In aumento le aggressioni fasciste negli ultimi 4 mesi ·

 

antifa home page

 


In Italia nei
primi 8 mesi del 2008 si sono verificate almeno 46 aggressioni fasciste
e 44 atti vandalici/danneggiamenti inneggianti al nazifascismo.

Solo in maggio si sono registrati 24 episodi, iniziati con l’assurdo
omicidio di Nicola Tommasoli, colpevole di portare i capelli lunghi.

Qui l’archivio completo aggiornato (308 le aggressioni e 142 gli atti vandalici):

gennaio 2005 – agosto 2008 (PDF 240KB)

L’ultimo episodio riportato è l’agguato a Roma di sabato notte dove un
gruppo di fascisti ha accoltellato un compagno al termine
dell’iniziativa in ricordo di Renato Biagetti. Ultima aggressione di
chiara matrice fascista di una lunga serie tra accoltellamenti (il 27
maggio a La Sapienza, il 6 luglio sul treno Ancona-Bologna), attentati
(Acrobax) e agguati ad immigrati, compagni e omosessuali nella quale
non sono stati inseriti episodi limite come l’aggressione razzista del
Pigneto o gli scontri a Milano tra naziskin e punk e a Pietrasanta(LU)
dove si è manifestata comunque la solita violenza fascista.

Questi dati vengono raccolti grazie alle sempre più numerose
segnalazioni ad infoantifa@ecn.org e al lavoro di alcuni compagni,
consultando i media locali e nazionali, i network antagonisti. I fatti
più gravi non dovrebbero essere sfuggiti, ma la somma totale degli
episodi di violenza fascista (soprattutto quelli di minore gravità)
sono molti, molti di più.
Per ogni aggressione è indicata la fonte: ognuno può giudicare sia
l’attendibilità della singola notizia che l’attenzione che i media
riservano alla violenza neofascista. La maggior parte delle aggressioni
sono riportate da giornali locali e agenzie di stampa: a parte i casi
più gravi, i media nazionali non sembrano essere interessati al
fenomeno.
Le aggressioni e le azioni fasciste, archiviate in modo esteso nel
sito, non hanno tutte la stessa matrice e possono essere classificate
in vari modi: alcune di esse sono vere e propri fenomeni di violenza
squadrista di gruppi organizzati di estrema destra, altri episodi sono
espressione di una cultura fascista che a nostro avviso non vanno
sottovalutati.
Le aggressioni del 2008 possono essere classificate come:

9 attacchi a sedi di centri sociali/sedi militanti
1 in Gennaio
2 in Febbraio
1 in Marzo
3 in Aprile
1 in Maggio
1 in Giugno

18 aggressioni a compagni, militanti, antifascisti, frequentatori di centri sociali, studenti
3 in Gennaio
1 in Febbraio
4 in Aprile
6 in Maggio
2 in Luglio
2 in Agosto

19 altre aggressioni (immigrati, omosessuali, testimoni di geova, ragazzi, …)
2 in Gennaio
3 in Febbraio
1 in Marzo
1 in Aprile
6 in Maggio
4 in Giugno
2 in Luglio
2 in Agosto

44 Atti vandalici nazifascisti/danneggiamenti/scritte e minacce
5 in Gennaio
6 in Febbraio
6 in Marzo
6 in Aprile
11 in Maggio
3 in Giugno
2 in Luglio
5 in Agosto

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | Comments Off on In aumento le aggressioni fasciste negli ultimi 4 mesi ·

Comunicato all reds sul video su youtoube ·


Ci troviamo con rabbia a commentare il video trasmesso ieri sera dal
TG3 e comparso in rete il 29 agosto scorso, stesso giorno in cui, a San
Paolo, Fabio è stato accoltellato poco dopo la fine della giornata in
memoria di Renato Biagetti.
Renato è stato ucciso due anni fa a Focene, mentre usciva da una festa,
da 2 ragazzi vicini agli ambienti della destra estrema. Anche il
recente agguato è opera di “estremisti di destra” per usare le parole
del sindaco, il quale ha condannato l’azione squadrista di pochi giorni
fa ed espresso solidarietà ai ragazzi aggrediti.
In questo caso la scelta della vittima potrebbe non essere stata
casuale, visto che nel gruppo di amici che ha subito l’aggressione è
stato accoltellato proprio chi aveva chiuso la manifestazione con un
discorso dal palco. Per fortuna, Fabio potrà guarire.
Le istituzioni e la cittadinanza romana non possono tollerare il
ritorno dello squadrismo che riemerge dagli anni più vergognosi del
nostro passato.
Abbiamo tutti problemi reali da affrontare: il costo dell’abitare, il
caro vita, la precarietà, la possibilità di fare sport, di fare musica,
di studiare. Continueremo a farlo. Dovremo farlo tutti, noi che a Roma
viviamo, lavoriamo, studiamo.
Quegli aggressori, invece, vogliono impedirlo. Per questo vorrebbero
essere chiamati "fascisti", oppure "nazional-socialisti". Di sicuro
sono vili canaglie.
Da questo ambiente deriva il video, mandato in onda dal TG3, che
mostrava l’azione di intimidazione compiuta da squadristi fuorilegge
durante una gara ufficiale verso noi All Reds Rugby Roma, squadra
ospite, ma anche nei riguardi della società che ospitava l’incontro e
del rugby italiano. In questo filmato vengono perpetrati insulti,
minacce e diffamazioni a nostro carico ed affermazioni revisioniste che
infangano la memoria storica del nostro paese. Tutto ciò dimostra la
premeditazione e lo scopo "politico" di quell’azione ma ne rende solo
in parte tutto il suo carattere intimidatorio e violento.
Dimostra, inoltre, la volontà di fornire un esempio, un modo di
comportarsi assolutamente estraneo e contrario allo spirito e alla
realtà del rugby. Uno spirito a cui gli All Reds si sono sempre
ispirati, immaginando e considerando questo sport come un sano veicolo
di aggregazione, crescita e socialità, e che ci ha permesso di creare
un legame di leale e reciproco rispetto e agonismo con tutte le realtà
rugbistiche laziali.
Chiediamo che la FIR condanni pubblicamente, formalmente e chiaramente
l’azione ed i suoi autori e che, con questo, chiarisca se intende
tollerare o meno che tali personaggi continuino a minare lo spirito e
la pratica di questo nobile sport.
Chiediamo inoltre a tutti e a tutte, ai cittadini, alle associazioni
democratiche, alle istituzioni, alle società sportive, ai giocatori,
agli appassionati, di isolare e condannare quelle azioni e quelle
persone che nulla possono e devono avere a che fare con il nostro mondo.


