SIAMO ANCORA OSTAGGIO DI MORO

moro.jpg

moro.jpgA trent’anni dal rapimento e dalla morte dell’onorevole Aldo Moro, allora presidente della Dc, si impone la constatazione di un dato di fatto: siamo ancora tutti ostaggi di quella vicenda e viviamo in un paese che ha imposto e codificato riti e comportamenti collettivi obbligati a partire dall’esperienza dei 55 giorni del sequestro Moro.

Moro infatti ha preso prima di tutto in ostaggio la sinistra antagonista. L’idea che la radicalizzazione delle lotte conduca a una situazione in cui avvengono rapimenti come quello di Moro, a cui segue l’inevitabile repressione, è un incubo dal quale la sinistra antagonista non si è ancora liberata. Le BR, e l’esito pesantemente repressivo della risposta dello stato, appaiono un destino della politica antagonista e non il processo di un determinato periodo storico. Il secondo modo con cui Moro tiene in ostaggio questo paese sta nell’idea che le sorti politiche dell’Italia in ultima istanza siano fatte solo dai servizi segreti. Basta ricordare le accuse sui “black bloc manovrati dai servizi” dopo il G8 di Genova per rendersi conto come in Italia la lettura dei processi sociali sia ancora talmente inquinata dal problema dei servizi, nei momenti di acuta crisi sociale, da non saper spiegare in quali momenti I servizi effettivamente agiscano ed in quali ciò che accade sia frutto di spontaneità. Il terzo modo in cui il ricordo di Moro tiene in ostaggio la politica italiana è l’idea che l’alternativa tra forze politiche sia possibile solo tra partiti dotati di una decisa omogeneità culturale pena la crisi irrimediabile della nazione. In questo la politica del compromesso storico, precedente e successiva al caso Moro, marca un precedente che condizionerà tutta la vita dei partiti italiani fino ai nostri  giorni. Che sono I giorni in cui esiste un partito, il PD, frutto dell’unione di ex componenti dello schieramento dell’unità nazionale di allora, che teorizza la possibilità di un nuovo compromesso storico con il maggiore partito dello schieramento avversario.

C’è infine un ultimo modo con il quale Moro tiene ancora oggi in ostaggio la vita politica italiana: quello che vuole ogni dissidente politico nei confronti dello schieramento istituzionale un terrorista da annientare con politiche di emergenza in nome del “bene del paese”. Questo atteggiamento di riduzione a puro problema di ordine pubblico della dissidenza politica, dopo significativi campanelli d’allarme, trova una consacrazione proprio con il rapimento Moro.

Ma cosa successe 30 anni fa ? Aldo Moro, presidente della Dc, venne rapito il 16 marzo 1978 poche ore prima del varo del governo Andreotti tenuto in piedi dai voti determinanti del PCI. Verrà ritrovato cadavere a Roma il 9 maggio dello stesso anno. Sia il rapimento che l’esecuzione saranno rivendicati dalle Br. Nei 55 giorni del rapimento succede di tutto: complotti, falsi comunicati che annunciano il ritrovamento del cadavere di Moro nel lago della duchessa, lotte interne tra forze politiche, colpi di scena. Ma soprattutto accade questo: la democrazia cristiana e il PCI, in nome della “lotta al terrorismo”, si intrecceranno in un modo tale che il PCI non riuscirà più a presentarsi come una forza antisistema. Era il progetto di Moro che con la propria morte vedrà quindi compiuto: la riduzione del PCI ad un partito di stabilizzazione del sistema.

La vicenda Moro si inserisce oltretutto all’interno della crisi del movimento antagonista e nell’ascesa del fenomeno della lotta armata all’interno della sinistra di classe. Il rapimento di Moro funzionerà come una “chiamata alle armi” per una generazione che aveva perso la speranza nella lotta politica e come pretesto per la militarizzazione della società da parte dell’alleanza DC-PCI.

Dei lutti, delle tragedie, delle trame di allora oggi non è che rimasta la rappresentazione ufficiale. Che vuole Moro beato martire della democrazia repubblicana quando si tratta della stessa persona che teorizzava pubblicamente la non processabilità della DC negli scandali per corruzione. Che vuole il regime del compromesso storico DC-PCI come difensore della democrazia quando è proprio in quel periodo che si creano quelle leggi speciali lesive dei diritti fondamentali di ogni cittadino che ancora oggi nutrono il nostro ordinamento.

Non a caso il parlamento ha decretato che ogni 9 maggio, a partire da quest’anno, sia giornata della memoria dello stesso tipo di quella per Auschwitz o per le foibe. La santificazione di Moro serve a leggere gli anni ’70 come il periodo in cui lo stato,aggredito, ha difeso e consolidato la democrazia. Quando invece, a partire dal 12 dicembre 1969 a Piazza Fontana, lo stato ha persino commesso  stragi per impedire l’emancipazione collettiva e mantere il privilegi di una casta di governo.

Dopo trent’anni si tratta quindi di liberarsi davvero di Aldo Moro. Che il suo corpo riposi in pace e che la società italiana non sia più ostaggio del suo ricordo.

 

 

 Il fratello Giovanni: "Fra Terrasini e Cinisi mai una manifestazione così nutrita"
Il corteo finisce davanti alla casa a ‘cento passi’ da quella del boss Badalamenti

In seimila per Peppino Impastato
ucciso dalla mafia trent’anni fa

Il sindaco: "L’aula del consiglio comunale sarà intitolata a lui a fine giugno"


 

CINISI (PALERMO) – "Fra Terrasini e Cinisi non si era mai vista una manifestazione antimafia così nutrita". Le parole di Giovanni Impastato, fratello di Peppino, hanno salutato il corteo che ha ripercorso l’ultimo tragitto fatto con la sua auto dall’ex militante di Democrazia proletaria prima di essere assassinato dagli uomini di Tano Badalamenti, la notte tra l’8 e il 9 maggio di trent’anni fa.

Dalla vecchia sede di ‘Radio Aut‘, a Terrasini, le oltre seimila persone dietro lo striscione con su scritto "La mafia uccide il silenzio pure", hanno raggiunto Cinisi, dove la manifestazione si è conclusa davanti alla casa natale di Peppino Impastato, a ‘cento passi’ dall’abitazione del boss Badalamenti, come ricorda il titolo del film di Marco Tullio Giordana. Un importante punto di memoria e raccordo delle diverse esperienze antimafia e di impegno civile che è stato trasformato da Giovanni Impastato, nella "Casa Memoria Peppino e Felicia Impastato", intitolata anche alla madre che fino alla morte nel 2004 si è battuta per ottenere verità e giustizia. Solo nel 2002 Badalamenti fu condannato all’ergastolo come mandante del delitto, per anni archiviato come un incidente da inquirenti che avevano preso per buona la messinscena dei mafiosi: il cadavere di Impastato, esponente di Democrazia proletaria, era stato abbandonato sui binari nei pressi della stazione di Cinisi, come se fosse morto durante un attentato dinamitardo che stava preparando.

Fra la folla anche l’ex leader di Dp, Mario Capanna, un gruppo in rappresentanza del comitato "No Dal Molin" e uno di quello "No Tav". Luisa Impastato, nipote di Peppino, ha distribuito quattromila fiori, gerbere donate al forum sociale antimafia, da un’associazione pugliese. Presente anche Francesco Caruso, espressione dei movimenti no global. E poi i vecchi compagni di Peppino e tanti giovani del movimento antimafia rinato negli ultimi mesi a Palermo. Nel corteo, che all’ingresso a Cinisi ha intonato "Bella ciao", tante bandiere rosse. Ma lungo la strada dei "cento passi" la maggior parte delle finestre sono rimaste ancora una volta chiuse e pochissime persone si sono affacciate.


"Cinisi ha fatto una scelta antimafia chiara, non è più dalla parte di Tano Badalamenti, ma si riconosce in Peppino Impastato", ha detto il sindaco Salvatore Palazzolo annunciando che "L’aula del consiglio comunale sarà intitolata a fine giugno a Peppino Impastato".

