SCIOPERO DELLA FAME PER L’ABOLIZIONE DELL’ERGASTOLO


Il 1° dicembre inizierà uno sciopero della fame per
l’abolizione dell
’ergastolo. Aderiscono al momento 737
ergastolani e circa 8353 detenuti non ergastolani, familiari e
simpatizzanti; alcuni porteranno avanti lo sciopero a tempo
indeterminato, fino alla morte se dovesse occorrere, altri a rotazione
settimanale.


Alcuni
di questi detenuti hanno sollecitato un nostro intervento
sull’argomento, per cui abbiamo organizzato l’incontro del
17 e 18 novembre a Napoli.

Teniamo a precisare che il sostegno
alle lotte dei prigionieri a partire dal rifiuto totale
dell’istituzione carceraria e dalla critica radicale alla
società che la produce è da sempre parte del nostro
percorso di lotta antiautoritario, nonché insito nella tensione
verso una società libera da meccanismi di oppressione,
sfruttamento e mercificazione che da sempre muove il nostro agire. Il
nostro coinvolgimento sulle tematiche anticarcerarie e la nostra
solidarietà ai prigionieri sono dunque consequenziali ad una
progettualità libertaria e rivoluzionaria, che prescinde dalle
scadenze di questa mobilitazione, ma ne riconosce la potenziale
conflittualità nei confronti del rituale di quotidiana
sottomissione della vita carceraria.

I compagni e le compagne
presenti all’assemblea hanno deciso di sostenere questa lotta
innanzitutto per essere nata direttamente all’interno delle
galere. Siamo consapevoli del fatto che, se questa battaglia non
sarà capace di sviluppare dentro e fuori una propria autonomia,
cadrà inevitabilmente preda del recupero strumentale da parte
della politica istituzionale, che potrebbe approfittare di questa
situazione per ripulire la propria facciata democratica. È di
esempio la proposta infame di personaggi della sinistra al governo
sulla sostituzione dell’ergastolo con la certezza di un fine
pena, altrettanto inaccettabile, stimato in 28 anni.

Vogliamo
qui sottolineare come la prospettiva dalla quale ci poniamo rispetto
alla questione della reclusione e della pena sia comunque
inconciliabile con qualsiasi riforma giuridica, perché
rifiutiamo il principio stesso per cui ad ogni comportamento
“deviante” corrisponde un castigo, lungo o breve che sia.
Proprio per non concedere campo libero a chi vorrebbe speculare sulla
vita stessa dei prigionieri ottenendo pubblicità a buon mercato,
ci sembra importante fare emergere come la mobilitazione dei detenuti,
per il carattere autorganizzato, per l’ampia partecipazione,
anche di detenuti non ergastolani e familiari, rompa con la logica
disgregante imposta nelle carceri italiane dalla legge Gozzini, che
persegue il fine dell’individualizzazione del trattamento e della
desolidarizzazione fra i prigionieri, in un ottica di controllo e
pacificazione all’interno delle carceri. Allo stesso modo la
scelta da parte di alcuni prigionieri di proseguire se necessario lo
sciopero della fame fino alla morte, come esplicitamente dichiarato da
alcuni di loro, mette chiaramente a nudo l’ipocrisia progressista
di una classe politica che, mentre da una parte si autocelebra come
paladina dei “diritti umani”, promuovendo una mistificante
moratoria internazionale contro la pena di morte, dall’altra
avalla l’ergastolo, che non è altro che la negazione della
vita gi
orno dopo giorno, una pena di morte differita. È
necessario pertanto ribadire come di carcere si muoia tutti i giorni,
come le patrie galere siano luogo di torture fisiche e psicologiche
quotidiane, al pari dei Centri di Permanenza Temporanea per immigrati e
delle strutture p
sichiatriche: istituzioni totali che hanno la propria
ragion d’essere nel terrorizzare e nell’annientare chiunque
sia refrattario o incompatibile alle imposizioni del dominio. Del resto
criticare il sistema carcerario significa criticare direttamente
l’organizzazione sociale dominante che ha nella galera il proprio
modello di riferimento.