Manifesto

FASCISTI SU ROMA
Coltellate e video Minacce sul web prima dell’assalto
Giacomo Russo Spena

Un video che minaccia gli «All Reds», la squadra di rugby che si allena
nel centro sociale Acrobax. Apparso su youtube venerdì sera. Poco prima
dell’accoltellamento di Fabio Sciacca, aggredito nel giorno del ricordo
dell’assassinio di Renato Biagetti. Le scorribande fasciste a Roma non
sembrano finire. Tanto che il sindaco Alemanno, malgrado la condanna di
queste azioni, appare in difficoltà. Si affida al lavoro dei Ros che
stanno preparando un’informativa sull’aggressione a Ostiense. Da
consegnare al pm Pietro Saviotti. I carabinieri sarebbero orientati per
il non attribuire il raid a un gruppo politico ma a teppisti legati
alla microcriminalità e al mondo delle curve capitoline. Intanto ieri
mattina il comitato «Madri per Roma città aperta» ha prima inscenato un
sit-in sotto al Campidoglio, «per chiedere fatti concreti al sindaco»,
e poi è stato invitato a salire dal primo cittadino. «Nessuno vuole
rispondere con altra violenza – hanno detto le donne nell’incontro con
Alemanno – ma basta con il sangue. Se chi ha il dovere non interverrà,
lo riterremo responsabile della morte dei nostri figli». Poi hanno
proposto di «vigilare» sulle attività delle occupazioni d’estrema
destra. Dal canto suo il sindaco, apprezzando l’aspirazione alla
tolleranza e al desiderio di pacificazione delle mamme, ha garantito il
massimo impegno, «affinché nessun giovane della nostra città possa
rimanere ferito o ucciso per il falso alibi della lotta tra opposti
schieramenti politici». Tema quello degli opposti estremisti rimandato
al mittente da Stefania Zuccari, la madre di Biagetti, che rigetta il
ritorno agli anni ’70: «I nostri figli non sono dei violenti, i
fascisti sì». Nell’incontro s’è anche denunciato un video comparso su
youtube venerdì sera, poco prima dell’accoltellamento di Fabio, « All
Reds All Rabbits » (Tutti rossi, tutti conigli). Gli All Reds, una
polisportiva nata due anni fa con l’idea di costruire intorno all’amore
per il rugby politiche di solidarietà e cooperazione internazionale,
sono un’esperienza di aggregazione giovanile. Un modello che funziona.
Quindi da contrastare, per i neri. Il video ritrae un episodio avvenuto
i primi di giugno durante la partita ad Ariccia tra All Reds e la
squadra locale. Una ventina di fascisti, tutti rasati con bomber e
anfibi, fanno un blitz sugli spalti: si siedono a guardare la partita,
urlano qualcosa, scrutano i giocatori in campo in modo minaccioso. Per
poi andarsene. Una comparsata di cinque minuti. Non più. Le immagini,
zoomate sui volti degli All Reds, sono intervallate da scritte come
«cercano d’inquinare questo nobile sport portato in Italia nel
Ventennio coi loro metodi da partigiani assassini… Non ci sarà più un
altro ’68, per voi nessuna tregua… stiamo arrivando». Firmato: «Anti-
Antifascismo militante». «È chiaro il carattere minaccioso delle
immagini», fanno sapere gli All Reds che interpelleranno anche la
Federazione nazionale rugb y «per capire se è intenzionata a tollerare
questi comportamenti che nulla hanno a che fare con il prestigio di
questo sport». Oltre il blitz si rischia infatti un problema di
incolumità per l’anno prossimo. I neofascisti capitolini, quelli
fuoriusciti da Fiamma, stanno fondando una propria squadra a Guidonia
(«Spqr Clan»). Quello ad Ariccia era un avvertimento squadrista. Sul
video la Digos sta già indagando.

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | Comments Off on Comunicato all reds sul video su youtoube ·

Come bestie. Report alternativo della giornata di ordinaria follia tra Napoli e Roma

Pubblichiamo un report sulla tasferta dei tifosi
napoletani a Roma nella prima giornata di Campionato. I media main
stream ci raccontano di atti di teppismo da parte degli ultras del
Napoli, arrivando addirittura ad inventarsi di sana pianta rapine,
aggressioni e minacce a cittadini inermi. Ma la realtà e’ ben diversa.
Oltre 3000 persone munite di biglietto della partita e biglietto del
treno, sono state trattate come bestie in una giornata di follia.
Minacce continue, arresti arbitrari, cariche senza alcun motivo,
migliaia di persone ammassati in autobus e treni. Tutto questo grazie
alla rigidità di Trenitalia ed alla stupidità dei Questori (quello di
Napoli e quello di Roma), assolutamente incapaci di gestire un evento
sportivo di grandi dimensioni come quello di Roma – Napoli.

