Autobiografia di un diverso

da oggi, per 1 mese a questa parte, pubblicheremo un romanzo contro, un romanzo di un compagno, che prova a raccontare la vita di un semplice ragazzo che cerca di combattera questa società..

 

BUONA LETTURA A TUTTI e A TUTTE!!

 

Autobiografia di un diverso

 

di ………….

 

 

Zero

 

 

Credeva di volare, di sognare e di
reagire così alle batoste prese fino ad allora, e invece si scopriva solo,
inutile come un colore senza la carta su cui disegnare, come uno scrittore
senza mani.

Pioveva
a dirotto quel giorno, il cielo era scuro e inquietante, le nuvole grosse come
elefanti, e tirava un vento che ti risucchiava l’anima. In giro non c’era
nessuno, i vicoli della città deserti, e gli alberi mugugnavano un lamento che
sapeva di grido d’allarme. Un grosso cane, sporco e nero, era disteso sulla
strada, incurante delle urla del cielo, quasi per niente spaventato dai lampi
che ogni tanto illuminavano la cittadina e straziavano quel silenzio assordante
che riempiva l’aria; mezzo addormentato, osservava le foglie ormai morte e
giallastre che danzavano sospinte dal vento davanti ai suoi occhi.

La
gente era tutta rinchiusa in casa, assopita dalle voci rassicuranti delle
televisioni e riscaldate dai camini accesi e dai termosifoni bollenti. Sud era
una città molto piccola, contava appena 60000 abitanti, divisa quasi a metà: da
una parte c’era la cittadella antica, con monumenti, resti d’altri tempi e
chiese storiche, alta,fredda, posizionata su un colle dalla quale si scorgevano
i monti che la circondavano e la vallata che le stava ai piedi; e poi c’era la
parte bassa, Sud Scalo, dove c’era la stazione, dove erano sorti i grandi
centri commerciali, dove c’era il polo universitario, i pub e  i locali, negozi scintillanti e poca cultura,
sorta e cresciuta da pochi decenni laddove prima non esisteva assolutamente
nulla,lì crebbero le fabbriche, le prime aziende multinazionali.

Erano
le undici di sera del 5 Settembre 2000, ed Alex era appena uscito di casa per
farsi due passi e fumarsi una sigaretta. Abitava in centro, a poche centinaia
di metri dal corso principale di Sud, in una casa grande e molto accogliente.
Con lui vivevano i nonni, la madre e il suo gatto. Il padre abitava invece a
Sud Scalo, insieme all’altra sua mamma e i suoi due fratelli, Lilly e Manu.

Alex
aveva 18 anni, era alto, magro, con i capelli corti di un biondo scuro
particolare, un viso molto espressivo, e degli occhi grandi e colorati tipo
cartone animato giapponese, di un verde acqua splendente. Portava con sé sempre
uno zainetto dietro le spalle, pronto ad essere riempito di cianfrusaglie
all’occasione, dei grossi e larghi pantaloni verdi, un maglione colorato di
lana, un giubbotto rosso e una kefia al collo che non lo abbandonava mai,
neppure d’estate sotto il sole cocente. Ma quella sera era particolarmente
fredda e più che altro la utilizzava come sciarpa con la quale coprirsi fino
all’altezza degli occhi; in testa aveva il suo solito cappellino militare, alle
mani i guanti che le aveva regalato sua nonna. Così coperto camminava con calma
e senza fretta per la città, sotto la pioggia battente e senza un ombrello che
lo riparasse. Passeggiava senza meta, sotto i portici del corso, per via
Gramsci, via Pollione. E pensava. Pensava alla sua vita e a come si stava
evolvendo ultimamente.

Mentre
camminava e con gli occhi bassi continuava il suo minuzioso lavoro di
scervellamento personale sui dubbi esistenziali, si rese conto che si era del
tutto infradiciato e decise di ripararsi 
sotto i portici di San Giustino.

Si
sedette sulla scalinata e si accese la sua prima sigaretta della serata.