Dall’assemblea è emersa la
volontà di rincontrarsi una settimana dopo l’inizio dello
sciopero della fame per valutare lo sviluppo della lotta e delle
iniziative di solidarietà.

Le compagne e i compagni presenti all’assemblea Anticarceraria del 17 e 18 – novembre 07 a Napoli

L’appuntamento
sarà per l’8 dicembre alle 13.00 a Torre Maura occupata,
via delle averle n°10, Roma. Bus 312/105/556 – trenino Roma
Pantano

agitazione@hotmail.com

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on SCIOPERO DELLA FAME PER L’ABOLIZIONE DELL’ERGASTOLO

MANIFESTAZIONE NAZIONALE PER LA DIFESA DEGLI SPAZI SOCIALI

Posted in movimento e manifestazioni | 7 Comments

RENATO BIAGETTI:NEGATA L’AGGRESSIONE FASCISTA..FU SOLO UNA RISSA

Non un omicidio con una chiara matrice politica, ma una banale rissa
tra «balordi». Quattro mesi dopo la sentenza che ha condannato il
19enne Vittorio Emiliani a 15 anni di carcere per l’omicidio volontario
di Renato Biagetti, il gup Giovanni Giorgianni ha reso note le
motivazioni di quella decisione. E la lettura del provvedimento ha
suscitato dubbi e rabbia nella famiglia e negli amici del giovane
assassinato nell’agosto del 2006 lungo il litorale romano. «Le
motivazioni insultano la memoria di Renato e non chiariscono la
ricostruzione dei fatti», affermano all’unisono quanti in questo ultimo
anno si sono battuti per ristabilire l’esatta versione di ciò che è
avvenuto quella notte.

Biagetti, 26 anni, fu ucciso con 8 coltellate fuori da un locale di
Focene per mano di due giovani ragazzi del posto, di cui uno
maggiorenne (con celtica tatuata sul braccio) e uno minorenne.
«Tornatevene a casa vostra» gridarono i due aggressori al giovane
romano e ai suoi amici. Un avvertimento ben scandito che ha portato
alla sua morte e al ferimento di un altro ragazzo, Paolo Berardi,
accoltellato vicino ai polmoni.
Chiarezza su quella vicenda non è mai stata fatta e nelle aule dei
tribunali la verità sembra addirittura allontanarsi. Per il gup si
trattò di una rissa finita male perché qualcuno dei litiganti aveva con
sé il coltello. Una ricostruzione contestata dai compagni di Biagetti:
«Non ci fu nessuna colluttazione tra due gruppi – ribadiscono – la
violenza è stata unilaterale». Anche il collegio difensivo, composto
dagli avvocati di parte civile Arturo Salerni, Maria Luisa D’Addabbo e
Luca Santini, si dice «insoddisfatto»: «Se da una parte emerge un
chiaro e incontrovertibile dolo diretto di Emiliani, dall’altra non
viene fatta luce sulla vicenda». Con questa sentenza il rischio di
stravolgere la verità affossando definitivamente il processo è alto.
«Ancora non si è fatta chiarezza su alcuni aspetti fondamentali», dice
Arturo Salerni, riferendosi alla leggerezza sulle indagini rispetto
alla ricerca delle armi del delitto («Non è mai stato trovato il
secondo coltello che per noi è stato utilizzato dal minore») e alla
mancata verbalizzazione dei carabinieri di Ponte Galeria delle ultime
parole dette da Renato in ospedale. Cosa che un agente ha fatto con
quasi un anno di ritardo. Eppure tale verbale assume un ruolo
probatorio centrale nell’articolazione delle motivazioni del gup.

Al contrario non viene dato adito alla ricostruzione di Laura
Lombardelli e Paolo Berardi, aggrediti insieme a Biagetti quella notte.
In base alla loro testimonianza il minorenne G. A., in attesa di
giudizio al tribunale minorile e che con queste motivazioni esce
«pulito», «colluttò per la maggior parte del tempo con Renato scappando
completamente sporco del suo sangue». Tesi pare confermata dalla
prognosi dell’ospedale che ha evidenziato ferite sul corpo di Biagetti
sia davanti che dietro, come fosse stato colpito su due fronti
contemporaneamente. «Laura e Paolo hanno fornito versioni dei fatti
coerenti e precise fin dall’inizio, eppure le loro testimonianze
vengono screditate», denuncia con sdegno Cristiana del centro sociale
Acrobax, che continua: «L’obiettivo dei due imputati era quello di
aggredire e allontanare dal proprio territorio chiunque fosse di
sinistra o di una cultura alternativa». Insomma il movente politico
sembra palese per tutti. Ma non per il giudice che già durante
l’istruttoria aveva cercato di escludere il connotato politico,
rifiutando la richiesta di costituzione di parte civile di Anpi e
Comune di Roma.

