MIlano: Continua lo sciopero della fame nel Cie di via Corelli

Abbiamo deciso di tornare, dopo il rifiuto di ieri, di nuovo alle
porte del C.I.E. per consegnare ai reclusi bevande e succhi di frutta
per sostenere il loro sciopero della fame.
Dopo i rigorosi controlli, con il lasciappassare dell Ispettore capo e
la solerzia della Croce Rossa, le bevande sono riuscite ad arrivare
nella mani dei detenuti, coi quali siamo in contatto telefonico per
verificare la buonariuscita della consegna.

Ci siamo anche sincerati delle condizioni degli scioperanti con max,
un funzionario della crocerossa, che ha negato l esistenza dello
sciopero della fame e delle gravi condizioni di salute di alcuni
reclusi rassicurandoci sull ottima gestione del centro da parte sua e
dei suoi colleghi (siamo noi ad avere dati falsati..?!).
Un uomo rilasciato oggi dal centro ci dice che le condizioni dentro
sono infernali, molti reclusi sono in sciopero della fame, in tutte tre
le sezioni, molti malati, molti costretti a dormire per terra per la
mancanza di posto. Ci dice che avrebbe preferito morire di fame
piuttosto che mangiare il cibo consegnato dai crocerossini.. Tutto a
dimostrazione del solerte lavoro della CRI.

Intanto un ragazzo rilasciato ieri dopo 6 mesi in Corelli, appena
varcate le porte della quesutra e stato nuovamente fermato e riportato
nel centro, lo attendono altri 6 mesi come previsto dal nuovo pacchetto
sicurezza.

A presto nuovi aggiornamenti

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Presidio in Solidarieta’ con gli Antirazzisti arrestati e con Radio BlackOut ore 18:00

http://www.autistici.org/macerie/wp-content/uploads/lunedi-8-marzo.jpg

 

Lunedì 8 Marzo ore 18 Presidio in piazza Madama Cristina contro gli arresti degli antirazzisti, e l’attacco a Radio Blackout !

LUNEDI’ 8 MARZO 2010

PIAZZA MADAMA CRISTINA ORE 18

PRESIDIO CONTRO ARRESTI E REPRESSIONE !

LIBERTA’ PER TUTTI I COMPAGNI ARRESTATI, INQUISITI E SOTTO PROCESSO !

INFO: 011249569

 

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Aggiornamenti sugli scioperi nei Cie e testimonianze da Milano in Via Corelli

A Milano, nel Cie di via Corelli, i detenuti e le detenute in
sciopero della fame cominciano ad essere debilitati ed indeboliti. Ad
alcune ragazze del reparto trans sono state fatte flebo di liquidi e
una è stata portata in ospedale. I reclusi hanno chiesto invano di
essere pesati e controllati costantemente da personale medico, come è
prassi durante ogni sciopero della fame, ma questo. Tuttavia,
nonostante le difficoltà, lo sciopero continua con determinazione,
anche grazie alla solidarietà degli antirazzisti che continuamente
portano acqua e succhi al centro e mantengono ininterrottamente i
contatti.

A Roma, nel Cie di Ponte Galeria, una ventina di reclusi continua lo
sciopero: i gestori portano il cibo e loro lo rimandano indietro.
Alcuni che avevano iniziato autonomamente lo sciopero qualche giorno
prima degli altri sono molto provati, perché oramai sono dieci giorni
che non mangiano. A differenza di quanto accade a Milano, a Roma i
reclusi sono pesati e monitorati regolarmente, ma la cooperativa
Auxilium (subentrata alla Croce Rossa nella gestione del centro da una
settimana) non permette che i solidali portino i succhi e le bevande
dall’esterno. La dotazione giornaliera di liquidi per ciascun recluso è
di un litro d’acqua, ma lo sciopero non si ferma.

A Torino, nel Cie di corso Brunelleschi, lo sciopero nell’area
gialla prosegue a staffetta e oggi un recluso in sciopero della fame da
parecchi giorni si è sentito male. I suoi compagni di gabbia hanno
chiamato la Croce Rossa, il 118 e i solidali fuori. Dopo un’ora di
pressioni – dall’interno e dall’esterno del centro – il ragazzo è stato
portato all’ospedale per accertamenti.