Appuntamento alle ore 8.00 stazione centrale, la partita è alle 15.oo,
la cosa non mi sorprende affatto: chi come me ha frequentato le curve
sa cos’è un gruppo, sa quanto e difficile organizzare una trasferta.
Roma non è come le altre, si sa che si deve fare qualche sacrificio in
più e anticipare se è possibile anche gli imprevisti di un esodo di
3600 napoletani verso la capitale.
Quando scendo di casa ho in
tasca solo il biglietto per il settore ospiti (stadio Olimpico ingresso
50/52) e qualche soldo per comprare il biglietto del treno, si perché
anche se Trenitalia continua ad aumentare le tariffe, troppo care per
le mie tasche di giovane precario, e di treni speciali non se ne fanno
più, questa volta è diverso.
I gruppi organizzati e i tifosi
napoletani si giocano la possibilità di poter vedere la loro squadra
anche in trasferta, il Viminale ha dato una possibilità e nessuno vuole
rimanere a casa la domenica davanti alle squallide telecronache di sky
o di mediaset premiun. Il treno sembra la soluzione migliore perché
garantisce la sicurezza di tutti, a Roma ci aspettano da tempo e
conoscendo i rapporti che ci sono tra le curve romane e la Questura non
ci fidiamo di arrivare in auto, troppo facile la possibilità di un
agguato isolato, la situazione diverrebbe incontrollabile .
Verso
le 9.00 ci dirigiamo tutti verso il binario da cui deve partire il
nostro treno, tutti biglietto alla mano, ma è una bolgia. Il cordone di
polizia ci stringe in una pressa, e il caldo fa il resto, quando un
ragazzo si sente male la pazienza sembra finire. E’ un’ora che siamo li
uno addosso all’altro aspettando di salire, la folla spinge e il
cordone di polizia si rompe. Saliamo sul treno che già è pieno di suo,
oggi c’è il rientro dalle vacanze, chiediamo scusa alle persone per il
disagio ma siamo persone normali anche noi e abbiamo diritto di
viaggiare, se qualcuno vende 3600 biglietti per un evento sportivo di
quella portata dovrebbe anche prevedere uno spostamento in massa?!
Invece tutto sembra tranne che di trovarsi in un paese civile, e mentre
i dipendenti di Trenitalia invitano le persone che non sono dirette
allo stadio a trovare un’altra soluzione noi ce ne stiamo per più di
due ore ammassati come bestie a più di 40 gradi nei vagoni senza poter
bere e senza aria.
Quando il treno parte sono le 12.30, e già si
capisce che perderemo di sicuro il calcio d’inizio. Ma prendiamo
coraggio almeno arriveremo a destinazione, con noi si è trattenuta
anche una coppia di anziani di Castellammare di Stabia che nonostante i
consigli del capotreno di trovare una soluzione diversa, rimangono sul
loro treno perchè hanno il biglietto per quel posto e non vogliono
trovare soluzioni alternative. Ma quando dal treno spengono l’aria
condizionata anche loro iniziano a barcollare, qualcuno si sente male e
tutto sembra cosi assurdo, ma siamo a Latina e ormai il piu è fatto.
Arriviamo a Roma Termini alle 15.44 in corteo usciamo dalla stazione e
prendiamo i pullman parcheggiati sul piazzale: stessa scena, ammassati
come animali, senza acqua da ore, saliamo in un pullman che può
contenere 50 persone ma noi siamo più di 150. Il viaggio sembra non
finire e Aquiliani segna l’uno a zero. Arriviamo nello stadio quando il
secondo tempo è gia iniziato da qualche minuto, la ressa ai cancelli è
infernale, la gente spinge e i tornelli non aiutano il defluire delle
persone. Quando entriamo abbiamo giusto il tempo di vedere lo stupendo
gol di Marek Hamsik , finalmente un pò di sollievo, possiamo guardare
solo altri 30 minuti di partita (in cui il Napoli rischia anche di
vincere), e lo facciamo cantando a squarcia gola. Quando la partita
finisce ci tengono altre 2 ore nello stadio per far defluire i tifosi
ospiti, ma qualcosa cambia quando arriviamo ai pullman che ci aspettano
già nel settore.
Squadracce di celerini guidate da integerrimi
dirigenti , fanno il giro tra i pullman scegliendo tifosi a campione da
pestare. Salgono anche nel mio prendono un ragazzo per i capelli, gli
gridano “già ne abbiamo ammazzato uno, il prossimo sei tu” lo portano
giù tra gli occhi increduli di chi era sul bus, lo picchiano a sangue
finché un dirigente non lo porta dietro una siepe lo mette a terra
fermo con un piede sulla faccia. Fanno lo stesso anche negli altri
pullman. Noi partiamo finalmente, ma altri 10 bus rimarranno nello
stadio fino alle 21.30, senza sapere cosa può succedere. Arriviamo in
una stazione blindata intorno alle 19.30, iniziamo a capire che
qualcosa non va.
I cordoni di polizia e carabinieri ci chiudono
su tutti e 4 i lati, e mentre da Napoli ci arrivano telefonate che ci
informano che i telegiornali annunciano che i napoletani si sono
lasciati andare ai soliti atti di vandalismo e guerriglia. Nella
stazione la situazione peggiora. Iniziamo a temere che forse stanotte
non torneremo a Napoli, ne ho viste tante di trasferte, sono stato
anche ai cortei in piazza, ma di situazioni così ne ricordo davvero
poche, sembra che tutto abbia un copione già scritto.
Siamo circa
un migliaio, tra chi ha il biglietto cumulativo (i gruppi organizzati
hanno un biglietto che ha più di 700 posti) e chi ha il biglietto
singolo, la fretta di tornare a casa e lasciarsi Roma alle spalle fanno
il resto. C’è ressa per passare, i cordoni di polizia si stringono e la
folla spinge per entrare: parte una carica che provoca un fuggi fuggi
generale nel cuore di Roma Termini, rischiando di travolgere anche le
persone che incredule assistono a questo spettacolo. Aspettiamo altre
due ore prima di riuscire a sfilare dalla folla e salire sul treno;
sono ormai le 21.30 ma il treno non parte, aspetta gli altri tifosi
rimasti allo stadio nei pullman. Finalmente si parte sono le 22:30,
arriviamo a Napoli che è quasi l’una, felici del risultato e di esserci
lasciati alle spalle la follia di questa giornata.

G.P.

Rassegna Stampa:
Abate "Basta coi delinquenti " da Repubblica.it
Il questore "non c’erano pericoli di ordine pubblico" da Corriere.it
Maroni al Questore Puglisi "Voglio spiegazioni" da Il Mattino

a cura di Global Project Napoli / Alternative Visuali

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on Come bestie. Report alternativo della giornata di ordinaria follia tra Napoli e Roma

La madre di Renato «Ho rivissuto la notte in cui hanno ucciso Renato.Basta violenza fascista» ·