Guardava
la pioggia scendere giù con veemenza. Pensava che sarebbe stato bello essere
una goccia di pioggia, così piccola e indifesa, ma così importante ed
egocentrica; erano a migliaia le gocce che scendevano ogni secondo, avevano
durata breve, ma in quelle frazioni di attimi, tutte, collettivamente,
scendevano con un unico scopo, con una unica direzione, e tutti se ne
accorgevano; mai le gocce di pioggia passavano inosservate,tutti, animali e
uomini, oggetti e piante, sentivano la loro presenza, e nessuno poteva
fermarle. Quando la pioggia voleva scendere giù dal cielo, niente e nessuno
poteva contrastarle, nemmeno le creature più potenti e ricche e forti
dell’universo potevano impedire alla pioggia di scendere; ci si poteva solo
riparare. Erano minuscole prese una per una, queste goccioline di acqua, ma
insieme, erano belle forti ed uniche nella loro maestosità. A volte potevano
essere danno per la natura e per l’uomo, altre volte erano semplicemente vitali,
ma sempre e comunque le misere e piccole goccioline di pioggia avevano uno
scopo ben preciso che portavano sempre a termine e soprattutto chiunque non
poteva che fare a meno di accorgersi del proprio passaggio. E di Alex? Qualcuno
si era accorto della sua vita? O stava passando inosservato? Questo si chiedeva
il ragazzo ,tra un tiro e un altro di fumo. E mentre era rapito dai suoi
pensieri, vide da lontano un omone che si dirigeva correndo verso di lui. Alex
alzò lo sguardo, e sussultò quasi dallo spavento quando si accorse che l’uomo
correva proprio velocemente verso di lui. Forse qualcuno allora si era accorto
di lui. Forse qualcuno sentiva il bisogno di correre da lui per dirgli:” Alex,
guarda che io ti ho notato, non sei affatto inutile”. Ma si, sicuramente era
così. Certamente qualcuno aveva sentito, percepito da lontano le sue
riflessioni, le sue paure e stava accorrendo da lui a dirgli che non era una
persona inutile, insignificante , ma che era importante, fondamentale; e i suoi
occhi si accesero di un bagliore fluorescente, buttò via la sigaretta e mentre
pensava a quello che doveva rispondere al gentile uomo, qualora gli avesse
detto quello che si immaginava, un sorriso di gioia purissima cominciò a
scardinarli il viso. Era tutto ad un tratto diventato felice; il cupo e la
tristezza erano scivolati via con l’acqua piovana e si preparava ad accogliere
l’uomo con una fierezza degna di un leone. L’uomo arrivò sotto i portici, si
levò il cappuccio che lo copriva dalla pioggia e si avvicinò ad Alex.

 -Mi fai accendere per favore?-chiese al
ragazzo e  prese una sigaretta dalla
tasca mettendola con calma in bocca.

Alex
morì dentro; pensava chissà cosa, fantasticava nel suo mondo ideale chissà
quali magiche parole l’uomo gli avesse rivolto, già pregustava un discorso
mistico da intraprendere con l’omone, e invece, nulla, il nulla, assolutamente
nulla di tutto ciò.

 – Ah si, tenga- rispose Alex con tiepida
freddezza, sconsolato e immediatamente tornato nello status in cui prima era
immerso. E mentre l’uomo si allontanava con la sua cicca in bocca, il giovane
ragazzo abbassava gli occhi, metteva le mani in tasca e prendeva un pennarello
nero, di quelli che servono a scrivere su tutte le superfici. Si girò e sul
muro scrisse: MI SENTO SOLO, FORSE LO SONO, MA PRIMA O POI, ANCHE DA SOLO,
CAMBIERO’ IL MONDO.

Si
alzò, si risistemò i pantaloni, il cappello e si riavviò con calma verso casa,
non prima di aver acceso la sua seconda sigaretta.

Rientrato
a casa, si diede una asciugata veloce, si infilò il pigiama e si mise sotto la
coperta. Prima di addormentarsi, accese lo stereo, infilò dentro un cd della
99posse, prese il portatile, lo mise sulle sue gambe e scrisse per un po’.
Amava scrivere, o meglio così Alex diceva. Ogni volta che si metteva a scrivere
qualcosa, metteva su delle frasi, delle belle idee, poi si stufava e lasciava
tutto li. Diciamo che amava pensare, ecco. Pensava tantissimo, si faceva viaggi
lunghissimi di pensieri, quando parlava con gli amici spiegava i suoi pensieri,
ma quando si trattava di scriverli, non gli piaceva più. Si definiva uno
scrittore, ma non lo era. Era un pensatore, era un parolaio. Avrebbe detto a
voce il suo libro, ma non lo avrebbe scritto. Lo avrebbe pensato, ideato, ma si
annoiava a dover stare le ore a trascriverlo su carta o davanti al pc. Le frasi
in testa, invece, scivolavano via rapide e sinuose, senza tempo, senza censure,
senza errori di grammatica o di sintassi, senza star li a ricontrollare tutto.
Per questo si era comprato un registratore vocale: quando gli veniva una bella
cosa in mente, schiacciava rec e la diceva al microfono del registratore. Il fatto
è che poi le frasi che registrava, non le trascriveva mai, non ne aveva proprio
voglia.