 

 

Posted in pensieri e riflessioni | Comments Off on SIAMO ANCORA OSTAGGIO DI MORO

A proposito dei fatti di Verona

 

Una città di fantasmi che uccidono. Questa è Verona. Una città che rischia di far da battistrada a tante altre. Una città in cui un gruppo di neofascisti massacra di botte e ammazza un ragazzo. Una città in cui la polizia pesta e arresta chi s’incaponisce a commettere e a difendere quel grave crimine che è diventato bere una birra all’aperto.

Perché accomunare due fatti così apparentemente distanti?

Perché la squadraccia che ha assassinato Nicola Tomassoli è un prodotto del clima, ormai imperante ovunque, di normalizzazione e di guerra ad ogni forma di diversità. Un clima imposto da coloro – governanti di destra e di sinistra, conformisti feroci, commercianti con i cuori a forma di salvadanai – che vogliono sterilizzare le città dal virus della vita.

Le strade, in questa utopia totalitaria, dovrebbero servire soltanto per andare e tornare dal lavoro. Le periferie per dormire. I centri storici per essere visitati dai turisti. Basta. Sedersi sui gradini di un monumento, bere e mangiare all’aperto, suonare nelle piazze, ritrovarsi in gruppo senza una meta… tutto ciò è intollerabile. Solo le merci possono parlare e passeggiare. Le merci e le divise. Tutto il resto ha un nome ("bivacco") e un destino (la repressione) ben segnati.

Un tale non-mondo – cos’altro è una città in cui non si può nemmeno mangiare e bere per strada? – trasforma le menti, il modo di guardare i propri simili e persino la maniera di vestire o di pettinarsi. Tutti i poveri sono allora un nemico da isolare, criminalizzare, deportare. Non solo. Anche un codino diventa un segno di diversità. Da punire. Con la morte.

Politici, giornalisti e magistrati vorrebbero farci credere che l’assassinio di Nicola è un gesto di violenza cieca, senza colori politici. Altri fanno finta di scoprire solo ora – perché al governo c’è la destra – che da alcuni anni a questa parte le aggressioni neofasciste in Italia non si contano più. E c’è anche chi, nel merdaio generale, arriva a dichiarare che bruciare la bandiera dello Stato di Israele in solidarietà con i palestinesi è più grave che ammazzare un ragazzo.

Non ci accoderemo a nessuno di questi cori. I neofascisti sono i fantasmi armati del non-mondo in cui ci vorrebbero rinchiudere. Sappiamo che contro di loro non servono a nulla l’indignazione dei partiti e la protesta democratica. Contro le loro aggressioni protette dalla polizia esiste una sola arma: la violenza autorganizzata.

Ma sappiamo anche che nelle città morte – senza conflitto e senza dissenso – questi fantasmi hanno il loro terreno più favorevole. Tornare nelle strade e nelle piazze, dunque, a mangiare, a bere, a discutere, a lottare.

Per rompere una normalità che uccide. In solidarietà con i compagni arrestati. A dispetto di divieti e divise.

Ciò che urge è ormai niente meno che questo: un’offensiva per riprenderci la vita.

Domenica 11 maggio, ore 16.00: presidio in piazza Isolo a Verona

Su queste basi vorremmo organizzare uno spezzone durante il corteo contro il fascismo del 17 maggio a Verona.

anarchici di Verona, Rovereto e Trento

 

 

Anche se la connessione tra questo omicidio squadrista e le organizzazioni politiche del fascismo istituzionale è ovvia e scontata, apprendiamo un’ulteriore riprova della stessa. Una normalità che uccide, una normalità da debellare.

Federico Perini, uno dei cinque arrestati per il pestaggio mortale di Nicola Tommasoli, si è candidato nelle liste di Forza Nuova alle amministrative di Verona del 2007. Il fatto sconfessa quanto sostenuto da Forza Nuova e dalla destra estrema all’indomani della morte di Nicola, e cioè che i giovani picchiatori non avessero nulla a che fare con la politica. C’è di più: sul sito di Forza Nuova, il coordinatore nazionale Paolo Caratossidis diffida gli organi di informazione minacciando di querelare chi attribuisce qualsiasi responsabilità della vicenda al partito di Roberto Fiore. «I nostri militanti non compirebbero mai un atto di così grave stupidità e cattiveria» prosegue Caratossitidis. Il ragionamento di Fn è semplice: se «il ragazzo» frequenta ambienti ultras o piazze dove si ritrovano i neofascisti, «questo è un altro discorso non minimamente ricollegabile a Forza Nuova». Un piccolo collegamento, invece, esiste: il giovane Perini, residente nel comune limitrofo Bosco Chiesanuova, nella primavera del 2007 risulta candidato di Fn per la seconda e l’ottava circoscrizione.

Laura Eduati

Liberazione 08/05/2008

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | Comments Off on A proposito dei fatti di Verona

VERONA: SABATO 17 MANIFESTAZIONE NAZIONALE ANTIFASCISTA

– VERONA: SABATO 17 MANIFESTAZIONE NAZIONALE


Sono tutti rinchiusi nel carcere veronese di Montorio i cinque
neo-nazisti che la notte del primo maggio scorso hanno picchiato a morte Nicola Tommasoli. L’ipotesi d’accusa è per ora di omicidio doloso.
Domani mattina si terrà l’interrogatorio dei cinque arrestati, mentre stamattina si è tenuta la prima fase dell’autopsia sul corpo di Nicola: un passaggio fondamentale per stabilire, dal punto di vista legale, se si tratti o meno di un’azione studiata a tavolino. Nella giornata dei funerali, previsti in forma privata domani o venerdi, si terranno presidi antifascisti in diverse città italiane. Ieri sera un’assemblea di movimento tenutasi nella città scaligera ha inoltre deciso di lanciare la proposta di una manifestazione nazionale contro il fascismo ed il razzismo per sabato 17 maggio a Verona.

Sentiamo Pippo del cs La
Chimica di Verona.

[Scarica il contributo audio, durata: 12 min.]
mp3

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on VERONA: SABATO 17 MANIFESTAZIONE NAZIONALE ANTIFASCISTA

10 Maggio al Csoa Cartella

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on 10 Maggio al Csoa Cartella

INCONTRO NAZIONALE DEL PATTO DI MUTUO SOCCORSO

In vista dell’incontro nazionale del Patto di Solidarietà e Mutuo Soccorso che si terrà a Riace il 24 e il 25 maggio, la rete delle realtà calabresi di lotta che vi aderiscono si è riunita il 26 aprile al C.S.O.A. Cartella di Reggio Calabria, insieme alle soggettività messinesi con cui si condividono problematiche e lotte.

Al di là dell’impossibilità di alcune realtà di partecipare all’incontro, è stata un’occasione per ritrovarsi e per confrontarsi sulle contraddizioni che la nostra regione esprime, sempre più stridenti e che confermano una linea di tendenza storica nel segno dell’espropriazione e del degrado, che oggi si radicalizza e sembra diventare definitiva negli esiti.

La Calabria come estrema periferia coloniale dell’"impero" Europa si trova oggi più che mai oggetto di interventi devastanti che, se non efficacemente contrastati, comprometteranno definitivamente ogni equilibrio ecologico e sociale e renderanno invivibili, se ancor più possibile, le condizioni delle popolazioni che vi risiedono.

Dal Pollino allo Stretto, la lista delle doglianze di questa terra martoriata si fa infatti sempre più lunga e terribile.

A partire dall’interminabile e strumentale emergenza ambientale che, anche qui, ha assecondato la nefasta opzione inceneritorista, senza eliminare, anzi cronicizzando, le speculazioni economico-mafiose delle discariche legali e abusive.

Seguendo il filo degli interessi di chi continua a sostenere che gli inceneritori valorizzano e che i rifiuti sono fonte energetica rinnovabile, si arriva presto agli appetiti del capitalismo energetico che vuole imporci il più grande rigassificatore tra quelli previsti in Italia e intorno a questo una miriade di centrali, tra biomasse, turbogas e carbone, ad appestare l’aria di una regione che già esporta più del trenta per cento dell’energia prodotta.