«Non è dalle aule di tribunale che uscirà mai la verità
sull’omicidio», commenta Stefania, la mamma di Renato, che denuncia le
omissioni e i depistaggi in cui è avvolto il processo, nonché il clima
fascista e intollerante in cui è maturato l’omicidio. Intanto
l’avvocato Santini annuncia di voler procedere contro il minore in sede
civile, per un risarcimento e perché «quella sede servirà per fare
piena chiarezza sui fatti». Le associazioni nate dopo l’uccisione di
Biagetti, «I Sogni di Renato» e «Mamme contro il fascismo», si
preparano a mantenere alta l’attenzione e a promuovere iniziative in
suo ricordo. A partire dall’inaugurazione di una sala prove musicale e
una partita di rugby «antifascista».crash

Posted in antifascismo, antisessismo, antirazzismo | Comments Off on RENATO BIAGETTI:NEGATA L’AGGRESSIONE FASCISTA..FU SOLO UNA RISSA

FIERA DELLE AUTOPRODUZIONI NATURALI AL CSOA CARTELLA

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on FIERA DELLE AUTOPRODUZIONI NATURALI AL CSOA CARTELLA

CSOA A Cartella: Serata Benefit per Sport Sotto Assedio e video sul g8 di Rostock 2007

serata al cartella

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on CSOA A Cartella: Serata Benefit per Sport Sotto Assedio e video sul g8 di Rostock 2007

Autobiografia di un diverso( parte seconda)

 

il terzo capitolo del romanzo contro per i compagni, sul movimento, sulla vita reale di chi si sbatte il culo per cambiare questo fottutissimo mondo.. 

 

DUE

 

Lo stava
seguendo. Praticamente lo stava pedinando. Ma che fai? Ma sei diventato tutto
scemo? Ti metti a seguire le persone ora? Ma tornate a casa e stai li
tranquillo! No, no. Devo seguirlo. Devo vedere dove và. Guarda, guarda come
cammina, come è veloce. Che camminata, a testa bassa, sembra un fantasma. Nulla
lo smuove, non fa caso a nulla, non osserva nulla. Alex era a una cinquantina
di metri da lui. Riusciva benissimo a distinguere i suoi gesti, le sue mosse. E
fotografava nella sua testa ogni suo piccolo movimento, ogni suo passo. Scesero
viale Bovio, superarono Piazza Garibaldi, entrarono nel Corso principale di
Terra. C’era tantissima gente che passeggiava. Riccardo affrettò il passo. Si
confuse tra le centinaia di persone che camminavano. Schiamazzi, risate, grida,
abbracci, baci e sorrisi. Riccardo si perse tra tutte quelle teste. Dov’e’?non
lo vedo! Iniziò a balzare qua e là come se fosse un coniglio. Corse per un po’.
Si ribloccò. Si alzava ogni secondo sulle punte per scovarlo. Eccolo! Girò ad
una traversa del corso. L’aveva finalmente rivisto. Corse fino a esserli
nemmeno a dieci metri da lui. Si dirigeva verso Porta Madonna, ma passando per
i vicoli della cittadina. Alex sorrideva. Era felice. Sembrava che stesse
vivendo un avventura. Ancora in un altro vicolo. Girò anche Alex.
Dov’era?Riccardo? sparito. Non lo vedeva più. Dopo il vicolo era scomparso. Ma
come poteva essere?non era possibile. L’aveva a pochi metri di distanza.”
Circolo culturale anarchico Horst Fantazzini”. Un portone grande e vecchio con
rifiniture in tipico stile barocco. Forse era entrato lì dentro. Il portone era
aperto. Salì quelle scale e il cuore iniziò a batterli in gola. Sentiva le
minuscole goccioline di sudore che gli si formavano sulle tempie, il respiro
che si faceva leggermente più affannoso, le pupille degli occhi si ingrossavano
sempre di più per via del buio pesto che c’era in quelle rampe di scale. Primo
piano. Riconobbe la sua voce. Là dentro c’era Riccardo. E c’erano anche tante
altre persone. Voci distinte di uomini e donne che parlavano in modo pacato, in
una discussione che non riusciva a comprendere. Appoggiò lentamente l’orecchio
su quella porta. Cercò di sentire quello che dicevano. Puum! Perse l’equilibrio, inciampò e si ritrovò dentro quel locale.