Allarmi siam fascisti… Era negli anni venti lo slogan delle
squadracce nere all’attacco delle case del popolo, delle camere del
lavoro, delle sedi dei partiti del movimento operaio e della lega delle
cooperative, devastate, bruciate, chiuse con la forza. Qualcosa del
genere sta tornando in Italia? La domanda ha raggiunto recentemente
l’onore delle cronache grazie ad un articolo di Asor Rosa che ha fatto
scorrere un po’ d’inchiostro. Il professore però non si riferiva alla
violenza squadristica. Il suo ragionamento era più complesso. Si
trattava di un drastico giudizio di valore sulla destra politica
attuale, da lui ritenuta peggiore del fascismo perché priva del
progetto di società che l’ideale “totalitario” fascista conteneva.
Secondo Asor Rosa la destra attuale, sommatoria di spinte diverse e
contraddittorie, offre uno spettacolo decadente. Nel fascismo c’era una
risposta alla terribile crisi che aveva travolto il vecchio mondo
liberale. Una modernizzazione autoritaria dell’economia, una
nazionalizzazione totalitaria delle masse. Visione tragica,
dittatoriale, ma pur sempre visione. Oggi forse presente, ma solo in
rapidi squarci, in qualche trovata di Tremonti. Altri hanno preferito
ricorrere a formule nuove: c’è chi ha scelto «regime dolce».
Il filoso Alain Badiou ha parlato di «petenismo trascendentale» a
proposito del sarkozismo. In realtà ciò che è venuto meno è
l’antifascismo. L’effetto domino provocato dalla caduta del muro di
Berlino ha ridato forza all’anticomunismo e reso evanescente
l’antifascismo. A seppellire definitivamente “l’arco costituzionale”,
cioè quel complesso di forze politiche che avevano partecipato alla
fondazione della repubblica e alla scrittura del compromesso
costituzionale, è stato l’attacco delle procure della repubblica in
nome di un giustizialismo populista e di un emergenzialismo penale che
ha sdoganato la destra. La vecchia destra neofascista uscita
definitivamente dall’angolo, liberata dai complessi del minoritarismo e
del reducismo storico e “obbligata” così a divenire destra europea,
destra di governo. Altre destre sono apparse dalle pieghe del
territorio, dalle valli del Nord. Destre identitarie, rancorose. Va
detto che a questo bel risultato ha largamente contribuito il “partito
storico dei giudici”, cioè quel Pci-Pds-Ds- Pd che della via penale
alla politica e dell’alleanza con le procure aveva fatto l’asse
centrale della sua strategia. Ma questa è un’altra storia che andrà
prima o poi raccontata. La fine dell’antifascismo ha prodotto l’effetto
“zoo liberato”. Si sono aperte le gabbie, o forse scoperte le
pattumiere, insomma sono riemersi dalla storia chincaglierie, cimeli,
reliquie che sopravvivevano nelle catacombe del paese. Ma poi si è
scoperto che tanto catacombe non erano. La costruzione del sistema
politico bipolare, l’introduzione del maggioritario ha fatto il resto.
Per vincere ogni voto era buono. Berlusconi è stato il più abile e
spregiudicato. Ha messo insieme tutto ciò che esisteva a destra e alla
sua destra comprando, finanziando apertamente o sottotraccia. La destra
ha persino messo fine ai suoi anni di piombo. Ha messo fuori tutti
(meno due o tre) i militanti dei suoi gruppi eversivi, alcuni li ha
arruolati, altri eletti. E’ questo contesto politico che ha
rilegittimato valori del passato prerepubblicano e preantifascista e
ridato alla violenza politica proveniente da destra una nuova
legittimazione sociale che si traduce in disattenzione,
sottovalutazione se non comprensione e connivenza. Forse altri
Novecento sono finiti ma quel Novecento lì c’è ancora e ha superato il
giro di boa, tanto che dal 2000 si registrano 2 morti, due giovani di
sinistra uccisi da mani fasciste. Chi contesta queste etichette, lo fa
in nome di una rappresentazione della politica che non c’è più. Nessuno
tra gli aggressori, come tra gli aggrediti, ha più tessere politiche in
tasca perché le forme della partecipazione sono cambiate.
Alla vecchie sedi si sono sostituiti i centri sociali, le occupazioni
non conformi, le curve degli stadi. Sono cambiati i luoghi di
aggregazione ed anche la fisionomia della partecipazione. Tutto è più
confuso e approssimativo, le idee sono anche più rozze ma le coltellate
sono vere, le lame di puro acciaio e il sangue non è pomodoro. Davide
Cesare (Dax) e Renato Biagetti sono stati uccisi nel 2003 e nel 2006.
Dal 2005 almeno 262 le aggressioni recensite attribuibili alla destra:
88 attacchi a sedi e centri sociali di sinistra; 76 aggressioni
razziste e 98 gli atti vandalici. Senza dimenticare Carlo Giuliani e
Federico Aldovrandi. Anch’essi da annoverare in questa tragica
contabilità. Vittime di un clima di violenza che è tornata pratica
diffusa negli apparati di polizia, come i fatti di Genova del 2001
hanno dimostrato al mondo intero.

 

 

 


La madre di Renato Biagetti, la signora Stefania, è sconvolta
per quanto è accaduto venerdì notte a Roma, ai margini
della festa-incontro organizzata nel bel parco prospicente la basilica
di san Paolo fuori le mura, per ricordare suo figlio ucciso due anni fa
nel corso di una vigliacca aggressione ispirata dal clima fascistoide
che si respira da tempo. Nei giorni scorsi aveva scritto una lettera
aperta ai giudici della corte d’appello che dovranno giudicare
gli assassini di suo figlio. Non chiedeva vendetta, non chiedeva
carcere, non chiedeva pene più dure. La signora Stefania non ha
proprio il profilo culturale che contraddistingue il vittimismo
attuale. La signora Stefania chiedeva solo verità, che non si
mettessero sullo stesso piano aggrediti e aggressori, che non si
confondesse la cultura di vita, di gioia e di speranza di suo figlio,
colpevole soltanto di aver scelto una calda sera di fine estate per
andare a ballare in una spiaggia del litorale, con il risentimento
torvo, l’animo buio di due balordi che per sentirsi uomini
avevano bisogno di una lama, protesi d’acciaio di
personalità inconsistenti. Ieri è subito corsa in
ospedale per accertarsi delle condizioni di salute del ragazzo
aggredito a coltellate da un manipolo di sgherri neri appostati nel
buio della notte, nell’ora in cui restano aperti solo i tombini,
in attesa di colpire qualcuno dei partecipanti che isolato defluiva
lentamente verso casa. Ha parlato con lui e ci racconta del suo stato
di salute, del muscolo della coscia squarciato da una coltellata. Una
ferita di 15 centimetri.

Cosa hai pensato quando hai saputo dell’aggressione?
Che si è trattato di una rivendicazione chiara
dell’omicidio di mio figlio. Chi ha colpito venerdì notte
alla fine di una serata pacifica in sua memoria l’ha fatto con
piena premeditazione. Una premeditazione politica che chiarisce una
volta per tutte cosa è successo quella notte di due anni fa.
Forse ora c’è ancora qualcuno che ha il coraggio di
venirci a raccontare che si trattò di una rissa da strada?
Queste persone hanno atteso pazientemente l’occasione per colpire
indisturbati, senza correre rischi in un giorno particolare. Più
esplicito di così!

Cosa ti ha raccontato F.?
Volevo sentire da lui cosa aveva provato quando si è trovato di
fronte gli aggressori armati di lame. Volevo capire cosa aveva provato
mio figlio nei suoi ultimi attimi di vita. Come è accaduto a
Renato anche lui ha visto in faccia chi l’- ha accoltellato. Dopo
il primo colpo si è girato e gli ha detto ”ti rendi conto
di cosa stai facendo?”. Quello imperterrito ha continuato a
colpirlo con il coltello finché non è caduto a terra.
Avevo voluto una festa e non una manifestazione politica perché
volevo ricordare la gioia di vivere di Renato, il suo sorriso. Una
serata pacifica a cui partecipasse tanta gente, dove non si coltivasse
odio e voglia di vendetta. E quelli stavano lì nascosti, a
spiarci, a infiltrarsi, carichi di odio, pronti a colpire.