Bologna invece è un caso a parte. Nel Cie di via Mattei lo sciopero
si è interrotto dopo il primo giorno, e soltanto un recluso continua il
suo sciopero della fame solitario, anche per motivi personali. La
situazione nel centro è molto difficile, perché sembra che l’uso di
tranquillanti in questo Cie sia più diffuso che in altri. Ogni volta
che i solidali riescono a contattare i reclusi, questi rispondono del
tutto intontiti ed addormentati, a qualunque ora del giorno e della
notte.

Infine, ecco alcune testimonianze raccolte dal Comitato Antirazzista di Milano e pubblicate sul sito noinonsiamocomplici.noblogs.org

Dalla sezione Trans del Cie di via Corelli, Milano:

“Siamo in 20 persone che stiamo facendo lo sciopero della fame.
In ogni stanza siamo in 4 persone.  I muri son pieni di muffa, le
lenzuola vengono cambiate una volta alla settimana mentre le coperte
non vengono mai cambiate. Ogni quindici giorni ci danno un
bagnoschiuma.  Alla sera dobbiamo pulire noi la stanza con la scopa e
il secchio. Le finestre sono senza tende così la mattina presto entra
la luce. Noi siamo obbligate a mettere le coperte sulla finestra per
dormire. Il bagno è uno schifo, è molto sporco.  Gli scarichi son tutti
intasati, dobbiamo fare per forza i nostri bisogni in piedi. Alle 8 e
mezza di mattina ci portano un bicchiere di latte e una brioche. Non
possiamo bere le cose calde se non con la macchinetta a pagamento. Il
cibo è molto scadente, ci portano spesso il tacchino. Noi che abbiamo
il silicone non possiamo mangiare il tacchino. Per questo a molte di
noi sono venute infiammazioni alle protesi, ai fianchi, al seno, nei
glutei. Quando andiamo alla Croce Rossa per i nostri problemi di salute
ci danno dei tranquillanti per togliere il dolore, ma queste gocce ci
fanno addormentare. Quando abbiamo troppo dolore ci danno la
tachipirina”.

“Sono qua da una settimana. Ho subito iniziato lo sciopero della
fame perché non possiamo stare qua sei mesi.  Inoltre sono
sieropositiva, avevo da fare gli esami del sangue per valutare quali
medicamenti prendere invece son stata portata qui e mi hanno fatto
saltare la visita. Ho avuto tre giorni la febbre molto alta. Stavo così
male che mi hanno portato in ospedale, al Policlinico, per un blocco
intestinale. Dopo di che mi hanno riportato in Corelli sempre senza le
medicine per l’HIV. Io sono in Italia da nove anni, mi sono ammalata in
Italia e non posso stare qua dentro. Abbiamo bisogno di mantenerci e di
mantenere la nostra famiglia al paese. Noi vogliamo la nostra libertà
perché non abbiamo fatto nulla e ci obbligano a stare qua dentro senza
potere fare nulla. C’è una psicologa che viene dentro una volta alla
settimana, ma tanto alla fine ci danno sempre 30 gocce di Valium per
dormire e via… poi diventiamo tutte dipendenti”.

“Io ho avuto un incidente  molto grave fuori da qua. Ero ancora
in cura con la fisioterapia e invece mi hanno presa e portata al Cie.
Mi ero fratturata  la scapola sinistra, il femore e il ginocchio. Qui
spesso la ferita alla gamba mi si infiamma: vado in infermeria, mi
danno una crema idratante e basta. Molte di noi sono state prese a
Pisa, chi ci viene a trovare ha diritto a sette minuti di colloquio
dopo  5 ore di viaggio… È pieno ovunque di scarafaggi e vermi nei water
e nella doccia. La polizia ci maltratta, ci trattano come cani, ci
insultano dicendo che siamo tutti gay, fanno battute sessiste nei
nostri confronti. Quando diciamo cose che non gli vanno bene ci danno
schiaffoni in faccia, per qualunque cosa ci aggrediscono e ci trattano
come se non fossimo come esseri umani, con totale disprezzo. Sappiamo
che una trans a Natale s’è suicidata qua dentro… c’è una ragazza dentro
da quattro mesi che ha visto quello che è successo quando la ragazza si
è suicidata e ora è del tutto fuori di testa, perché una persona
normale non può sopravvivere qua dentro e molti vedono come unica
uscita la morte. Ci sono persone con casi psichiatrici e dobbiamo
vivere tutti assieme in una situazione di conflitto, con diverse
patologie tutti assieme e qua entro siamo costretti a convivere con
malattie diverse, neppure in carcere è così”.