Ancora, seguendo gli intrecci societari che mischiano singolarmente l’elettricità con i rifiuti e l’acqua nell’unico grande business dei servizi pubblici locali, sempre meno pubblici in verità e ancor meno servizi, incontriamo la più grande multinazionale del ramo, la francese Veolia, cui sono state svendute le nostre risorse idriche, come già altrove in Italia aumentando tariffe e disservizi, ma in un contesto, qui, dove spesso farsi una doccia è un lusso. A questo si somma la desertificazione quale effetto, il più distruttivo, dei cosiddetti "mutamenti climatici", che proprio nella Calabria trova la regione più esposta d’Italia.

Ma le nuove devastazioni non eliminano quelle vecchie, e con suggestivi nomi come Europaradiso ecco ripresentarsi gli speculatori dell’industria turistica, locale, nazionale ed internazionale, che continua a consumare scelleratamente il territorio al punto da rendercelo inguardabile ed inagibile.

Fino ad arrivare, lungo la stessa via di cemento armato, alle piccole, grandi e grandissime opere, che dietro la mistificante chimera del "ponte sul mediterraneo" ci vogliono seppellire vivi tra i piloni del Ponte sullo Stretto, e prima ancora prospettarci un futuro prossimo d’interminabili cantieri, come quelli della famigerata A3, senza risolvere e anzi aggravando il problema di come spostarci da paese a paese, da costa a costa, o di partire e ritornare in condizioni di viaggio dignitose e umane.

Per non parlare infine di porti e zone franche, ovvero di Gioia Tauro "volano dello sviluppo regionale", tanto magnificato da istituzioni e grandi imprese quanto terribile nelle condizioni neoschiavistiche che vi s’impongono ai lavoratori, ostaggi di una terra che paga caramente la propria fame di occupazione e benessere…

Lo scenario che si profila è dunque quello di una regione condannata dal capitale e dai suoi governi alla monocultura più infestante, quella che prende il nome di logistica e vuol dire terra destinata a ospitare impianti inquinanti, mezzi di trasporto ultraveloci in transito e turisti stagionali in massa; terra sempre più degradata e priva di abitanti, salvo pochi lavoranti schiavizzati, ché chi non emigra perché non vuole o non può è destinato a morire di ‘ndrangheta, repressione o nocività.

Tutto questo a vantaggio del blocco economico sociale dominante che coniuga notabilato locale in cerca di nuove clientele, imprenditoria variamente collusa sempre a caccia di finanziamenti da malversare e capitale mafioso da reinvestire e moltiplicare attraverso questi mega-appalti, con tutto il sanguinolento corollario di lotte per l’egemonia territoriale condotte a forza di bombe e mitragliate.

Al di là di ogni analisi politicamente schierata, arrivano le inchieste della magistratura a confermare la saldatura storica di questo complesso di potere con la politica nazionale, che ne raccoglie i consensi, e il grande capitale, che lo usa come puntello per saccheggiare selvaggiamente un territorio e sfruttarne liberamente la popolazione.

Per fare qualche nome, Italcementi, dell’industrial capitano Pesenti, icona del cementifero e sottosviluppato capitalismo nostrano, si scopre legata alle cosche della piana di Gioia Tauro, come succede specularmente in Sicilia tra la gloriosa Calcestruzzi e Cosa Nostra, per governare gli appalti e garantirsi una manodopera sottomessa e sottopagata.

Ecco che questa saldatura si rinnova oggi attraverso l’ondata delle grandi opere, con cui le cordate del capitale italiano pensano di affrontare la fase di crisi recessiva acuta, pompando i profitti attraverso l’investimento pubblico… che novità!

Impregilo, che vuol dire Gavio, Benetton, Capitalia, e appunto Pesenti… ma pure la concorrente Astaldi, la più antica Ansaldo e le megacooperative rosse (???)… e ancora Belleli e poi ancora De Benedetti, coi suoi rigassificatori e le sue centrali, per finire ai colossi del capitale pubblico energetico Enel ed Eni.

Tutti accompagnati e concorrenti delle multinazionali europee, che nell’Unione fortezza del libero mercato unificato possono ora venire anche loro qui a sradicare alberi ed aprire cantieri.

Ma non ci siamo riuniti per suonare le campane a morto della nostra terra.

L’incontro è stato soprattutto l’occasione per fare il bilancio di un anno di lavoro e lotte.

Perché se lo scorso è stato l’anno della fioritura in tutt’Italia del Patto del Mutuo Soccorso, attraverso una moltiplicazione dei fronti di lotta, è vero anche che la Calabria ha visto il rinascere di un movimento territoriale diffuso che non si vedeva dai tempi dell’epocale lotta contro la megacentrale a carbone di Gioia Tauro; un movimento che trova i prodromi negli anni di mobilitazione continua contro la minaccia, mai veramente sventata e oggi nuovamente in auge, del Ponte sullo Stretto.

La manifestazione del 22 dicembre a Gioia Tauro, contro tutti gli impianti inquinanti e per la difesa dei beni comuni, ha rappresentato il momento di piazza più qualificante di questa stagione, con ottomila persone mobilitate, presente anche una delegazione del presidio di Grottaglie, mentre contemporaneamente a Crotone si protestava contro la megadiscarica e a Napoli contro il nuovo scellerato piano rifiuti… una giornata che prefigurava l’unità d’azione meridionale delle lotte territoriali.

Ma quella era anche una giornata che sanciva la saldatura tra la resistenza della popolazione della piana e la lotta della più importante realtà occupazionale dell’area: il porto di Gioia Tauro. Abbiamo così verificato come la protesta contro gli impianti inquinanti possa acquisire uno strumento d’impatto micidiale come lo sciopero, che tra i portuali registrò quel giorno un’adesione dell’80%. A partire da quel momento abbiamo approfondito i legami tra queste due lotte, rompendo l’isolamento che soffocava quella dei portuali, secondo le intenzioni criminalizzanti della multinazionale che gestisce il porto e che li vorrebbe acquiescenti e sottomessi a ringraziare per il posto di lavoro elargito.

Ma al di là di momenti di piazza più o meno riusciti, abbiamo riconosciuto la necessità di confrontarci e riflettere sulle difficoltà del lavoro quotidiano nei territori. La pratica dell’autorganizzazione, come momento di crescita di quella coscienza collettiva necessaria per costruire percorsi di lotta duraturi ed efficaci, si misura sulla nostra capacità di radicamento e messa in responsabilità diretta della popolazione che risiede in questi luoghi. In questo senso, si è voluto problematizzare le forme comunicative con cui ci relazioniamo alla società civile, individuando in questo il presupposto di ogni sviluppo della lotta. "Parliamo come mangiamo" si è detto, a sintetizzare l’esigenza di strategie comunicative che sappiano superare la diffidenza spontanea che in questi contesti si respira verso i discorsi "politici". Deideologizzare il nostro lessico è dunque il primo passo. Ma le nostre non sono campagne d’opinione e l’autorganizzazione non si esprime nei convincimenti ma nella lotta fattiva. Per questo, il problema della comunicazione va posto in relazione con la necessità di creare spazi di socializzazione nei quali il nostro messaggio possa tradursi in pratica collettiva.

Perché al di là delle suggestioni esotizzanti di moda nei salotti radical-chic della metropoli, non è affatto vero che il Mezzogiorno d’Italia sia ancora la terra delle comunità integre e felici, dei valori autentici e delle tradizioni sane. Il Mezzogiorno e la Calabria in particolare è ancora la terra dei paesi, ma questi subiscono come e più della metropoli un processo di degrado e disgregazione che è prossimo ad annullare ogni vitalità sociale. Le piazze si svuotano e i centri commerciali si affollano di gente tutta presa ad ammassare i simboli del benessere consumistico nei salotti di casa. E nell’inseguimento di questi bisogni indotti aumentano i debiti, diminuiscono i servizi e decade l’ambiente che circonda le nostre case, mentre la frustrazione cresce proporzionalmente alle illusioni assorbite dalla televisione e ci impedisce d’individuare le cause reali del nostro malessere. È così che l’emigrazione ritorna l’unica via di fuga possibile per chi vuole raggiungere gli artificiali paradisi di benessere metropolitano. Lo sradicamento il punto d’arrivo reale di questo processo.

