Dalla Striscia di Gaza all’Iran: tra rifiuto della pax americana e resistenze



|Giugno 2008|
Palestina, Afghanistan, Libano, Iran. Quattro territori non pacificati, avvolti dalla guerra o dalle pressioni internazionali, obbligatoriamento nelle agende delle diplomazie occidentali (e non solo) per le loro nature conflittuali, per gli interessi e gli appettiti che generano.

Nel 2004, durante il primo mandato dell’Amministrazione Bush, all’interno della cornice di preparazione dei lavori del G8 del 2004 a Sea Island (Georgia, Stati Uniti), venne introdotto il concetto e la ridisegnazione del "Nuovo Medioriente". Condoleezza Rice, segretario di Stato americano, durante i bombardamenti a tappeto di Israele contro il Libano, nell’estate del 2006, si spingeva ad annunciare l’embrionale costruzione del piano di ridefinizione, dicendo che si stava assistendo "alle doglie del Nuovo Medioriente". Oggi la presidenza di George W. Bush è in dirittura d’arrivo: se da una parte non possiamo considerare il "Nuovo Medioriente" un progetto fallito, dato che non sarebbe stato costruibile, neppure nelle migliori delle ipotesi (..), nel solo arco di due mandati e che il filone neo-con proseguirà sulla scia abbozzata, è innegabile il disastro che Bush junior consegnerà nelle mani del prossimo presidente degli Stati Uniti. Un paese, gli Usa, fedele all’aggressività e alla muscolarità della sua politica estera, prepotente ed arrogante nello sprezzo dei popoli, imperiale attraverso i suoi avamposti d’occupazione, percepito come ostile in più parti del mondo, soprattutto nei teatri di guerra.

La pax americana prospettata dall’Amministrazione Bush non ha fatto breccia nei territori dove questa voleva esser portata, anzi ha generato resistenze e conflitti: l’ultimo tour europeo del presidente americano ha tentato quindi di ritessere i fili della "giustezza" dell’opera portata avanti attraverso la guerra, di autocelebrarsi rispetto al processo europeo giocatosi ai confini di Unione Europea e Nato, di costruire le fondamenta per un potenziale attacco militare all’Iran. Un rifacimento del trucco fatto nel tentativo di nascondere, o meglio, mettere in mostra in altra (falsata) luce, un fallimento a tutto campo incassato da Bush rispetto al nodo del Medioriente: l’Iraq rappresenta un pantano indistricabile che si sta pagando ad un prezzo carissimo, la caduta di Saddam Hussein è corrisposta al reale inizio del conflitto; la Striscia di Gaza continua a registrare una sempre maggiore legittimità di Hamas come soggetto politico, allontanando e portando al fallimento innanzitutto il pompato vertice di Annapolis; il Libano è pervaso dal vento delle opposizioni, che han costretto alla capitolazione la linea filo-americana del governo Siniora e al successo il progetto politico di Hezbollah; l’Afghanistan incarna la sconfitta americana nella "guerra al terrore", a sette anni dal 2001 è il nuovo Vietnam del XXI secolo; l’Iran è il nuovo obiettivo/nemico, il paese a cui si vuol sbarrare la strada usando lo spauracchio della presunta bomba nucleare persiana, fino ad oggi attraverso la manna delle sanzioni internazionali, domani probabilmente scatenando una nuova guerra.


GEOGRAFIA DEI CONFLITTI IN MEDIORIENTE

Striscia di Gaza _ Tregua tra Israele e Hamas

E’ scattata alle 6 del 19 giugno la tregua tra Israele e Hamas. Raggiunta tramite la mediazione dell’Egitto, ha messo fine alla guerra bassa intensità imperversante lungo il confine tra lo Stato isreliano e la Striscia di Gaza. Si svolgerà in due fasi, anticipate da una tre giorni che metterà alla prova i reali intenti dei soggetti in lotta, dopodichè la prima fase consentirà nell’apertura di un valico con Gaza per poter far entrare il materiale di prima necessità mancante da mesi nei Territori Occupati, a causa di un embargo criminale che non ha tentennato nel produr vittime tra le fasce più deboli della popolazione, mentre la seconda fase sarà incentrata nelle trattative per il rilascio di Gilad Shalit, caporale dell’esercito sionista da due anni nelle mani di Hamas, la quale chiede in cambio il rilascio di 350 prigionieri politici palestinesi e l’apertura del valico di Rafah con l’Egitto. La tregua è indubbiamente fragile: Israele, per voce delle sue autorità politiche e militari, ha palesato la sua dubbiosità, rincarando la dose contro i "terroristi" di Hamas e prospettando un’operazione su vasta scala contro la Striscia; Hamas è riuscita nell’intento di accordare tutte le fazioni armate, che non han firmato nessun documento e alcune di queste si son dette pronte a rispondere al fuoco nell’eventualità in cui l’esercito israeliano si presentasse. Per il momento la tregua sta reggendo, non si registrano scontri e tensioni.