Dalla sezione femminile del Cie di via Corelli, Milano:

“Vi racconterò la mia storia. Sono arrivata in Italia come
turista perché mi piaceva molto questo paese. L’ultima volta mi ha
fermato la polizia, mi hanno chiesto il permesso di soggiorno. Io avevo
solo il visto come turista, ma mi hanno portato in questura dove son
stata tre giorni e poi in Corelli. Mi hanno presa il 26 gennaio e avevo
in tasca il biglietto dell’aereo per tornare in Brasile il 16 febbraio…
beh son ancora qui! Ora dovrò uscire da questo paese come una
criminale, scortata dai poliziotti. Non immaginavo che in Italia
potesse esistere un posto come questo. Mi sento inutile, sto molto
male. Ci trattano come animali, e questo è solo l’inizio… dovremo fare
sei mesi in questo inferno per poi uscire di qua con un’espulsione per
dieci anni. Chiediamo a tutti che ci ascoltino, che anche se ci dicono
clandestini siamo gente di buon cuore. Siamo venuti in cerca di una
vita migliore. Stiamo facendo lo sciopero per fare capire alla gente
che siamo esseri umani e abbiamo il diritto di vivere qua come tutti
gli altri e che non ci possono togliere la libertà. Ci dovrebbero esser
altri modi per ottenere questo pezzo di carta senza passare da questo
inferno. È veramente una legge ingiusta, non so chi l’ha inventata e
non vogliamo rispettarla. Per noi l’unica opzione che abbiamo è
lottare”.

Da http://www.autistici.org/macerie/

 

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Siamo tornati, dopo parecchi mesi.Ancora in Onda, ancora on line senza bavagli!

Non e’ un caso che dopo parecchi mesi di inattivita’, questo blog torni in vita l’8 di Marzo, che torni a parlare, a pubblicare e informare.

100 anni,nella lontana Copenaghen, esattamente dove sorgeva il tristemente noto centro sociale sgomberato Ungdomshuset veniva celebrata per la prima volta la festivita’dell’8 Marzo, in ricordo delle operaie uccise  perche’ rinchiuse in una fabbrica durante un incendio a Chicago negli Usa dai padroni e dirigenti.Quel giorno morirono piu’ di cento donne.

Esattamente due giorni fa, a Genova,  9 anni dopo il G8,la Corte d’appello del capoluogo ligure ha condannato 44 tra poliziotti, medici e carabinieri per aver torturato, deriso, violentato, offeso e picchiato centinaio di uomini e donne nell’altra tristemente nota Caserma di Bolzaneto. Quei giorni di Luglio 2001 bruciano ancora, nonostante questa sentenza liberatoria, nei petti e nei cuori di quelle persone torturate.

Precisamente 5 giorni fa iniziava in un Cie, quello romano di Ponte Galeria, uno sciopero della fame delle detenute e dei detenuti. Esteso poi a Milano in Via Corelli, nel Cie di Torino, di Bologna e Gradisca d’Isonzo.Mentre a Torino numerosi compagni e compagne del Comitato Antirazzista venivano sbattuti la gabbio, all’interno i detenuti cominciavano questo sciopero dell fame.In questi giorni, densi di fascismo e razzismo, battersi per dei diritti basilari come quelli alla vita e al movimento diventa sempre piu’ eversivo agli okki di Digos e Polizia di Stato.

 

Scegliamo oggi allora di tornare a pubblicare news di movimento e per il movimento, con un occhio particolare all’antifascismo, antisessismo e antirazzismo. Un occhio di riguardo alla strategia della paura che questo Stato mette in circolo da qualche decennio nei nostri luoghi, un occhi di riguardo alle violenze e agli assassini dei governi.

 

Pubblicheremo Eventi nella zona Lumbard_Turin, info sui CentriSociali e Spazi Autogestiti, iniziative di movimenti di difesa dei territori e notizie dal mondo dell’antagonismo.