Riattivare pratiche di socializzazione primaria, riacquistare il senso dello spazio comune come luogo dello stare insieme risulta quindi essere la prima conquista, propedeutica allo sviluppo di un rinnovato senso del bene comune come noi lo auspichiamo. Stare insieme per decidere insieme.

A questo scopo, superare definitivamente la vulgata del "popolo dei no", argomentare, sviluppare le nostre proposte e soprattutto divulgarle è un compito immediato e improrogabile. In questo senso vanno chiariti i termini di accesso alle istanze decisionali o consultive (commissioni provinciali, regionali, nazionali…, VIA, VAS, AIA), presso le quali far valere le nostre competenze, la razionalità dei nostri no, la fattibilità delle alternative e capitalizzare il patrimonio di consenso popolare raggiunto.

Ma neanche questo basta, ché il capitalismo, si sa, ha un’indole "anarchica" e quando serve bypassa tanto il buon senso della scienza quanto il vincolo di legalità. La questione non è tecnica, bensì politica. È una questione di potere. A fronte degli assetti che vorrebbero i processi di trasformazione dei territori governati a discrezione solo di imprese e governanti, bisogna opporre la sovranità popolare quale unica istanza decisionale legittima. L’autogoverno diventa allora la prospettiva strategica dei movimenti territoriali e il senso politico ultimo del processo di crisi della rappresentanza da questi innescato. Ma questo processo costituente di un contropotere popolare territoriale deve dotarsi di una tattica e una strategia adeguate, di obiettivi intermedi attraverso i quali conquistare passo passo quote sempre maggiori di potere decisionale.

Questa chiara esigenza di radicamento si presenta ancora più stringente alla luce della fase che si prospetta. Al di là dei risultati elettorali, ché in questa come in tutte le questioni essenziali la contrapposizione tra i due schieramenti si rivela una pura formalità, si apre una fase di accelerazione di tutti i processi di riassetto territoriale che in questi anni sono stati preparati dai governi di ogni colore, tanto con dispositivi legislativi ad hoc (Legge Obiettivo, Sblocca Centrali…) quanto con la proliferazione, approvazione e avviamento dei vari interventi (centrali, ponti, autostrade, Tav) che, secondo i piani di adeguamento infrastrutturale di Confindustria, sono essenziali a riavviare il ciclo dell’accumulazione capitalistica. Non transigere né esitare è il mandato che prima delle elezioni Montezemolo ha trasmesso a entrambi i candidati Premier e possiamo star ben certi che il costituendo governo lo rispetterà, passando come un rullo compressore su tutte le resistenze locali che intralciano i piani di lor signori. E allora le RESISTENZE dovranno RESISTERE più fortemente e a questo compito prepararsi trovando più saldo radicamento nel tessuto sociale e metodi più efficaci di lotta per non essere spazzate via.

S’impone allora un superamento del mutuo soccorso, che pure è necessario ma non basta ad articolare efficacemente le varie resistenze in una prospettiva strategica. Per essere concreti: se ad Aprilia si combatte contro la centrale a turbogas che la Sorgenia di De Benedetti vorrebbe costruire mentre a Gioia Tauro si prepara la resistenza alla realizzazione del megarigassificatore, che fa capo alla stessa azienda, è insensato che le lotte procedano parallele e unite solo da un generico vincolo di solidarietà. Serve una strategia chiara che articoli i passaggi di entrambe le lotte in una prospettiva volta ad inceppare i piani del nemico comune. Perché probabilmente la Sorgenia non avrà più interesse, o ne avrà meno, a costruire la Turbogas di Aprilia se non potrà disporre del gas naturale a basso costo garantito col rigassificatore di Gioia Tauro.

In questo spirito abbiamo ragionato sull’incontro di Riace, a partire dal riconoscimento di uno specifico storico economico e sociale dell’area meridionale che giustifica un’articolazione il più stretta possibile dei percorsi di lotta che vi si realizzano.

Perché specifico è il modo in cui funziona nelle nostre aree il miraggio occupazionale, con cui spesse volte si vogliono sedurre le popolazioni di un territorio destinato ad accogliere uno di questi mostri. Specifico, in senso statistico perché maggiore, è il disagio economico che rende allettanti indennizzi economici e opere compensative che rispondono all’aspirazione spasmodica di benessere consumistico. E specifico, ancor di più, è il complesso d’inferiorità che le nostre popolazioni colonizzate subiscono verso l’onnipotenza del capitalismo industriale, anche in virtù delle fanfare mediatiche che c’inculcano la visione salvifica dello "sviluppo" e non ci fanno vedere come questo, storicamente, si sia già realizzato nei nostri territori come sottosviluppo, complementare e funzionale al primo. Il nostro malessere è l’altra faccia del benessere delle fasce sviluppate. Noi siamo il terzo mondo all’interno del primo mondo.

Per questo proponiamo che le realtà di lotta meridionali che parteciperanno a questo incontro nazionale arrivino a Riace già dalla sera del 23, in modo che la mattina seguente si possa realizzare una prima assemblea meridionale…

Riteniamo inoltre di dover arrivare a quest’appuntamento adeguatamente preparati, per dare allo stesso un respiro programmatico che ci faccia avanzare concretamente nel senso sopra indicato.

E allora proponiamo che tutte le realtà di lotta calabresi s’incontrino nuovamente in una data intermedia per affrontare tematicamente le varie questioni ed articolarle in una visione organica da confrontare con quella delle altre regioni. E auspichiamo che, se si vorrà accogliere l’invito a un’assemblea meridionale, lo stesso si faccia nelle altre regioni del sud Italia.

Per questo proponiamo una discussione che approfondisca le seguenti tematiche:

  • Infrastrutture, consumo del territorio e speculazione turistica ed edilizia
  • Privatizzazione di beni e servizi
  • Smaltimento rifiuti e nocività
  • Servitù energetiche
  • Rapporto tra lotte dei lavoratori e lotte per la difesa del territorio
  • Comunicazione e circolazione delle lotte

 

UN INCONTRO DI PREPARAZIONE SI TERRA’ A

L’incontro si terrà a Decollatura (CZ), con ritrovo presso l’Hotel Cardel.
Il programma provvisorio della due giorni:
17 maggio: h. 15.00 – Assemblea di apertura dei lavori e organizzazione delle attività tematiche
18 maggio: h. 10.30 – Assemblea generale conclusiva
Per organizzare al meglio l’iniziativa, invitiamo tutte le realtà a partecipare ed a segnalarci tramite mail quant* seguiranno la due giorni e possibilmente le tematiche di interesse, tenuto conto della richiesta fatta da alcune realtà di poter approfondire anche altri temi come "mafia ed antimafia sociale"
E’ prevista la possibilità di cena+alloggio+colazione a €35,00.
In allegato il documento sintesi dell’ultimo incontro.