Al governo della città ora c’è Gianni Alemanno, uno
che ha conosciuto il fascismo da marciapiede e sa bene quali logiche
ispirano queste azioni squadristiche. Hai qualcosa da dirgli?
Il sindaco Alemanno ha vinto le elezioni con un programma in cui
prometteva sicurezza. Ma di quale sicurezza parlava? Ormai sono
centinaia le aggressioni di sapore fascista, quelle ispirate dal
razzismo, dal sessismo, dall’intolleranza che hanno cambiato il
volto di questa città. I giovani di sinistra, o che questi
accoltellatori pensano siano tali solo perché hanno un certo
tipo di abbigliamento o frequentano certi luoghi, subiscono continue
aggressioni. Mio figlio è morto ucciso selvaggemente. Noi madri
vogliamo sapere cosa pensa il sindaco di questi episodi, cosa pensa di
questi ragazzi che vanno in giro con delle lame per aggredire chi esce
da un concerto pacifico. Quanto sangue dovrà ancora scorrere?

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | Comments Off on La madre di Renato «Ho rivissuto la notte in cui hanno ucciso Renato.Basta violenza fascista» ·

AGGREDITI 4 COMPAGNI, ACCOLTELLATO COMPAGNO DEL L38 SQUAT

Alle 4,30 della notte del 30 Agosto di ritorno dall’iniziativa al
parco di San Paolo, che dal pomeriggio aveva visto partecipare migliaia
di persone e che ha ricordato la vile aggressione che porto’ alla morte
di Renato Biagietti all’uscita della festa reggae sulla spiaggia di
Focene, con coltelli e bastoni circa 10 topi di fogna hanno atteso
nascosti nel buio che tutti fossero andati via per colpire alle spalle
quattro compagni isolati che tornavano alle macchine.
Il primo atto dell’aggressione è stata una serie di coltellate alla
gamba da dietro senza provocazione e senza dire una parola alla pronta
reazione dei compagni gli infami sono scappati.
Questo gesto evidentemente vuole rivendicare “politicamente” la
matrice infame e fascista e la vile pratica della lama dell’omicidio di
Renato.
Il nostro affetto e la nostra rabbia ai nostri compagni aggrediti, con Renato nel cuore.

NIENTE RESTERA’ IMPUNITO!

L38 SQUAT

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on AGGREDITI 4 COMPAGNI, ACCOLTELLATO COMPAGNO DEL L38 SQUAT

Aggressione con le lame a Roma nel giorno per Renato

A margine della iniziativa in ricordo per Renato Biagetti

L’infamità veste di nero, del nero dei fascisti, questo ormai è lapalissiano.

La serata di ieri al Parco Schuster è stata bella,
emozionante e partecipata, con centinaia di persone passate a ricordare
Renato Biagetti e la sua storia.
La serata poi è proseguita lì vicino a Pirateria, a qualche centinaio di metri sulla via ostiense.
Stanotte verso le 4.30/5 4 compagni che tornavano all’altezza del parco
per recuperare l’auto, sono stati aggrediti coltelli alla mano da un
gruppetto di una decina di fascisti.
Un ragazzo ha ricevuto 3 coltellate su una coscia e ha dovuto ricorrere
ad alcuni punti di sutura. "I giovani leoni" sono successivamente
fuggiti, mostrando così tutta la loro squallida infamia.
Ancora coltelli, ancora fascisti, la storia di Renato non ha insegnato niente a nessuno.
Solidarietà ai ragazzi.
Antifascismo attivo.

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | Comments Off on Aggressione con le lame a Roma nel giorno per Renato

Sabato 23 agosto ore 22.00 – Nazirock + Live

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on Sabato 23 agosto ore 22.00 – Nazirock + Live

Pietrasanta(LU): violenza fascista al caffé la Versiliana ·

Violenza fascista alla Versiliana

Ancora una volta il volto violento della destra viene fuori. Al caffè la Versiliana di Marina di Pietrasanta lo squadrismo fascista colpisce esponenti antifascisti locali che dopo l’ennesima affermazione apologetica protestavano pacificamente.
L’affermazione "state facendo apologia di reato” fa scatenare la rabbia dei nostalgici del fucilatore Giorgio Almirante che lanciano seggiole contro gli antifascisti e la polizia che si era frapposta. Negli episodi un giovane compagno viene colpito al naso da un cazzotto.
Al caffè la Versiliana la violenza fascista passa dalla teoria alla pratica mostrando che un simile caffè ha ormai connotati apertamente anticostituzionali.


Da
Il Tirreno

Alla Versiliana seggiolate e pugni agli antifascisti che contestavano
Finisce a botte l’incontro su Almirante