Continuate a seguirci come sempre..  Stay Indipendent,Follow the Riots!

informazioneindipendente.noblogs.org

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Operazione Tramonto – 200 anni di carcere

Due secoli di galera! Questa la richiesta della pm Bocassini al termine della sua requisitoria contro i compagni arrestati il 12 febbraio 2007. Una lunga requisitoria con ripetute cadute di stile, offese, mancanza di rispetto e denigrazione nei confronti degli imputati come il dubbio più volte espresso sulla loro sanità mentale! Un continuo di sgrammaticature, un confondersi e sbagliare i nomi degli imputati e, nemmeno una sola parola giuridica. Sorge il fondato dubbio sulla sua cultura generale. Passi, ma ciò che risulta più evidente e grave è l’assenza totale di basi minime sul sapere in campo giuridico. Dal suo solito pulpito, circondata dalla scorta, agenti di polizia, digos, telecamere e fotografi, la Bocassini ha riassunto col suo “sermone” le tesi dell’impianto accusatorio alla maniera scandalistica di solito usata dalla stampa. Sembrava di leggere i giornalacci dopo gli arresti: “Li abbiamo fermati prima di uccidere, avevano legami con la malavita e la mafia ecc”. Per lei la fase istruttoria e dibattimentale nella quale le accuse più provocatorie, come quella di voler attentare alla vita di Ichino o, quelle assurde, del legame con la criminalità organizzata, sono state smontate senza ombra di dubbio dalle testimonianze e dal collegio difensivo, è carta straccia. La pm ha così ribadito il suo ruolo di rancorosa nemica della lotta di classe, figlia delle ideologie reazionarie e poliziesche che hanno caratterizzato la più oscena lotta contro il movimento antagonista e rivoluzionario in Italia, ideologie patrocinate da Pecchioli e Violante, passate nella magistratura e ben interpretate, ad esempio, da Spataro, che ha diretto questa inchiesta e dal “compagno” Salvini che ne è stato il Gip. Il suo rancore è stato alimentato dal fatto che, a suo dispetto, il processo si sia mostrato quale era, un processo politico e che gli imputati si siano mostrati fieri della loro identità comunista. Non pazzi isolati ma avanguardie amate e riconosciute dai compagni di lavoro e di lotta. I compagni non sono mai rimasti soli, anzi, la solidarietà che hanno ricevuto, da amici o semplici conoscenti, dai colleghi di lavoro, da realtà di movimento ha dimostrato che sono riconosciuti dalle masse ed interni, parte integrante, alla lotta di classe. Forse non molti ci avranno riflettuto ma, la democratica signora, difenditrice dei valori della Costituzione (ama spesso ammantarsi di questo), ha richiesto di fatto l’ergastolo per una parte di compagni. Infatti, nel concreto, è questo quello che significa richiedere 22 anni di galera per persone che hanno superato i 50 anni di età! Le richieste esorbitanti, soprattutto se confrontate con i fatti concreti sotto processo, sono comunque una manifestazione della debolezza e della paura che lo stato borghese ha, di fronte alla crisi sempre più profonda ed un immiserimento continuo delle masse popolari, che il malcontento si organizzi e diventi lotta politica. Attraverso attacchi repressivi, anche preventivi, e attraverso punizioni esemplari verso tutti coloro che alzando la testa, si cerca di annientare ogni idea e pratica per il cambiamento dello stato di cose presente. I due secoli di galera richiesti sono contro tutti coloro che pensano che oggi si possa ancora alzare la testa, lottare e organizzarsi per conquistare un mondo diverso, senza sfruttamento e guerre.
Rispondiamo alle richieste delle condanne facendo sentire, attraverso telegrammi, lettere, comunicati, la nostra vicinanza ed affetto ai compagni che continuano nella loro resistenza a lottare mantenendo salde le loro idee e la loro identità politica!
Mercoledì 18 marzo si presenteranno in aula le parti civili: Ichino, Forza Nuova, lo Stato. Riempiamo l’aula con una presenza forte e solidale ricordando che solo 2 giorni prima e proprio nella città di Milano ricorre l’anniversario della morte del compagno Dax, (Davide Cesare), assassinato per mano fascista il 16 marzo 2003.
Comunque, grazie Bocassini, perché, se per caso in qualcuno si fosse affievolito l’odio di classe, offri nuova linfa per alimentarlo!
Uniti e forti nella solidarietà di classe!
Associazione parenti e amici degli arrestati il 12 febbraio 2007