 

 

per info

 

www.csoacartella.org

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on INCONTRO NAZIONALE DEL PATTO DI MUTUO SOCCORSO

Ancora repressione : Sgombero Al Confino

Stamane all’alba, una quantità smodata di energumeni in divisa in assetto da guerra, capeggiata dalla digos di Cesena e Forl, occasionalmente supportata da pompieri, accalappiacani, operai dell’ENEL, facchini, muratori e giornalisti, ha restituito al Confino Squat la sorte che allo stabile sarebbe toccata se un gruppo di persone per 8 anni non l’avesse tenuto in vita: macerie.
Uno stabile vuoto, murato, e prossimo alla demolizione infatti la ragionevole risposta dell’"assistenzialista e democratica" cittadina di Cesena a coloro che da sempre rivendicano il diritto ad una casa e ad uno spazio di libera espressione. Risposta ancor più decisa, qualora gli individui in questione non siano avvezzi a sottostare ad intrallazzi, sotterfugi, ed ammiccanti strizzate d’occhio e strette di mano che il potere progressista, nella sua incessante smania di controllo, di tanto in tanto ripropone.
Così, dopo tre quarti d’ora di resistenza sul tetto, le strade che permettono ai solidali di raggiungere il luogo bloccate da pattuglie e camionette, i cani sedati ed in alcuni casi anestetizzati, lo sbirro tenerello che arranca su una scala per "dialogare amorevolmente" con i ragazzi, ci si rende conto che rimane ben poco da fare.
Poco da fare per mantenere liberato l’edificio, s’intende.
Certo, perchè se lor signori credono, una volta cancellato uno spazio, di aver estirpato da una città il virus irrefrenabile della rivolta e l’innata, esasperata passione per la libertà bhè, sappiano che oggi hanno vinto soltanto la misera mano di un poker destinato a durare fino al giorno in cui non esisteranno più gabbie, nè fisiche nè mentali, fino a quando l’ultimo vincolo gerarchico non sarà spezzato, fino a quando ogni individuo non potrà vivere libero senza delegare ad altri le proprie scelte.
Torniamo oggi, con ancora più forza, a ribadire che le idee non si sgomberano, che quattro pareti murate in poche ore sono solo il contenitore di una forza prorompente che nessuno in grado di dominare.
Ieri eravamo Al Confino, oggi siamo ovunque. Oggi Al Confino ovunque.
Approfittiamo per esternare un sentito applauso al sindaco Giordano Conti, all’assessore Gualdi che ha prontamente firmato l’ordinanza, a tutti gli onesti "lavoratori" che hanno preso parte a questa maxi-operazione di sicuro ampiamente organizzata, ricordando loro che, in ogni caso… Non hanno risolto il problema.
Nella bigotta e perbenista Cesena, quel caro tassello di legalità che manca al tanto ambito controllo sociale, non lo avranno.
Nè ora nè mai.

AL CONFINO SQUAT,
OVUNQUE E COMUNQUE


 

La 2 Giorni dell’AUTOPRODUZIONE ridimensionata a causa dello sgombero del Confino.

Nuovo Programma:

VENERDI’ 9 MAGGIO
allo Spartaco
v. Chiavica Romea (Ravenna)
Benefit per il CONFINO
dalle 17:00 Aperitivo Cena Vegan Presentazione INFO e discussione situazione Al Confino
Concerto con:
Eat You Alive+When Season Change+ED

SABATO 10 MAGGIO
allo SPARTACO a Ravenna
v. chiavica Romea
ore 12:00 INCONTRO E PRANZO VEGAN
ore 14:00 INIZIATIVE CONTRO LO SGOMBERO DEL CONFINO
ore 20:00 Cena Vegan coi Pirati
ore 23:00 serata DJ ALL NIGHT LONG
disponibilità per passare la notte porta sacco a pelo e stuoino

DOMENICA 11 MAGGIO
al Casello Oasi Squat
v. Aiei n.2 Savio (RA)
ore 14:00 INCONTRO SULLE AUTOPRODUZIONI
ore 20:00 Pizza e Concerto

Posted in repressione e carcere | Comments Off on Ancora repressione : Sgombero Al Confino

FASCISTI ASSASSINI

Dopo il pestaggio a Verona da parte di un gruppo di neonazisti, che ha portato alla morte di Nicola, invitiamo tutt* i compagn* antifascisti e sensibili a quanto accaduto all’assemblea pubblica Mercoledi’ 7 Maggio alle 21.30 presso la cascina Torchiera Cimitero Maggiore per discutere della situazione e per organizzare immediate iniziative pubbliche.

 

 Dagli antifascisti milanesi la massima solidarietà ai familiari ed agli amici di Nicola.

 

 Per non dimenticare tutti i compagni e gli amici ammazzati, per averli sempre nel cuore!

@Torchiera h.21.30 Mercoledi’ 7 Maggio P.za Cimitero Maggiore Tram 14 – Metro Uruguay

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | Comments Off on FASCISTI ASSASSINI

Morto Nicola Tommasoli, è omicidio fascista!

[Verona] . Fini: "l’omicidio di Verona è meno grave delle contestazioni a Israele a Torino"

Non ce l’ha fatta Nicola Tommasoli. Il giovane ricoverato all’ospedale Borgo Trento di Verona dopo essere stato selvaggiamente picchiato da alcuni fascisti la notte del primo maggio è morto. Alle 18 il collegio medico dell’ospedale ha concluso il periodo di osservazione iniziato dopo l’assenza di attività cerebrale. I genitori di Nicola hanno espresso il desiderio di donare organi e tessuti. Mentre i media continuano a parlare di futili motivi, quello che è un omicidio fascista, il neo presidente della Camera Gianfranco Fini dagli studi di Porta a Porta, giudica l’omicidio di Nicola di rilevanza minore rispetto ai fatti di Torino e la dimostrazione delle bandiere d’Israele bruciate ad opera del Network Antagonista Torinese. La testimonianza: “Erano delle bestie”. Al tg Studio Aperto, uno dei due amici che era con la giovane vittima ha raccontato il pestaggio. “C’erano i ragazzi, noi stavamo passeggiando, ci hanno chiesto una sigaretta, anche con un tono un po’ strano. Noi abbiamo risposto di no e abbiamo continuato a camminare per la nostra strada senza fermarci. Quando ho fatto per girarmi – ha aggiunto – uno mi ha sferrato un pugno, da lì è cominciato tutto. Due minuti di panico, faccio fatica adesso perchè ho preso tante botte, mi tiravano per i capelli, sono caduto più volte e ho cercato di difendermi come potevo, per fortuna mi sono girato, altrimenti potevo esser lì al posto del mio amico. Cosa ci dicevano? No, non insulti – ha aggiunto – ci davano le botte ma non dicevano niente. Erano delle bestie, non c’è un motivo né niente”. La vittima-testimone ribadisce l’aggressione alle spalle: “Se Nicola si fosse girato probabilmente non sarebbe lì – dice l’amico, riferendosi alla rianimazione – si sarebbe potuto difendere, avrebbe avuto solo qualche botta”.

Due latitanti. Fermati nella notte altri due neofascisti coinvolti nella brutale aggressione. Avrebbero ammesso le loro responsabilità convincendo la magistratura a trasformare il fermo in arresto nel carcere veronese di Montorio. Si tratta di Guglielmo Corsi, 19 anni, metalmeccanico, e Andrea Vesentini, 20, promoter finanziario, catturati a Illasi, un paesino a una ventina di chilometri di distanza da Verona. Ieri si era costituito e aveva confessato Raffaele Dalle Donne, un estremista di destra già noto alle forze dell’ordine per episodi di violenza. Gli altri due componenti del gruppo non ancora arrestati sono ricercati ma già identificati. Conosciuti con i soprannomi di Pero e Tabuio, risultano fuggiti all’estero con l’auto della madre di uno di loro, ma non è escluso che presto si costituiscano alla Digos veronese.

I futili motivi. I media nazionali continuano a parlare di "futili motivi", di una sigaretta negata, ma persino dalla testimonianza di uno degli amici di Nicola si evince che la famosa sigaretta era solo un pretesto per un’aggressione di gruppo, infame e brutale come solo un branco di fascisti sa compiere. Il voler continuare a sminuire un omicidio di matrice politica risulta una strategia abile per non far crescere la tensione e la solidarietà antifascista. Persino lo stadio viene utilizzato per celare la matrice politica, mascherando al frequentazione saltuaria degli assini alle iniziative del Veneto Fronte skinhead, preferendoli ultras. La curva del Verona, le brigate gialloblu’ sono proprio questo infatti un connubio di neofascismo, neonazismo e ultras, tenuti insieme dalla matrice politica del gruppo nota per le sue esternazioni e aggressioni politiche nei confronti di curve giudicate di sinistra.