Aveva
un diario, rosso, bellissimo, che gli aveva regalato la sorella al compleanno.
Aveva iniziato a scrivere li i suoi pensieri, all’inizio con una frequenza di
tre volte al giorno, poi solo una al giorno, infine scriveva appena 2 paginette
a settimana.

Insomma
era un gran sognatore, ma svogliato. Non aveva voglia di scrivere, solo di
pensare e parlare.

Quella
sera decise un cambiamento drastico: prese il diario e lo mise nel cassetto
ripromettendosi di non riprenderlo più. Era capitolo chiuso. Ora era
maggiorenne, stava per trasferirsi a Terra, dove si era iscritto alla facoltà di
scienze politiche, e quindi doveva assolutamente iniziare a scrivere un libro.
Il suo sogno era sempre stato quello di provare a cambiare le cose con le
parole, con la scrittura. Allora prese il  suo pc nero e iniziò di getto a scrivere, come
solitamente di far suo.

CREDO
NEI SOGNI, SONO UN SOGNATORE. O FORSE SONO SEMPLICEMENTE UN SOGNO. GUARDO
QUESTO MONDO E MI CHIEDO: PERCHè? PERCHè IL CIELO è BLU? PERCHè SONO NATO
BIANCO E NON NERO? PERCHE’ LA
TERRA è MARRONE E IL SOLE GIALLO? PERCHè IL FUOCO è ROSSO? CREDO
CHE DIO SIA UN PITTORE, UN PITTORE CHE SI è DIVERTITO A DIPINGERE IL MONDO COME
LUI DESIDERAVA, COME A LUI GARBAVA. MICA HA CHIESTO CONSIGLIO A QUALCUNO? NO.
HA DECISO LUI E BASTA. E SE DIO FOSSE MORTO, PERCHE’ ALLORA NOI DOBBIAMO
CONTINUARE AD AVERE IL CIELO BLU, IL SOLE GIALLO, IL FUOCO ROSSO? SE QUALCUNO
DOMANI SI SVEGLIASSE CON LA VOGLIA DI
AVERE UN CIELO VERDE, UNA TERRA BLU E UN FUOCO NERO? NON LO POTREBBE AVERE.

POI
TORNO A PENSARE CHE TANTO IO NON CREDO IN DIO E QUINDI IL MONDO ME LO DIPINGO COME
VOGLIO IO.

SONO
UN RIVOLUZIONARIO E CREDO CHE LA PRIMA COSA
DA RIVOLUZIONARE SIANO I COLORI.

VORREI
CHE GLI AFRICANI AVESSERO LA PELLE
BIANCHISSIMA, NOI NERISSIMA. POI VORREI CHE IL COMUNISMO SIA
GIALLO, L’ANARCHIA ROSSA, IL LIBERALISMO MARRONE, IL FASCISMO MI VA BENE NERO.
MI PIACEREBBE AVERE UN BABBO NATALE VESTITO DI BLU E UNA COCA COLA TUTTA VIOLA.
ANZI, MI CORREGGO. VORREI CHE LA COCA COLA
NON ESISTESSE PROPRIO..

Alex
così scriveva l’inizio del suo libro; certo era strano, ma in lui si
prospettava gia un futuro, si vedeva che aveva la stoffa dello scrittore , era
palpabile la sua diversità intensa. Alternava semplicità a profondità. E poi,
in quello che scriveva ci credeva. Ci credeva fino alla morte. E questa è la
prima cosa che serve ad un vero rivoluzionario.

Ma
mentre scriveva e pensava queste cose, si addormentò davanti al computer.

 

fine primo capitolo.. 

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