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Animalisti incendiano con 20 molotov lo Zoom Torino, muoiono 40 volatili

Un incendio di origine dolosa ha distrutto le voliere del parco
naturale di Cumiana, nel torinese, e ha ucciso 40 uccelli.
L’azione, per la quale sono state utilizzate 20 molotov, è
rivendicata dall’Animal Liberation Front: "Questo è per gli animali
imprigionati" è la scritta trovata dai carabinieri che indagano sul
rogo.

I volatili morti sono poiane, falchi e gufi. Liberi di giorno, la
notte questi rapaci vengono ricoverati in apposite voliere. Le
cariche incendiarie – bottiglie da 1 litro e mezzo di benzina
innescate da zampironi collegati a fiammiferi e tavolette di
diavolina per caminetto – hanno dato fuoco anche ad un capannone e
all’ingresso degli uffici del parco. Un principio di incendio si è
avuto anche nella casetta di uno dei guardiani. I danni, secondo
una prima stima della proprietà, ammonterebbero a 700-800 mila
euro.

Inaugurato da un paio d’anni nei pressi dei laghi di Cumiana, lo
Zoom Torino – questo il nome del parco – è il primo zoo immersivo
d’Italia. si tratta di un concetto innovativo di zoo, basato sulla
ricostruzione dell’habitat naturale degli animali, che vivono
liberi. Copre una superficie di circa 180 mila metri quadrati e al
momento ospitava soltanto i volatili rapaci e alcune tigri, che
però non sono rimaste coinvolte nel blitz amimalista. La struttura,
che doveva aprire al pubblico nel prossimo mese di aprile, impiega
in tutto 20 biologi e veterinari, oltre una sessantina di
lavoratori stagionali.

Il proprietario dello Zoom Torino, Gianluigi Casetta spiega: "E’
stato un attacco criminoso compiuto da persone poco informate su
quello che stiamo facendo. Il progetto di Cumiana, che prevede un
investimento di circa 20 milioni di euro, consiste infatti nel dare
vita ‘al primo zoo moderno d’Italia’ con tanto di centro
conservazione specie e laboratori per la formazione di biologi e
veterinari".

L’Alf, Animal Liberation Front, opera in tutto il mondo "contro lo
sfruttamento e l’abuso degli animali". Nata in Inghilterra, negli
anni ’70, e’ celebre per le sue azioni. In Italia si è resa
protagonista, nel 2002, del furto di un centinaio di cani beagles
dall’allevamento Morini di San Polo d’Enza, in provincia di Reggio
Emilia.

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Cosi’ si vive a Lampedusa, Isola carcere d’Europa

Così si vive a Lampedusa isola carcere d'Europa

ISOLA DI LAMPEDUSA –
Il pattugliatore 290 della Capitaneria di Porto lascia la darsena del
molo vecchio con la luce del primo giorno, scatarrando cherosene
nell’azzurro cobalto dei fondali. Perché la clemenza del
bollettino del mare e la disperazione di chi lo attraversa sono
più forti di un decreto legge. Perché per quarantotto
ore, il canale di Sicilia si fa laguna e nella notte torna a restituire
uomini, donne e bambini alla deriva. Questa volta, e "per disposizione
di Roma", agganciati sui loro barconi oltre l’orizzonte e destinati
alle spiagge di porto Empedocle, in Sicilia, e ai centri di
identificazione ed espulsione (Cie) dell’isola madre.

In una coltre di "discrezione" che consenta di dire che gli sbarchi su
questo scoglio di 20 chilometri quadrati si sono spenti d’incanto dopo
il consiglio dei ministri che appena venerdì ha riscritto un
significativo paragrafo della Bossi-Fini. Con la stessa rapidità
con cui sono state soffocate prima, e cancellate dai palinsesti
televisivi poi, le fiamme della rivolta tunisina nel centro di contrada
Imbriacole.