Luca Basile Donatella Francesconi

Volantini e cori partigiani contro il talk show sulla figura dell’ex leader Msi PIETRASANTA. Finisce in rissa e con due identificati l’incontro dedicato a Giorgio Almirante, leader storico della destra, ieri pomeriggio al Caffè della Versiliana di Marina di Pietrasanta. Un incontro duramente contestato da esponenti della sinistra e che è poi degenerato in calci, pugni e tafferugli davanti a una platea sconcertata e impaurita. L’episodio chiave è stato un’aggressione iniziale, anche a colpi di sedie.
C’era allerta per il tema dell’incontro, con carabinieri e polizia, presenti in discreto numero; il conduttore, Romano Battaglia, ha raccontato che intorno alle 17 la Digos aveva controllato palco e platea, dopo due telefonate anonime che annunciavano la presenza di una bomba.
Quando l’incontro è iniziato, su un lato si sono radunati una trentina fra attivisti di Rifondazione, Pdci e esponenti di Dada Viruz Project impegnati a distribuire volantini dove Almirante veniva definito «fascista, razzista e assassino», per un Caffè della Versiliana definito «sempre più nero». Poi il piccolo corteo si è trasferito a bordo palco, dove dibattevano il senatore Franco Servello, il giornalista Aldo Di Lello e il costituzionalista Paolo Armaroli, coordinati da Battaglia. A margine di un commento di Armaroli sul ruolo politico di Almirante si è levato un grido: «Questa è apologia di reato». Sull’istante, è parso l’annuncio dell’abbandono dell’incontro da parte della sinistra. Invece quelle parole hanno innescato una gazzarra.
Due spettatori si sono alzati dalla platea. Uno di questi, brandendo una sedia, si è scagliato contro uno dei contestatori. La sedia però ha colpito – come confermato dalla polizia – un poliziotto in borghese della Digos di Lucca. A quel punto il caos è degenerato in tafferugli sparsi; due persone sono finite per terra fra calci e pugni, poi divise dai poliziotti con fatica. Poi insulti, accuse reciproche, appellativi vari, “fascisti”, “comunisti di merda” e cori partigiani a conferma della delicatezza di un appuntamento che aveva lasciato i più perplessi, fin dal primo momento in cui era stato inserito in cartellone.
Alla fine del dibattito i due spettatori protagonisti dell’episodio iniziale sono stati identificati dagli agenti del commissariato di Forte dei Marmi.
Si tratta di due professionisti campani; uno di loro si sarebbe qualificato come un dirigente di An. Alla polizia ha detto: «Farò intervenire dei senatori che conosco bene». Dura la reazione dei due, davanti agli agenti: «Ci chiedete i documenti davanti a tutti – ha detto uno dei due rivolgendosi al dirigente di Ps – abbiamo dovuto ascoltare quelle insolenze e voi stavate a proteggerli…». Sull’altro versante, toni opposti. Secondo Dada Viruz Project, negli scontri un giovane dei contestatori è stato ferito al naso da un pugno.
Impegnato a Torre del Lago dove presiede il Festival Pucciniano, il presidente della Fondazione Versiliana, Massimiliano Simoni, coordinatore territoriale di An, è arrivato quando tutto era già finito. «Se a vent’anni dalla morte di Almirante non si può nemmeno parlarne in pubblico – è stato il suo commento – allora non mi preoccupa la deriva giovanile dei contestatori, ma il clima creato e sostenuto da persone come l’ex vicepresidente del Senato, Milziade Caprili, che con le sue dichiarazioni sulla stampa è il responsabile di quanto accaduto». Accompagnati dai poliziotti all’uscita, i contestatori hanno preannunciato una denuncia contro i due identificati. «Abbiamo ascoltato per 10 minuti, in silenzio: all’ennesimo intervento teso a celebrare la figura di Almirante, che – lo dice la storia – avallò le leggi razziali, ci siamo limitati a gridare “fate apologia di reato”. E’ bastato questo per scatenare la reazione di alcune persone presenti in platea e uno di questi ci ha aggredito. Questo è fascismo».
(20 agosto 2008)

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | Comments Off on Pietrasanta(LU): violenza fascista al caffé la Versiliana ·