Per Fini l’omicidio di Verona è meno grave delle contestazioni a Israele a Torino. Gli scontri e le contestazioni della sinistra radicale contro la Fiera del Libro di Torino "sono molto più gravi" di quanto accaduto a Verona, dice il presidente della Camera a Porta a porta. L’aggressione dei naziskin veronesi e la violenza dei centri sociali torinesi – afferma il Presidente della Camera – "sono due fenomeni che non possono essere paragonati". A giudizio di Fini, in sostanza, se dietro l’aggressione di Verona non c’è alcun "riferimento ideologico", a Torino le frange della sinistra radicale "cercano in qualche modo di giustificare con la politica antisionista", un autentico antisemitismo, veri e propri "pregiudizi di tipo politico-religioso".

sono in elaborazione alcune iniziative, seguiranno aggiornamenti

 



leggi anche:
Aggressione fascista a Verona, ragazzo ridotto in coma. Si costituisce un aggressore



Comunicato degli antifascist* veronesi

Nella notte tra il 30 aprile e 1 maggio a Verona, in pieno centro, un gruppo di fascisti di Forza Nuova ha pestato brutalmente un ragazzo di 29 anni di nome Nicola riducendolo in fin di vita e in coma irreversibile. L’unica “colpa” del ragazzo è stata quella di rifiutare una sigaretta e non accettare l’atto arrogante e intimidatorio dei 5 neofascisti, un pretesto già usato in altre aggressioni per dare il via al pestaggio. Queste squadracce di nazi fascisti è oltre 3 anni che scorrazzano impunemente per il centro di Verona aggredendo, picchiando, derubando e accoltellando chiunque sia “diverso” : l’immigrato, il comunista, l’anarchico, quello con i capelli lunghi o con l’orecchino…. l’importante è fare “pulizia” nella “loro” città. La loro ferocia è rivolta a chiunque non entri nei loro canoni estetici o non sia immediatamente pronto ad abbassare lo sguardo e cambiare velocemente marciapiede al loro passaggio. Ricordiamo che da anni sono avvenuti pestaggi a danno di compagni/e, accoltellamenti a militanti antifascisti e una miriade di aggressioni e furti a ragazzi e ragazze solo perché avevano un Kebab in mano o perché semplicemente non gli piacevano ed erano nel “loro” territorio. La polizia, e in primis i carabinieri di Verona con la complicità della stampa e della televisione asservita e obbediente, per tre giorni hanno tentato in tutti i modi di coprire la matrice politica di estrema destra e hanno materialmente dato la possibilità ai fascisti assassini di poter scappare all’estero e nascondersi.
Questa continua copertura a Forza Nuova, a Fiamma Tricolore, Veneto Front, altri infami nazi fascisti e beceri razzisti, a Verona, è possibile grazie ad una serie di coperture date dal fatto che una buona parte di questi lerci individui appartengono a quella che viene definita verona bene, l’elite della verona che sfrutta e produce. Con l’avvento del sindaco Tosi i paladini della verona pura hanno trovato piena legittimità vedendo lo stesso aprire i loro cortei segnati da slogan neonazisti e a selve di braccia tese. Gli slogan lanciati dallo stesso sindaco Tosi e la sua cricca fascista che lo appoggia e lo sostiene anche in consiglio comunale con Andrea Miglioranzi e vari fascisti ripuliti di Alleanza Nazionale, non sono altro che l’appoggio a queste infami squadracce, che hanno il compito di ripulire dove polizia e i vari sgherri al soldo dello stato e del comune non possono arrivare. Questo delirio sicuritario delle ronde e delle squadracce è figlio della mentalità Leghista e dell’estrema destra che ha sempre sostenuto attivamente il sindaco Tosi. Queste aggressioni e l’assassinio di Nicola rispondono alla mentalità leghista e fascista che ormai da anni ha sviluppato la maggior parte dei “bravi” e “onesti” cittadini veronesi, che con sbirri, prefetti, e istituzioni locali, hanno dato carta bianca a questi gruppi di nazisti balordi, in nome della sicurezza e della “pulizia cittadina” e dell’eliminazione di ciò che non è uniforme.
Le istituzioni e le sinistre revisioniste riformiste hanno creato questi mostri che si sentono investiti del potere di stabilire le regole nelle città, dove la parola sicurezza significa persecuzione del diverso, mentre nello stesso territorio quella che manca è la sicurezza sul posto di lavoro, che porta a continue tragiche morti, per il profitto della classe padronale dalla quale provengono gli stessi assassini fascisti di Nicola.
Morire ancora per mano fascista ad oltre sessant’anni dalla liberazione non deve essere tollerato! Ci appelliamo a tutte le realtà antifasciste ad autorganizzarsi per stroncare queste formazioni fasciste che tutt’oggi aggrediscono ed uccidono.

Seguiranno informazioni.

ANTIFASCISTI/E VERONESI

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | Comments Off on Morto Nicola Tommasoli, è omicidio fascista!

Ragazzo massacrato dai fascisti a Verona. E’ morto Nicola!

Un 19enne si è presentato in questura con il suo avvocato
Il legale: lite degenerata, i genitori distrutti da una situazione spaventosa

Ragazzo massacrato a Verona
confessa un ultrà neofascista

Identificati altri due dei cinque aggressori: sono già fuggiti all’estero
Ancora gravissime le condizioni del 29enne vittima del pestaggio

<B>Ragazzo massacrato a Verona<br>confessa un ultrà neofascista</B>

VERONA – Un giovane ha confessato di essere uno degli autori dell’aggressione di Nicola Tommasoli, 29 anni, picchiato e ridotto in fin di vita la notte del primo maggio nel centro di Verona solo perché si è rifiutato di offrire una sigaretta. Il ragazzo di 19 anni interrogato dal magistrato Francesco Rombaldoni, titolare dell’inchiesta, ha reso "piena confessione". E’ un ultrà neofascista già responsabile di aggressioni a sfondo razzista e violenze negli stadi.

L’avvocato del diciannovenne parla di una lite degenerata e sostiene che il suo assistito, che frequenta il liceo classico, non intendeva uccidere. Il legale aggiunge anche che il padre e la madre del giovane "sono distrutti da una situazione spaventosa".

Sono ancora molto gravi le condizioni di Nicola Tommasoli, ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Borgo Trento. Momenti di angoscia per i genitori, chiusi assieme agli amici più cari in una stanza accanto al figlio. "Sono realista non voglio illudermi – dice il padre – "i medici dicono che c’è stata una piccola ripresa poi rientrata. Non so che pensare". Secondo fonti sanitarie, domattina inizierà il periodo di osservazione per l’eventuale dichiarazione di morte cerebrale. Se non dovesse farcela, chi lo ha picchiato potrebbe essere accusato di omicidio volontario o preterintezionale.

Il gruppo di neofascisti. La caccia agli altri quattro aggressori continua. Due di loro sono stati individuati dalla polizia ma sono già fuggiti all’estero dove sono ricercati. Il fermato è stato invece condotto in carcere a Montorio. Il giovane, che appartiene a una famiglia benestante della città, si è costituito questa mattina presso la Digos di Verona dopo che i poliziotti avevano di fatto stretto il cerchio attorno a lui. Accompagnato da un avvocato di fiducia, il ragazzo ha così confessato davanti ai magistrati.

E’ stato proprio indagando su "ambienti politicizzati" della città scaligera che la polizia è arrivata a identificare gli aggressori. Il ragazzo fermato era infatti già noto alle forze dell’ordine: come ultrà del Verona, per violenza negli stadi nello scorso febbraio era stato sottoposto a Daspo. In precedenza, nel 2007 era stato indagato dalla Digos insieme ad altre 16 persone per associazione a delinquere finalizzata a discriminazione razziale per alcune aggressioni avvenute a Verona analoghe a quella del primo maggio.