È una finzione che, a ben vedere si è già svelata,
nella notte tra sabato e domenica, sulle rocce di Punta Sottile, dove
un gommone ha scaricato nove ombre inebetite e incartapecorite da
freddo, acqua e salsedine, che parlavano la lingua del Maghreb.
È una finzione che deve sedare la collera di seimila isolani e
del sindaco ribelle che ne è alla testa, un ex seminarista nato
a Pantelleria, eletto con il Movimento per le Autonomie di Lombardo,
che di nome fa Bernardino De Rubeis e ha inopinatamente cominciato a
chiamare le cose con il loro nome. Qui, sulla terra ferma e persino a
Bruxelles. Dimostrando che Lampedusa non è la nuova linea del
Piave contro la spallata dei migranti del sud del mondo. Ma ne è
e ne sarà solo la discarica. Non più luogo di transito
della disperazione. Ma suo centro di stoccaggio e smaltimento
definitivo.

IN PIAZZA Libertà, appesi agli infissi scrostati delle case che
affacciano sul corso e a quelle del fatiscente Municipio, lenzuoli
imbrattati di vernice rossa e verde lo raccontano a modo loro. "Le
carceri al Nord, anche lì spazio ce n’è"; "Maroni affonda
Lampedusa. Lampedusa affonda Maroni"; "Pacchetto vacanze Lampedusa
2009. Camera con vista mare, gita in barca con avvistamento
clandestini. Visita guidata Centro di identificazione ed espulsione e
la sera birra con amico africano. Inoltre, per la vostra sicurezza, un
militare per ogni bella donna. Il tutto offerto dal presidente
Berlusconi e dal ministro Maroni. Grazie".

 I numeri del Viminale dicono che alla mezzanotte di sabato 21 febbraio,
nel Cie di contrada Imbriacole i detenuti, che la burocrazia
dell’immigrazione chiama "ospiti", erano 579. Tutti tunisini. E che a
quella stessa data e ora, il "dispositivo di sicurezza" sull’isola
aveva raggiunto i seicento effettivi. Un uomo in divisa per ogni
migrante. O, se si preferisce, un uomo in divisa ogni dieci isolani.
Carabinieri dei battaglioni di stanza in Sicilia, reparti mobili della
polizia di stato risucchiati dalle questure di Catania e Palermo,
finanzieri, soldati di esercito e aeronautica militare assegnati
all’operazione "Strade sicure". Occupano ogni posto letto disponibile
sull’isola (gli alberghi sono al completo fino ad agosto) e hanno
trasformato il paesaggio verde e turchese dell’isola in un pezzo di
Ulster italiano.

Soldati smontanti che fanno jogging sulle banchine. Cellulari per il
trasporto dei reparti antisommossa parcheggiati con il muso rivolto
verso l’oasi naturale dell’isola dei conigli. Scudi di plexiglass e
sfollagente appoggiati all’ingresso delle taverne del porto dove
vengono serviti spaghetti al nero di seppia e calamari alla plancia in
convenzione con il Viminale.

"Lei come la chiama questa, eh? La chiama isola o la chiama carcere?
È Lampedusa o Guantanamo?", dice il sindaco. A Roma, gli danno
ora del pazzo, ora dell’irresponsabile, ora del furbacchione pronto a
flirtare con quel che resta dell’opposizione di centro-sinistra e,
prima o poi, a scendere a patti con il Governo, magari in cambio di un
congruo indennizzo. Lui sembra infischiarsene e ripete come un disco
rotto quel che nessuno sembra disposto ad ascoltare sulla terra ferma.
"Qui i senza futuro non ci possono stare. Noi possiamo continuare a
fare quel che abbiamo fatto fino a un mese fa, quando il nostro era
ancora un centro temporaneo di primo soccorso. Accogliere e strappare
alla morte in mare chi arriva qui fuggendo la guerra e la miseria. Ma
non possiamo fare di più. Lampedusa può essere un centro
di transito, non può diventare la tomba dei clandestini in
attesa di rimpatrio coatto".