La vita rubata

L’estate sta finendo tra stucchevoli dispute sulla perdita di memoria di Walter Veltroni e sul ruolo della “pubblica opinione”, condotte da alcuni maître à penser che scrivono sui giornali. Un dibattito sulla irrancidita società italiana che, per paradosso, dichiara la crisi della coscienza etica e della cultura espressa da ciò che siamo abituati a chiamare “sinistra”, aggirandosi lontanissimo dai nodi tematici che andrebbero affrontati per risolverla. C’è, per esempio, qualcosa di particolarmente agghiacciante nell’accanimento con cui lo Stato si sforza, di questi tempi, di imporre la vita a Eluana Englaro. Ma inquieta, in generale, l’attenzione maniacale con cui il legislatore si è messo a seguire molti dei nostri atti più comuni e quotidiani allo scopo di preservarci in salute. Bisogna eliminare tutti i pretesti al pessimo vizio di fumare e di bere, al malcostume di ingrassare come a quello di distrarci mentre siamo alla guida dell’automobile. Mentre l’invecchiamento della popolazione si trasforma in problema da affidare agli studi statistici, a Bologna Sergio Cofferati, il più fedele custode, tra i sindaci italiani, del “discorso imperativo” contemporaneo – la pubblica istituzione come garanzia della salvezza del corpo e della sicurezza del cittadino – ha di recente proibito il ricorso al piercing nelle parti intime, la cui funzionalità “potrebbe essere compromessa”. “Meglio la morte della salute che ci è data in sorte”, ha scritto Deleuze nel 1990: l’amministrazione dell’esistenza, l’imposizione della sicurezza, si sono estese fino ad avere un ruolo centrale nell’economia politica del capitalismo contemporaneo e, con ciò, nello scorrere dei vari momenti della nostra esistenza. Come ha indicato Foucault, i sistemi della modernità devono obbligatoriamente includere, e a un tempo controllare, le forze vive e generatrici, nonché i dati biologici essenziali degli esseri umani. Non solo ogni atto, ma ogni singola definizione del campo dell’umano provoca oggi ricadute decisive sul piano politico, economico, sociale. E la riproduzione sta perfettamente al centro di tutto il processo: il corpo femminile comprende al suo stesso interno ciò che il capitalismo si costringe disperatamente a imitare e a regolare. Si prova a separare la funzione generativa dai corpi delle donne attraverso il ricorso alle biotecnologie, ovvero, viceversa, normandone e controllandone diversamente gli andamenti, a seconda di ogni diversa fase. Qualche settimana fa, a Londra, la signora Nicole Brewer, responsabile della Commissione pari opportunità e critiche di genere della Gran Bretagna, ha sostenuto che i congedi per maternità garantiti alle donne per legge finiscono per impedire loro di far carriera: “Bisogna ripensarci: la strada che per tanti anni abbiamo percorso e che ci ha portate a combattere per ottenere il diritto a stare a casa per occuparci dei nostri figli forse non è la strada più giusta”. In febbraio, a Napoli, latitudine differente della stessa vecchia Europa, un pubblico ministero era stato colto dal sospetto che l’aborto terapeutico a cui si era sottoposta una donna fosse irregolare e aveva perciò disposto un’ispezione dei carabinieri con tanto di sequestro del feto, più che mai “corpo del reato”. Il mese di settembre si aprirà con la discussione di una legge Finanziaria che, quest’anno, ha rischiato di veder cancellato l’assegno sociale, unica forma di reddito, nella vecchiaia, per molte casalinghe italiane impossibilitate a dimostrare il proprio ruolo “produttivo”. La difformità degli esempi forniti non esclude, volendo, di cogliere l’unico disegno sottostante e la sua trama particolare: il presente ha operato una decostruzione radicale degli assunti principali della teoria politica classica, scombinando il meccanismo di inclusione/esclusione su cui si fondano alcuni concetti cardine nonché, storicamente, i rapporti tra i generi (cittadinanza; produttività; riproduzione; pubblico e privato). Nuove, sottili, imprendibili, linee guida impongono (consigliano/sconsigliano, secondo il bisogno e il caso) di avere oppure non avere figli. Lo scopo è quello di minare nel profondo la potenza generativa (vale a dire l’autodeterminazione) delle donne. La sfera riproduttiva e sessuale è oggi riconosciuta come luogo fondamentale di produzione e di circolazione del potere e in quanto tale va precisamente governata. D’altro lato, il lavoro produttivo viene incentivato con convinzione, prescindendo sempre più dal genere del soggetto.
L’invenzione della precarietà ne accresce efficacemente il desiderio, trasformandosi il lavoro in oggetto oscuro e labile, con suggestiva cesura e conseguente risultato – il soggetto è costretto a inseguirlo e ad anelarlo costantemente – rispetto ad altre ere, anche recenti. E’ dunque estremamente importante perché fa ordine quanto scrive Rosi Braidotti in un libro da poco pubblicato Trasposizioni. Sull’etica nomade (Luca Sossella editore): “Le società industriali producono una proliferazione delle differenze per assicurarsi il massimo profitto (…) E’ così saltato il rapporto dialettico tradizionale con i referenti empirici dell’Alterità. Il capitalismo avanzato appare come un sistema che promuove il femminismo senza donne, il razzismo senza razze, le leggi naturali senza la natura, la riproduzione senza il sesso, la sessualità senza i generi sessuali, il multiculturalismo senza la fine del razzismo, la crescita economica senza sviluppo, i flussi di capitale senza i soldi”. Ecco che, dentro una dinamica in perenne tensione, in un gioco contraddittorio e schizofrenico dove contraddizione e schizofrenia sono parte inclusa nell’ordito stesso, il lavoro esprime infine, per sua stessa costituzione, la sua dimensione monista, provando a schiacciare il molteplice contenuto nelle singole soggettività, all’interno di un’unica estrinsecazione. Nuovi e vecchi processi produttivi gravano contemporaneamente sui corpi. Arcaico e moderno convivono negli stessi territori. Mentre nelle periferie della zona industriale di Padova le operaie magrebine dividono la spazzatura adoperando le loro nude mani, le tecnologie della comunicazione della “wikinomics 2.0” non solo imitano la realtà circostante ma mutano le percezioni del corpo, segnando una nuova via alla tecnologia che si fa strada all’interno della sfera sensoriale umana, in un universo sempre più digitale. La condizione esistenziale precaria diventa dunque comune denominatore delle differenze che producono valore e ricchezze, sempre più espropriabili. Tuttavia non basta ancora. Il governo della vita – e il corpo femminile, capace di generare è, da questo punto di vista, paradigma d’eccezione – è il perno dell’impianto, elemento a un tempo simmetrico e supplementare. Ricatto del lavoro e comando sui corpi agiscono specularmente e fotografano la qualità moderna della repressione e dell’imposizione degli attuali comandi sociali, economici e culturali, laddove anche la Chiesa si ritaglia un ruolo di primissimo piano. Non più il solo tempo di lavoro è oggetto del controllo: lo sono gli infiniti attimi della nostra esistenza, dall’ambito sessuale-riproduttivo a quello dell’immaginazione e della proiezione di sé nel mondo. L’uso estensivo e privo di confini del corpo che abbiamo, fino a qui, cercato sommariamente di descrivere, non trasforma, conseguentemente, l’interpretazione classica della teoria della creazione del valore poiché essa viene modificata dal “basso”, dall’uso più complessivo e complesso che della vita tende a fare il capitalismo avanzato? Tutte le dinamiche rappresentate hanno a che vedere con forme diverse di controllo e appropriazione del corpo e della sua potenza. Ebbene, esse non dovrebbero indurci a rivendicare, coerentemente, una nuova misura del valore? Eppure, nel mercato globale, nel postmoderno, questa nuova misura del valore è attualmente introvabile. Il ragionamento meriterebbe ben più ampia trattazione, ma è proprio, fortemente, su questo aspetto che occorre sforzarsi di indagare per dare forza alla richiesta del reddito (bioreddito) come “contromisura” che non va più definita come redistributiva ma è eminentemente distributiva del nuovo e più ampio valore estratto dalla potenza della vita (affetti; cura; attenzione; relazione; dono di sé; rappresentazione di sé). E’ a partire dalla nuova forma che il valore assume nell’onnivoro capitalismo contemporaneo che la richiesta del basic income va inquadrata. Le donne possono spingere lungo quest’asse non per farne una rivendicazione di “genere” ma a partire da un’esperienza materiale più incarnata, a partire da uno sguardo che si confronta più direttamente con le politiche di controllo dei loro corpi.
L’autodeterminazione delle donne, oggi, passa, per forza, da questo imprescindibile elemento che aumenta le possibilità di autovalorizzazione dei soggetti. Per chiudere il cerchio da dove siamo partiti, la sinistra smemorata e alla ricerca di identità avrebbe molti, nuovi, compiti da svolgere. Basta che ricominci a osservare il mondo.

Posted in pensieri e riflessioni | Comments Off on La vita rubata

La «ribellione in musica» dei giovani palestinesi

Hip Hop L’Intifada delle parole

Un concerto a Betlemme ha concluso il programma «Hip Hop Palestine». Un fenomeno artistico e politico cresciuto tra i quartieri arabi di Gerusalemme, la Cisgiordania e Gaza, tra scantinati e sale di fortuna, dà voce alla rivolta contro l’occupazione israeliana ma anche contro la mancanza di libertà individuali, ad esempio delle donne.