Il giovane fermato si muove in ambienti vicini a Forza Nuova, ma l’associazione di estrema destra nega qualsiasi coinvolgimento nella vicenda e minaccia di querelare chiunque la associ all’episodio. "Nessuno si permetta di associare Forza Nuova a tale vicenda" ha detto il coordinatore nazionale Paolo Caratossidis. "I nostri militanti non compirebbero mai un atto di così grave stupidità e cattiveria; se poi il ragazzo frequenta ambienti ultras o piazze dove si ritrovano neofascisti, questo è un altro discorso, non collegabile a Forza Nuova". Come movimento politico, aggiunge Caratossidis, "prendiamo completamente le distanze da tale indegno e vergognoso atto. Forza Nuova è contraria a ogni forza di violenza, tanto più se insensata, illogica e incivile come quella compiuta da quella banda di pazzi irresponsabili".

Anche il "Veneto Fronte Skinheads" nega di essere coinvolto. "Il ragazzo – afferma il presidente Giordano Caracino – dalle informazioni che abbiamo, non fa parte del Fvs, non lo conosciamo. Non basta avere i capelli corti, un bomber o avere certe idee per far parte del nostro movimento". "Noi – aggiunge -prendiamo le distanze in maniera categorica dall’accaduto e dalle persone che l’hanno compiuto".

Aggressione fascista a Verona, ragazzo ridotto in coma. Si costituisce un aggressore


|Verona, 4 maggio|
Nella città del sindaco-sceriffo Tosi, ultimamente impegnato sul fronte dell’istituzionalizzazione delle "ronde per la sicurezza" che prenderanno il nome (da settembre 2008) di "assistenza civica", un altro fatto di intolleranza e violenza ha riempito le cronache cittadine, ed ora, anche nazionali. Nicola Tommasoli, ventinovenne disegnatore industriale di Negrar, nella notte del primo maggio, è stato aggredito da cinque individui nel centro storico scaligero mentre era in compagnia di amici. Nicola ha avuto la peggio, entrando in coma irreversibile.

Le notti nere di Verona
Da oramai un mese a questa parte si fà un gran parlare di temi come quello della sicurezza, superando ogni limite, imbastendo campagne strumentali e pericolose. Verona è una delle città simbolo di questo vociare, con il suo sindaco leghista in prima linea contro qualsiasi soggetto o gruppo non conforme allo stile di vita "del Veneto che lavora". Nicola Tommasoli è stato pestato, sembrerebbe, perchè si sarebbe rifiutato di offrire una sigaretta. Il sindaco Tosi nei giorni scorsi ha minimizzato l’accaduto, la non presenza della variabile "migrante" rende il tutto indegno di nota.. Oggi emerge infatti la caratura fascista del gesto, aprendo contraddizioni innanzitutto in seno al comune: ma come gli "ordinati fascisti" spesso a braccetto col sindaco son causa di caos cittadino..? Il centro storico veronese è da anni caratterizzato dalle "ronde notturne" dei gruppi fascisti, impegnati in aggressioni violenze e minacce di stampo fascista e razzista. Botte ai "diversi": ai meridionali, ai giovani di sinistra e a tutti quelli che "rovinavano l’immagine di Verona", e allora si massacra il ragazzo con la maglietta del Lecce, si spranga chi esce dal centro sociale LaChimica (sgomberato in settembre dalla giunta comunale), si aggredisce chi vende o mangia kebab. Questa la sicurezza, squadrista.

L’estrema destra a Verona

Questa mattina un ragazzo di vent’anni si è costituito in questura, ha ammesso di essere uno dei responsabili della barbarie dell’altra notte ed è stato condotto in carcere a Montorio. Gli altro quattro giovani che hanno ridotto in fin di vita Nicola sono ricercati, due, a quanto si apprende, sono già fuggiti all’estero. Le informazioni arrivate rispetto a questo fatto, in un primo momento quasi snobbato dai media locali e nazionali, nonostante da più parti del movimento veronese si denunciasse già il sospetto di aggressione politica, sono frammentate: i media mainstream saltellano tra disprezzo del mondo ultras e borghese indignazione, evitando ogni ragionamento che sappia tenere insieme pratiche di legittimazione delle forme di fascismo e razzismo e canea riguardante l’ipocrisia del tema sicurezza. Per il momento si è a conoscenza solo dell’appartenenza del giovane arrestato alla nera tifoseria dell’Hellas Verona, militante di un gruppo riconducibile agli ambienti del Veneto Fronte Skinheads e di Forza Nuova.

 I servizi segreti: "Il Veneto zona a più alta densità di naziskin del Paese"
La passione per il pugilato, i richiami ai legionari romani e le croci uncinate

Teste rasate e antisemiti
allarme nel Nord Est

Giovani dalla doppia militanza: dai "boot party" le aggressioni del sabato
e alla tifoserie della domenica dove il campo di battaglia diventa la curva
di ALBERTO CUSTODERO

<B>Teste rasate e antisemiti<br>allarme nel Nord Est</B>

ROMA – È il Nord Est, secondo i servizi segreti italiani (l’Aisi), "la zona a più alta densità di militanti naziskin del Paese". Secondo il rapporto dell’Agenzia informazioni e sicurezza interna, proprio nel bacino fra Verona (la città dove è stato aggredito Nicola Tommasoni), Vicenza, Padova e Treviso, il "fronte skinheads-Vfs, costituito a Vicenza negli anni Ottanta e ispirato al modello britannico, conta su alcune centinaia di giovani attivisti". Il loro è il look del "guerriero metropolitano". Fanno pugilato, thai box e sollevamento pesi, e si riconoscono nei valori fondanti dello skin style individuati nell’appartenenza di classe e nel sentimento nazionalista". La dimensione ideologica, come il richiamarsi ai legionari romani, c’entra poco, ma è utile "per saldare gli atteggiamenti improntati alla forza fisica ad un ruolo socio politico".

"Quando perquisiamo le loro case – racconta un alto funzionario della Digos – nelle stanze, sulla testata del letto, troviamo bandiere con la svastica o la croce celtica. Ma il loro livello culturale, molto basso, ci porta a parlare di bullismo con la testa rasata". Il credo naziskin è infatti – secondo gli esperti dell’intelligence – una sorta di sottocultura violenta, teppistica, xenofoba, razzista e antisemita, che si manifesta in scala crescente, dalla strada al quartiere, fino alla curva dello stadio. E trova proseliti soprattutto fra le "fasce di giovani culturalmente meno preparate che eleggono a loro passatempo preferito del sabato sera il boot party", come vengono sarcasticamente chiamate le aggressioni fini a se stesse. Il violento pestaggio di Verona non ne è che l’ultimo, tragico, esempio. Le teste rasate sono giovani dalla doppia militanza: nell’antagonismo il sabato per "fare casino in piazza", e fra le tifoserie la domenica dove il campo di battaglia diventa la curva. I richiami politici – osservano i servizi segreti – sono poco più che simbolici.
Nel mucchio degli ottantamila ultrà d’Italia, il grumo eversivo, secondo il ministero dell’Interno, è di circa ventimila tifosi, e proprio negli ultimi anni la gran parte sono diventati di destra (63 gruppi, circa 15 mila sostenitori), mentre la componente di sinistra, molto forte negli anni Settanta, è oggi ormai una minoranza, 35 associazioni per circa 5 mila persone. Sono state proprio le curve degli stadi – osserva l’intelligence – i luoghi nei quali la "tifoseria oltranzista ha assorbito l’esperienza di lotta della "cellula politica" con l’acquisizione di schemi organizzativi, slogan ossessivi, strategie di militarizzazione". È così che negli stadi sono comparsi, ad esempio, striscioni antisemiti o xenofobi (ora vietati dopo le norme sulla sicurezza negli stadi del ministro Amato). Al di là dei divieti di esporre bandiere o slogan dal contenuto ideologico, gli ultrà-naziskin si sono organizzati in "strutture stabili e complesse", con tanto di gadget, tesseramento. E sono capaci, pur appartenendo a squadre diverse divise da rivalità secolari (come Roma e Lazio), di allearsi per assaltare le caserma della polizia e la sede del Coni, come avvenuto nella Capitale nel novembre scorso qualche ora dopo la morte del tifoso laziale, Gabriele Sandri.