Per spegnere l’ex seminarista che si è fatto incendiario,
è arrivata sull’isola la donna che, per anni, ne è stata
il braccio destro. L’ex vicesindaco Angela Maraventano, nata, cresciuta
e residente a Lampedusa, oggi senatrice della Repubblica eletta con la
Lega in un collegio scelto a caso in quel dell’Emilia Romagna. Di De
Rubeis, la Maraventano pensa e dice il peggio. Di quel che sarà
o dovrà essere l’isola dice di essere sicura tanto quanto la
maggioranza di governo che rappresenta: "Fine del buonismo. Chi arriva
a Lampedusa deve sapere che da qui ripartirà solo per tornare a
casa propria. Il sindaco non vuole il Cie? Io l’ho detto a Maroni: per
me i centri li possiamo anche fare in mare. Sulle navi della marina,
così questi che ancora ci provano non toccano neanche terra.
Hanno bruciato il centro? E noi lo ricostruiamo. Subito. Provano a
bruciarlo di nuovo? E noi gli togliamo gli accendini e le sigarette,
che fanno anche male alla salute. Il piano Maroni funzionerà.
Vedrete, se funzionerà".

Le statistiche lasciano prevedere il contrario. Il 70 per cento dei
migranti che raggiungono Lampedusa fugge le guerre del Corno d’Africa e
non c’è decreto legge che possa metterne in discussione il
diritto all’asilo politico, riconosciuto dalle Nazioni Unite. Dunque,
in Italia resteranno. Solo il trenta per cento (tunisini, marocchini,
egiziani) arriva da quel Maghreb verso il quale dovrebbe essere
rimpatriato. Ma è un numero così alto che non c’è
discarica o prigione che possa contenerli. Novemila migranti maghrebini
nel solo 2008. Vale a dire almeno otto volte il numero di clandestini
per il quale gli accordi bilaterali chiusi dal nostro Paese consentono
il rimpatrio coatto ogni anno.

Non è un calcolo complicato. Se da domani non arrivasse
sull’isola anche un solo maghrebino in più (e non sarà
così), ci vorrebbero almeno sette anni per riportare indietro
quelli che già sono in Italia.
Ma nella logica di una
gestione dell’emergenza che ricorda come un calco – persino nel
linguaggio – quella dell’immondizia campana, lo stato di eccezione
permanente si fa norma. A Lampedusa uomini e cose vengono impilati in
buchi scavati nella terra. Gli uomini a Sud, nel centro sprofondato
nella forra di contrada Imbriacole (le donne e i minori, in questi
giorni assenti dall’isola, sono trattenuti nella ex base Loran
dell’aeronautica, a Ponente). Le cose a nord, in una ferita aperta
dalla Protezione civile tra le argille di Taccio Vecchio, area naturale
a protezione integrale della Comunità europea, violata dalle
ruspe della Protezione civile in nome delle "procedure in deroga" per
gli stati di calamità. Tre colline di legno, gomma e ferro,
dove, inclinati su un fianco come carcasse di cetacei, riposano i
barconi della disperazione, marchiati al loro arrivo con la vernice
rossa di chi li agguanta (G. F., guardia di Finanza; C. P. Capitaneria
di Porto) e destinati ad essere "tritovagliati" insieme alla rumenta
dell’isola.

Simona Moscarelli, avvocato dell’Organizzazione Internazionale Migranti
(una delle ong, che con "Save the children", l’Alto commissariato per
le Nazioni Unite e la Croce Rossa lavora nel Centro di identificazione
ed espulsione), racconta che ai prigionieri dell’isola nessuno ha
ancora avuto il coraggio di comunicare quale sarà il loro
destino. Che, verosimilmente, toccherà farlo a una delegazione
del governo tunisino attesa per oggi. "Vogliamo prima capire se il
decreto si applicherà anche a chi è sbarcato prima
dell’approvazione della nuova legge", dice abbassando lo sguardo. Anche
perché ricorda cosa è stato, sin qui, spiegare agli
"ospiti" un altro dei buchi neri in cui la burocrazia dello smaltimento
migranti ha sin qui annegato i ricorsi di chi, dichiarandosi minorenne,
viene al contrario destinato al rimpatrio perché ritenuto
maggiorenne. "La legge prevede il diritto di ricorso al Tar. Ma quello
di Palermo si è dichiarato incompetente a favore dei giudici di
pace di Agrigento. I quali, però, si sono detti a loro volta
incompetenti. E comunque, chi ricorre non può contare sul
gratuito patrocinio degli avvocati".