Michele Giorgio

BETLEMME-Mancano pochi minuti all’inizio delle esibizioni. Un poster enorme del poeta nazionale palestinese Mahmud Darwish, scomparso una settimana fa, domina la sala conferenze dell’università di Betlemme, dove è in programma il concerto finale di «Hip Hop Palestine».
Terminate le lezioni gli studenti si affrettano a raggiungere la sala. Qualche ragazzo osserva in silenzio il palcoscenico dove i tecnici si affannano a sistemare e provare i microfoni. Ragazze con il velo islamico a passi veloci raggiungono i posti ancora disponibili nelle ultime file.
«Siamo all’atto finale, finalmente i nostri allievi potranno mostrare cosa hanno imparato in queste settimane. Tante cose però me le hanno insegnate loro in questo periodo di tempo trascorso qui in Cisgiordania. E’ stata una esperienza importante per loro e per me», spiega Wahid Mahmud, 22anni, cantante e istruttore di breakdance. E’ danese ma di origini palestinesi, i suoi genitori sono entrambi di Jenin. «Ho trovato ragazzi e ragazze che hanno voglia di esprimersi, di tirare fuori quello che hanno dentro e hanno capito che rap, spoken word e breakdance consentono tutto questo».
Dentro la sala cresce l’attesa del pubblico e la tensione della «prima volta» dei giovani artisti, alcuni dei quali non hanno più di 15 o 16 anni. Tra cavi elettrici e un mixer si agita sudato Sameh Zakout, detto Saz, uno dei rapper palestinesi emergenti: ha fatto da «insegnante» nel progetto di Hip Hop Palestine. Viene anche lui da quella fucina di hip hop che è diventato il quartiere arabo della cittadina di Lod, in Israele. Sta per cominciare. Un presentatore prende un microfono e chiede un minuto di raccoglimento per Mahmud Darwish. Poi tra gli applausi parte lo spettacolo. Sul palco si alternano rapper, talenti della breakdance e i ragazzi della spoken word, letteralmente «parola parlata», la recitazione senza musica in cui il corpo e la voce pesano quanto le parole.
Hip Hop Palestina è uno dei più importanti progetti avviati per dare ulteriore impulso a un fenomeno in fortissima crescita nei Territori occupati e nei centri arabi in Israele. Rapper e band hip hop spuntano come i funghi, ogni mese si sentono nomi nuovi, in Cisgiordania e anche a Gaza. I giovani palestinesi hanno ripreso a piene mani dalla vicenda umana e artistica dei rapper americani, osservando quanto nasce nelle periferie più povere ed emarginate delle città statunitensi, nei ghetti per neri e latinos: e hanno trasformato questa forma di «ribellione in musica», così lontana dalla loro tradizione, in un movimento politico e sociale.
«Non siamo venuti qui ad imporre modelli ma solo a offrire strumenti ai giovani palestinesi per esprimersi, per sviluppare le loro potenzialità», precisa davanti alla telecamera di una televisione tedesca Janne Andersen, responsabile di Hip Hop Palestina assieme alla scuola di musica Sabreen di Gerusalemme. «Dalla Danimarca sono giunti quattro giovani specialisti di rap, breakdance e spoken word con origini palestinesi e arabe che hanno avuto il compito di seguire decine di ragazzi a Jenin, Nablus, Betlemme, Ramallah e Gerusalemme Est. Purtroppo le restrizioni israeliane non hanno consentito di allargare il progetto anche ai ragazzi di Gaza», aggiunge.
Eppure il fenomeno hip hop è esplosivo proprio a Gaza dove tra scantinati e sale improvvisate si svolgono sempre più frequenti concerti ed esibizioni di giovani che non desiderano altro che raccontare la loro vita: l’occupazione israeliana, l’embargo economico, i valichi chiusi in faccia agli ammalati gravi ma anche la mancanza di libertà individuale, le imposizioni della religione, i condizionamenti della famiglia.
Hamas lascia fare, i suoi attivisti non intervengono: ma quando i testi dei rapper – come Dead Army, RMF, PR, Mohammed Farra – mettono in discussione l’ordinamento sociale, allora fanno la voce grossa. «Il rap, con quel modo di cantare e parlare, è comprensibile ai ragazzi di là, stanchi di canzonette d’amore. Gaza ha bisogno di voci che sappiamo riferire il suo dolore, le sue ansie, non di qualche strofa che addolcisce il cuore», spiega Sami, dei Dead Army.
Anche in Cisgiordania e Gerusalemme l’hip hop, grazie anche a gruppi come i Ramallah Underground e i Ghetto Town, si sta trasformando da subcultura giovanile a movimento politico, capace di superare le barriere territoriali creando così un fronte di protesta e ribellione che unisce i ragazzi palestinesi sotto occupazione e dei campi profughi a quelli che vivono in Israele. E le sue potenzialità sono vaste. Se Suheil, Tamer e Mahmud dei Dam rimangono la band simbolo del rap palestinese più combattivo – si esibiscono in arabo, inglese ed ebraico -, oggi accanto a loro ci sono ragazzi di Nazareth, Akko, Haifa, del Neghev – cioè arabi di Israele – che hanno cominciato a denunciare lo stato di oppressione dei palestinesi ma anche a mettere in discussione ruoli e destini, primo fra tutti, quello della donna e il suo posto nella società.
Abir Alzinaty, 24 anni di Lod, nota come Sabrina DaWitch, è la più rappresentativa delle rapper palestinesi. «Offro la mia voce per la liberazione del mio popolo dall’oppressione ma mi batto anche per i diritti delle donne, contro il ruolo esclusivo di moglie e madre che la società vuole imporci. Il mio concetto di liberazione perciò è ampio, include l’attivismo politico per la Palestina e quello per l’emancipazione femminile», spiega la giovane rapper che di recente ha stabilito contatti stabili con i Philistines, rapper palestinesi di Los Angeles. «Dobbiamo collaborare, unire la nostra voce in tutto il mondo, per farla sentire ancora più forte, aggiunge.
Sabrina DaWitch, i Dam, PR e Mohammed Farra di Gaza, WE7 di Nazareth, Mahmud Shalaby e le ragazze Arapayat di Akko, sono stati protagonisti del film Slingshot Hip Hop, della regista arabo-americana Jackie Salloum, sul rap palestinese, selezionato per il Sundance Festival e che da mesi continua a girare tra gli Stati Uniti, l’Europa, il mondo arabo, Israele e i Territori occupati. «Attraverso l’hip hop i giovani palestinesi rafforzano la loro identità nazionale, ribadiscono i principi comuni e provano a scardinare le forme più oppressive dell’ordinamento sociale . E’ un’esigenza diffusa che ho raccolto ovunque, a Beddawi, Shatila, Burj al Barajne e nei altri campi profughi palestinesi in Libano dove un paio di settimane fa ho proiettato il film«, dice Salloum.
All’hip hop locale il commentatore palestinese Omar Barghuti, noto anche come critico d’arte e coreografo, rimprovera la mancanza di «genuinità». I giovani palestinesi, dice, «hanno fatto copia e incolla di questa forma d’arte della protesta che viene dall’America, senza svilupparne una propria». Riconosce però lo spessore politico del fenomeno. «Le potezialità politiche e sociali sono enormi. Soprattutto nelle zone arabe di Israele ormai non è più possibile organizzare un raduno politico senza invitare un rapper, il potere di questa musica sui nostri giovani è eccezionale", spiega. C’è chi parla di «Intifada hip hop», una rivolta dei giovani contro l’occupazione israeliana destinata sostituirsi a quella della moschea di al-Aqsa, che molti palestinesi considerano un fallimento. Lina Odeh di Beit Jala (Betlemme) ha solo 15 anni ma con le idee molto chiare. «Abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo, che ci consenta di dire tutto quello che ci portiamo dentro». ci dice prima di salire sul palcoscenico di Hip hop Palestina: «Il rap è la strada nuova che tanti ragazzi come me stanno percorrendo nella lotta contro il muro e l’occupazione, nel nome della libertà del nostro popolo».
Posted in guerre e conflitti | Comments Off on La «ribellione in musica» dei giovani palestinesi