Ma l’allarme naziskin non riguarda solo le aggressioni boot party, le violenze negli stadi e le guerre fra tifoserie durante le trasferte. L’allarme del Viminale riguarda anche il risveglio dell’antisemitismo in Italia, con profanazione di tombe ebraiche e la comparsa sui muri di tutta Italia di scritte inneggianti il Duce, Hitler e i forni crematori. Su questo fronte dell’intolleranza razziale, si assiste ad un fenomeno del tutto nuovo: gli slogan antisemiti sono di moda non solo fra i naziskin e gli ultrà, ma anche fra i movimenti antagonisti dell’estrema sinistra e in alcuni ambienti di studenti leghisti "antagonisti padani".

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | Comments Off on Ragazzo massacrato dai fascisti a Verona. E’ morto Nicola!

Tutti assolti! Il teorema Fiordalisi “non sussiste”!

[Sud Ribelle]

|Cosenza – 24 aprile| Dopo quasi 7 anni dagli arresti del 15 novembre 2002 arriva la sentenza del processo contro la Rete Meridionale del Sud Ribelle: “liberi tutti”, tredici compagn* assolti ed il volto scuro del pm Fiordalisi che vale più di ogni parola.. Una sconfitta su tutta la linea per il rampante pm cosentino, fautore di fantasie e stupidaggini, teorizzando un presunto attacco allo Stato che sarebbe stato tentato attraverso i disordini al Global Forum di Napoli e al G8 di Genova, accusando di associazione e propaganda sovversiva solo tredici delle migliaia di persone che parteciparono agli scontri, quindi a quelle giornate del 2001. Il “teorema Fiordalisi” si è sciolto come neve al sole alla prima prova..

La giornata al tribunale di Cosenza

La giornata della sentenza del processo cosentino è arrivata dopo una lunga trafila di rinvii, arringhe, sfilata di presunti testimoni; in un primo momento fissata per le 9:30 e poi spostata alle 14, tallonata da un centinaio di compagni e compagne del Coordinamento Liberi Tutti che ha indetto un presidio di solidarietà davanti al tribunale di Cosenza in contemporanea con le ultime battute del processo di primo grado. Alle 19, dopo appena un’ora e mezza di camera di consiglio, la lettura della sentenza da parte del presidente della Corte d’Assise, Maria Antonietta Onorati: “la Corte assolve tutti gli imputati da tutti i reati loro rispettivamente ascritti perché il fatto non sussiste”. Demolite le fandonie di Fiordalisi, mentre scoppia la bagarre in aula: le grida di gioia, i cori contro pm e digos, lo stappo dello spumante. Fiordalisi non commenta, scappa dalla sala attraverso la porta riservata ai magistrati. Notevole la contentezza dei compagn*, costretti a subire le angherie della procura dagli arresti del 2002, pur nella consapevolezza, che sarebbe valsa anche se l’esito del processo di fosse rivelato contrario, che la legittimità politica i movimenti se la prendono nelle piazze e nelle strade, non certo nei tribunali.. all’interno dei quali sono presenti giudici come il Fiordalisi che sono dediti al loro “sporco lavoro” di contraltare di difesa degli interessi dello Stato, dello stato di cose presenti.

Incipit del processo

La sentenza e l’assoluzione di oggi arrivano dopo il grande corteo nazionale del 2 febbraio 2008, dove a Cosenza han sfilato più di 10000 persone in solidarietà con i compagn* accusati di associazione e propaganda sovversiva. Manifestazione “accompagnata” dalla procura cosentina con due richieste pesantissime: 50 anni di galera e 26 di libertà vigilata per gli imputati, 5 miliardi di euro di danni d’immagine da elargire allo Stato. Il “teorame Fiordalisi” vide la luce, prima (celatamente) nelle procure di mezz’Italia, poi nella giornata del 15 novembre 2002, quando i reparti speciali dei Ros e dei Gom, all’alba, fecero irruzione nelle case dei “sovversivi”, stilando una lista di 43 indagati, distribuendo 20 arresti e 5 domiciliari. Fumosa l’argomentazione accusatoria, tutta retta da una presunta associazione d’intenti.. Nei giorni successivi al blitz poliziesco migliaia di persone scesero in piazza in solidarietà con il Sud Ribelle, il 23 novembre 2002 100000 persone ingrossarono un partecipatissimo corteo nazionale, il 2 febbraio scorso solo l’ultima chiamata che ha coinvolto 10000 persone, oggi arriva l’assoluzione perché il “teorema Fiordalisi” non sussiste.

>> ascolta/scarica a lato l’intervista con Fraticello di Supporto Legale <<

La notizia, pubblicata alle 19, immediatamente dopo la lettura della sentenza, da Supporto Legale:

Cosenza liberi tutti! Siamo tutti sovversivi

Oggi 24 aprile 2008 è stata emessa alle ore 19 la sentenza per il processo del Sud Ribelle, con assoluzione per tutti i 13 imputati "perchè il fatto non sussiste".
Il teorema Fiordalisi, che accusava i 13 imputati di associazione sovversiva, è franato rovinosamente; gli imputati che hanno dovuto affrontare 6 anni di processo e accuse pesantissime sono ora scagionati.
Numerosi in aula i cori contro Fiordalisi e inneggianti alle dimissioni della Digos calabrese.

Supporto Legale


Il comunicato emesso dal Coordinamento LiberiTutti dopo l’assoluzione:

Tutti assolti

Trovare parole appropriate per commentare l’intera vicenda, non è cosa facile. Perché sono tanti gli aspetti farseschi e tali le assurdità delle accuse, che rischieremmo sicuramente di dimenticare qualcuna delle illuminanti considerazioni formulate dal PM Fiordalisi.
Chi in questi anni si è trovato a dover costruire solidarietà rispetto alla vicenda, ha dovuto soprattutto difendersi da quella parte di città che, parliamoci chiaro, ci avrebbe voluto vedere in galera. Probabilmente, parte degli stessi che hanno contribuito a montare questo teorema. Ebbene, possiamo finalmente dire che costoro rimangono in un angolo a rosicare. L’assoluzione di oggi è una pesante sconfitta per gli organi inquirenti che hanno confezionato questa inchiesta. Gli stessi che hanno sperperato oltre tre milioni di euro, sbandierando all’intero paese, una formidabile operazione antiterrorismo, curata nei minimi dettagli e pronta a smantellare la pericolosa nascente cellula sovversiva. Tutto questo, mentre in città si consumavano ben altri misfatti.
Ma ora, sentenza in mano, abbiamo il diritto di sapere: perché questa inchiesta, sebbene scartata da svariate procure, è stata accettata proprio a Cosenza? Quali oscure trame hanno tessuto questo canovaccio? Quali loschi interessi da coprire? Ma soprattutto, abbiamo ragione di pretendere le dimissioni dei vertici inquirenti che hanno guidato questa inchiesta?
Che questo “castello” non stava in piedi, la città lo aveva capito da subito e lo aveva ampiamente affermato con calorosa partecipazione alle diverse mobilitazioni costruite nel corso di questi lunghi sette anni, assolvendo di fatto tutti gli imputati e bocciando l’operato della Fiordalisi&Co.
Agli interrogativi sulle reali motivazioni che hanno portato all’apertura di questa inchiesta, ognuno si sarà dato delle risposte, rimane sicuramente il tentativo di criminalizzare un intero movimento con accuse infondate e infamanti, volte a coprire le vere vergogne di Genova: la morte di Carlo Giuliani, i pestaggi e le torture delle forze dell’ordine comandate dai vertici militari e politici. E ancora, di deviare l’attenzione generale dai veri allarmi sociali di cui questa città soffre.
Questa assoluzione giunge a riprova del fatto che la storia di chi rifiuta le logiche neoliberiste e produce conflitto sociale non può essere scritta dentro un’aula di tribunale. E se ce ne fosse ancora bisogno, ribadisce che la libertà di espressione e di opinione devono essere garantite in nome di quelle libertà conquistate il 25 aprile del 1945 e che ancora dobbiamo difendere.

Coordinamento LiberiTutti

Posted in repressione e carcere | Comments Off on Tutti assolti! Il teorema Fiordalisi “non sussiste”!