UN ANNO DI RABBIA E DIGNITA’

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Non abbiamo che la rabbia e la dignità.
La rabbia che ci fa
inorridire davanti alle immagini di questi giorni nella Striscia di
Gaza, ai barconi stracolmi di uomini, donne e bambini che arrivano su
improbabili barche nelle nostre coste, a chi non ci riesce e muore a
tredici anni schiacciato dal tir sotto cui si nascondeva.
La rabbia
che proviamo di fronte a questa guerra che ci impone nuove basi
militari o all’arroganza del potere che vuole distruggere i nostri
territori con mega discariche o linee ad alta velocità.
La rabbia
che abbiamo provato in tanti per l’omicidio di Alexis in Grecia, come
Carlo Giuliani a Genova, sette anni indietro. Per Abbba.
La rabbia che proviamo di fronte al Potere che ci vuole impoverire, sfruttare, controllare.
La rabbia verso chi sgombera spazi sociali e case occupate, agli imbecilli che predicano e praticano l’odio e la violenza.
La rabbia per chi è rinchiuso in un CPT e si ribella. Per chi muore di
freddo nelle nostre ricche città o dal fuoco in una baracca.
La
dignità è la nostra arma, l’arma di chi in tutto il mondo non si
sottomette, non accetta, e cerca di costruire altri cammini.
Partiamo dunque per un viaggio di cui non conosciamo le strade, né
immaginiamo le destinazioni. Un viaggio lungo un anno ma anche cento,
mille, e che durerà un anno e anche cento. Ma non sapere le strade non
significa non avere nulla negli occhi. E sono le immagini di Gaza
martoriata, dei suoi figli più piccoli massacrati e straziati, ad
occupare oggi tutta la nostra visuale.
Partiamo con il cuore
stretto da una morsa, quella dell’assurdità di questo mondo ingiusto,
orribile. Partiamo sapendo che questo ci resterà dentro, ed è l’unica
cosa che sappiamo. Si può forse portare con sé il dolore come compagno
di viaggio? Si può mettersi in cammino con questo fardello che ti pesa
e ti schiaccia?
Dovremo imparare a portarlo, impedendo che esso ci inchiodi al suolo, fermi, prostrati.
I bimbi di Gaza, come quel murales di Banksy tracciato sul muro
israeliano della vergogna e dell’aphartheid, vogliono solo volare,
attaccati ad un pallone che sale verso il cielo.
A loro, ai loro
sogni e desideri che qualcuno o qualcosa di mostruoso cerca di rubare,
va il nostro pensiero. E se nel percorso sconosciuto in cui ci
avventuriamo, la coltre di nebbia, di fumo, di oscurità sarà fitta così
tanto da renderci incapaci di proseguire, alzeremo gli occhi, cercando
gli occhi che ridono dei bambini di Gaza che volano.

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