di dinieghi e insabbiamenti. Nel suo resoconto, ha scritto che tutto i funzionari di alto rango hanno negato di aver avuto un ruolo: «Non un solo funzionario ha ammesso di aver avuto un ruolo di comando in qualche aspetto dell’operazione». Un funzionario che aveva era stato ripreso in un video sul posto, ha poi spiegato che era fuori servizio e che era lì sono per assicurarsi che i suoi uomini non fossero feriti. Le dichiarazioni della polizia sono state mutevoli e contraddittorie e contraddette dalla valanga di prove delle vittime e di molti video: «Non un solo agente dei 150 presenti ha riferito informazioni precise su un episodio individuale». Senza Zucca, senza l’atteggiamento fermo dei tribunali italiani, senza il lavoro di Covell nell’assemblare i video girati durante il raid alla Diaz, la polizia avrebbe potuto schivare la responsabilità e avrebbe potuto assicurarsi false accuse e perfino sentenze di condanna contro le vittime. Oltre al processo per Bolzaneto, concluso lunedì, 28 altri agenti, alcuni molto in alto nei ranghi, sono sotto processo per il raid alla Diaz. E di nuovo la giustizia è stata compromessa. Nessun politico italiano è stato chiamato a rispondere, nonostante il forte sospetto che la polizia abbia agito come se qualcuno avesse promesso l’impunità. Un ministro ha visitato Bolzaneto mentre i detenuti venivano maltrattati e apparentemente non ha visto nulla oppure non ha visto nulla che ha pensato di dover fermare. Un altro, Gianfranco Fini, ex segretario nazionale del partito neo-fascista Msi, e allora vice primo ministro–secondo i resoconti dei media di allora–era nel quartier generale della polizia. Non gli è mai stato chiesto di spiegare che ordini abbia dato. Molti delle centinaia di tutori della legge coinvolti nella Diaz e a Bolzaneto se la sono cavata senza alcuna punizione o accusa. Nessuno è stato sospeso; alcuni sono stati promossi. Nessuno degli agenti processati per Bolzaneto è stato accusato di tortura–la legge italiana non prevede questo reato. Alcuni alti funzionari che in origine avrebbero dovuto essere accusati per il raid alla Diaz sono stati scagionati semplicemente perché Zucca non è riuscito a provare l’esistenza di una catena di comando. Anche adesso, il processo a 28 agenti è a rischio perché il primo ministro Silvio Berlusconi sta spingendo un disegno di legge per rinviare tutti i processi che hanno a che fae con fatti accaduti prima del giugno 2002. Nessuno è stato incriminato per la violenza inflitta a Covell. Come dice uno degli avvocati delle vittime, Massimo Pastore: «Nessuno vuole ascoltare ciò che questa storia ha da dire». Si tratta di fascismo. Ci sono molte voci sul fatto che la polizia, i carabinieri e il personale penitenziario appartenessero a gruppi fascisti, ma non sono state trovate le prove. Pastore dice che così, comunque, si manca il punto principale: «Non è questione di pochi fascisti ubriachi. Nessuno ha detto ‘no’. Questa è la cultura del fascismo». Al cuore, tutto ciò coinvolge quello che Zucca nel suo rapporto descrive come «una situazione in cui ogni stato di diritto è stato sospeso».
Cinquantadue giorni dopo l’attacco alla scuola Diaz, 19 uomini hanno usato aerei carichi di passeggeri come bombe volanti e hanno modificato il nucleo dei principi su cui le democrazie occidentali si erano basate. Da allora, politici che mai accetterebbero di essere chiamati fascisti, hanno accettato intercettazioni telefoniche di massa e controllo delle email, detenzioni senza processo, torture sistematiche, annegamento simulato dei detenuti, arresti domiciliari illimitati e l’uccisione mirata dei sospetti, mentre le procedure dell’estradizione sono state sostituite dalle extraordinary rendition. Non è fascismo con dittatori in stivali e schiuma alla bocca. E’ il pragmatismo di politici rovesciati dal didentro. Ma l’esito sembra molto simile. Genova ci dice che quando lo stato si sente minacciato, lo stato di diritto può essere sospeso. Ovunque.

Posted in NO G8 | Comments Off on The Guardian: La sanguinosa battaglia di Genova

GENOVA 2001: QUALE GIUSTIZIA?

Genova 2001 non si dimenica!

Sfidando gli occhi elettronici che circondano il palazzo della corte costituzionale (per i romani il "Palazzaccio"), un gruppo di attivist* ha incappucciato una delle statue simbolo della giustizia italiana. Appeso ad un bracccio del "colosso di travertino" un cartello che riportava la scritta: "Genova 2001: quale giustizia?".

Dopo sette anni tutti i responsabili della "macelleria messicana" sono stati promossi e appena sfiorati dalle accuse dei PM. Una ulteriore conferma del ruolo supino della magistratura italiana.

Noi non dimentichiamo!

con Carlo nel cuore…

Posted in NO G8 | Comments Off on GENOVA 2001: QUALE GIUSTIZIA?

Germania – Liberati 2000 visoni in solidarietà con i prigionieri austriaci

Comunicato anonimo tradotto da Bite Back Magazine

"Potevamo sentire l’odore orribile molto prima di arrivare all’allevamento per pellicce di Schlesen, vicino Kiel, nella notte del 22 luglio 2008! Gli animali erano rinchiusi in quattro per gabbia! Tutto l’allevamento era in condizioni terribili! Ce ne sono stati molti che non siamo riusciti ad aiutare questa notte! Ma abbiamo liberato almeno 2000 visoni! Abbiamo dato loro una possibilità di fuggire. Una possibilità che è meglio di essere uccisi tra pochi mesi dall’allevatore. Questi animali meritano libertà! Questa azione è dedicata agli attivisti animalisti austriaci imprigionati!"

In tedesco:

"schrecklicher gestank war schon weit weg deutlich zu riechen als wir die pelzfarm bei schlesen nähe kiel in der nacht zum 22. juli 2008 erreichten! die tiere waren oft zu viert in den engen käfigen eingesperrt! die ganze farm war in einem schlimmen zustand! vielen konnten wir in dieser nacht leider nicht helfen! wir liessen aber mindestens 2000 der nerze frei! so gaben wir ihnen die chance zu entkommen. lieber diese gute chance als nach wenigen monaten auf jeden fall vom farmer getötet zu werden. artgerecht ist nur die freiheit! gewidmet ist diese aktion den gefangenen tierrechtlern aus österreich!"

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on Germania – Liberati 2000 visoni in solidarietà con i prigionieri austriaci