Ricorrere è inutile. Quasi quanto chiedere oggi accesso al
Centro. Non è un carcere, dicono. Ma, esattamente come un
carcere, è ora impermeabile al mondo esterno "per motivi di
incolumità". Gentili funzionari del Viminale assicurano che
"tutto è tranquillo". Che "gli ospiti giocano persino a
pallone". Dalla collina che lo sovrasta, lo spettacolo è
diverso. Nei due bracci sopravvissuti all’incendio, separati dallo
scheletro di lamiera dell’edificio fuso dal calore delle fiamme, una
folla di uomini ciondola e spesso grida, agitando stracci dai ballatoi
degli alloggi in cui è stipata. In brande e a terra. Nell’unico,
angusto cortile, si sta seduti a gambe incrociate per l’appello, sotto
lo sguardo di poliziotti trasformati in secondini. Tanto da strappare a
Franco Maccari, segretario generale del Coisp, sindacato di polizia,
arrivato sull’isola per guardare con i suoi occhi, che "in una
situazione così degradante e allucinante, il peggio può
ancora venire".

Una nuova rivolta o magari un’altra notte come quella del 6 febbraio
scorso. Alle 19 di quel venerdì, come ne documentano i registri
di ingresso, arrivò nel poliambulatorio dell’isola il primo
tunisino trasportato d’urgenza dal Centro. E dopo di lui, altri otto.
Fino alle 5.20 del mattino. Nello stomaco di tutti, imprigionati in
molliche di pane e morsi di patata, "corpi radio opachi". Lamette da
barbiere. Nascoste nelle protesi dentarie al momento dello sbarco e
ingoiate poi. Per bucarsi dentro e riuscire ad evadere dall’isola che
si è fatta sarcofago.

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“La (ir)resistibile ascesa al potere di Hitler” presentazione del libro a cura del CPO GRAMIGNA

GIOVEDI’ 26 FEBBRAIO ORE 18.30 SALA CONSIGLIARE VIA CURZOLA 15, ARCELLA-PADOVA

Presentazione
del libro"La (ir)resistibile ascesa al potere di Hitler. Chi furono i
burattini? Chi gli spianò la strada?"
di Kurt Gosweiler, Zambon Editore. Sarà presente la curatrice Adriana Chiaia.

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I prigionieri politici baschi boicottano i prodotti sionisti

21 febbraio 2009

 

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amnistia ojos.jpg

(Riceviamo e pubblichiamo)

Solidarietà
alla Palestina!

Boicottaggio
dei prodotti israeliani!

 

Nello
spaccio della prigione di Fresnes si possono comprare alcuni prodotti di
origine israeliana. Noi prigioniere e prigionieri politici baschi abbiamo
l’abitudine di fare boicottaggio a questi prodotti come dimostrazione di
solidarietà col popolo palestinese.

Una
volta cominciato l’ultimo attacco contro Gaza, abbiamo voluto mostrare la
nostra solidarietà mettendo scritte come" SOLIDARITE AVEC LE PEUPLE
PALESTINIEN", Solidarietà col popolo palestinese, e "ARRETEZ LE
MASSACRE", Fermate il massacro, sopra ai prodotti israeliani.

D’altra
parte, nei corridoi e celle di attesa abbiamo collocato cartelli che esprimono
la nostra solidarietà col massacrato popolo di Gaza.

La
direzione della prigione ha deciso di non accettare i buoni che avevano le
iscrizioni di solidarietà, e con alcuni di noi si è riunito personalmente in
quello che hanno denominato il" comitato di disciplina" come se nelle
nostre iscrizioni apparissero insulti od offese.

Non
è molto quello che possiamo fare stando rinchiusi nella prigione, ma crediamo
che il poco che possiamo fare sarà benvenuto per aiutare il popolo palestinese.

Le
ed i palestinesi hanno diritto a vivere in pace nella loro terra!

Viva
Palestina libera!

Prigioniere
e prigionieri politici in Fresnes

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on I prigionieri politici baschi boicottano i prodotti sionisti

ROBERTO SCIALABBA VIVE. PRESIDIO ANTIFASCISTA IL 28 FEBBRAIO

jscialabbamini

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | Comments Off on ROBERTO SCIALABBA VIVE. PRESIDIO ANTIFASCISTA IL 28 FEBBRAIO