Questo accordo non può ovviamente non avere letture politiche: 1. se da una parte danno fiato al governo Olmert, il cui premier è immischiato in scottanti intrighi giudiziari, dall’altra parte mostrano l’inefficacia e il fallimento di Israele nei confronti della Striscia di Gaza e di Hamas, da mesi si paventa la cacciata dell’organizzazione islamica attraverso l’opzioni militare ma nei fatti accettando la tregua l’entità sionista compie un passo indietro, riconosce la non vittoria ottenuta tramite questa strategia; 2. Hamas non ha che da guadagnare da questo stop, per sfruttare il tempo a disposizione per rafforzare il suo controllo della Striscia di Gaza, per consolidare i rapporti con l’Egitto e per tentare (con un rapporto di forza rinvigorito) di raggiungere un accordo comune con Fatah; 3. indiretto sconfitto è anche Abu Mazen, presidente dell’Anp, controllore della Cisgiordania, che vede ridimensionato il suo ruolo e la sua autorità (Israele si accorda con Hamas, non con l’Anp!), figlio di una politica dei vertici che non portano a nulla (vedi Annapolis) e vittima delle continue incursioni armate di Israele e dell’espansione perpetua delle colonie sioniste in Cisgiordania.

>> ascolta l’intervista con Angela Lano, direttrice di InfoPal, fatta da Radio Onda d’Urto poco prima dell’inizio della tregua nella Striscia di Gaza

>> [da InfoPal] Intervista al premier Ismail Haniyeh

________________________________________

Afghanistan _ Controffensiva delle forze d’occupazione

E’ scattata la controffensiva militare delle forze d’occupazione contro l’avanzata talebana verso Kandahar, città simbolo degli studenti coranici e sede di una delle più importanti basi militari occidentali del Paese. Le resistenza talebana, negli ultimi giorni, ha conquistato i villaggi intorno alla città, facendo da morsa rispetto alla fortezza presente nel territorio, incontrando la forza militare delle truppe canadesi e americane, dell’esercito afghano. I guerriglieri mirano a colpire i punti simbolo del governo afghano, come dimostra l’ultimo assalto al carcere di Kandahar e l’uccisione del geneale Toorjan. I combattimenti sono iniziati, PeaceReporter riporta come "Lo scontro tra l’esercito e i guerriglieri, scatenatosi nel tardo pomeriggio di ieri, è tuttora in corso, soprattutto con bombardamenti aerei perché i talebani hanno fatto saltare i ponti che attraversano il fiume Helmand isolando la cittadina".

>> ascolta l’intervista con Maso Notarianni, direttore di PeaceReporter, eseguita allo scoccare dell’offensiva occidentale contro i talebani

>> [da InfoAut] I taliban guadagnano terreno, governo ed occupanti in difficoltà

________________________________________

Libano _ L’elezione del presidente Suleiman

Dopo le settimane di scontro armato tra sostenitori della maggioranza di governo e forze dell’opposizione, sembra profilarsi un’era nuova per il Libano, che attraverso l’opposizione popolare messa in campo da Hezbollah ha subito un processo politico che ha condotta all’accordo di Doha, in Qatar. Accordo nel quale sono riportati vari da fasi per percorrere: l’elezione del generale Michel Suleiman come presidente della Repubblica, la formazione di un governo di unità nazionale, la creazione di una nuova legge elettorale. Il 25 maggio il parlamento libanese ha eletto Suleiman come presidente, il quale ha poi dato l’incarico a Fouad Siniora di formare il governo. Questo è stato letto dall’opposizione come un tradimento dello spirito di unità nazionale attraverso il quale si è raggiunto l’accordo di Doha, ma non ha comunque cambiato i piani. Tuttora è in corso la formazione del nuovo governo, all’interno del quale 11 ministeri saranno di Hezbollah, che ha conquistato inoltre il veto sulle questioni riguardanti la sicurezza e la politica estera. Il processo che ha investito la società libanese va comunque a scoprirsi come fallimento della linea di Washington, dato che la sua politica, con l’ausilio dei suoi referenti politici nel paese, è stata bocciata e capovolta.

Condoleezza Rice, segretario di Stato Usa, il 15 giugno ha fatto visita al Libano, elogiando il presidente della Repubblica Suleiman e dando l’appoggio al premier Siniora, sorvolando però sul nodo Hezbollah, che, nonostante gli americani considerano terrorista, ha assunto sempre maggior importanza e peso nello scacchiero politico e sociale libanese. Qualche giorno più tardi, il 17 giugno, l’auto dell’ambasciatrice statunitense Michele Sison ha subito un lancio di pietre da parte di simpatizzanti del movimento Hezbollah, mentre la dilplomatica era riunita con un noto esponente sciita contrario ad Hezbollah. Sembrano inoltre aprirsi spiragli per un negoziato con Israele sulla controversia territoriale delle fattorie di Shebaa, che lo Stato sionista occupa dal 1967, e sullo scambio dei prigionieri dell’ultima guerra in Libano.

>> ascolta l’intervista con Michele Giorgio, inviato de Il Manifesto in Medioriente, registrata immediatamente dopo l’elezione di Suleiman

>> [da ArabNews] L’accordo di Doha, un altro capitolo nella storia di Hezbollah


Iran _ Verso una nuova guerra?

Sulla via di Teheran di Noam Chomsky

leggi l’articolo uscito su Internazionale, a firma del linguista americano Noam Chomsky

This entry was posted in guerre e conflitti. Bookmark the permalink.