-Vieni pure
Alex, accomodati,-disse tranquillo Riccardo- questo compagni è il mio nuovo
coinquilino, è di Sud.

Non sapeva cosa
fare. Titubante e impaurito, si raccolse nel suo corpicino e rimase immobile in
piedi. Ma come faceva a sapere che ero lì? Perché non si era arrabbiato che lo
stavo spiando? E ora che faccio? Che vergogna? Guarda quanta gente! Alex
abbassò la testa.

-Ciao a tutti-.
Fu l’unica cosa che gli venne in mente da dire.

Si sentì
stupido. Ma che dici “ciao a tutti”. Ma sei deficiente? Ma che vuol dire?
Scusati almeno no? Riccardo si alzò tranquillamente dal tavolo, andò verso di
lui, lo prese dolcemente per una mano e lo portò attorno al grande tavolo dove
tutti attorno erano seduti.

-Accomodati
pure qui- e lo fece sedere spingendolo su una sedia. Attorno a lui c’era un
silenzio di tomba. Tutti lo guardavano. Prima del suo arrivo c’era in atto una
discussione. Ora si era creata un atmosfera alquanto bizzarra. Una quindicina
di persone lo fissava, lui aveva la testa bassa, seduto con Riccardo in piedi
al suo fianco. I nuvoli di fumo delle sigarette accese, il silenzio assordante
della camera, la forma statica delle persone fisse verso Alex. Non avrebbe
resistito ancora molto in questa situazione.

-Beh, Elisa,
stavi appunto dicendo del percorso. Come mai non vuoi che passiamo davanti la
questura?-Riccardo si sedette finalmente.

Passarono due
secondi e come per magia la discussione si riaccese, come se non fosse successo
nulla.

-No Ricki, non
è che sono contraria. Il problema è che ci saranno migliaia di compagni. È
logico che tra questi migliaia, ci potrebbe essere qualcuno che lì davanti
potrebbe fare sciocchezze. Che so, lanciare oggetti o urlare slogan troppo
forti. Ci siamo capiti no?-

-Continuo a no
vedere il problema-rispose Riccardo, con l’aria un po’ annoiata.

Prese la parola
un altro ragazzo, seduto esattamente di fronte ad Alex.

-Forse qui non
ci siamo capiti, compagni. Tra 4 mesi c’è Jenova, il G8, e ci stiamo preparando
per partecipare attivamente. Ma una settimana fa, una guardia, una lurida
guardia ha fatto finire in coma un ragazzo di 17 anni, un nostro compagno, un
nostro fratello. Ci rendiamo conto della situazione? Mario, stava manifestando
pacificamente a Nammoli. Tranquillo com’era. Manifestazione pre Jenova per i
migranti. E finisce in coma perché una guardia lo manganella talmente tante
volte sulla testa da farlo finire in ospedale con una commozione celebrale. E
tutto questo 4 mesi prima del g8. come a dire: Attenti che a Jenova sarà ancora
più dura per voi noglobal del cazzo. E no, Elisa. Io non ci sto. Questa ti pare
democrazia? E cosa è allora? Io propongo non solo di passare davanti alla
questura, ma di rimanerci pure li davanti e leggere la lettera della madre di
Mario. E se parte qualcosa contro quell’edificio, io certamente non starò lì ad
applaudire quel gesto, ma sicuramente non avrò nemmeno il coraggio di dire ai
compagni che non devono lanciare nulla. E questo è quanto!-

Alcuni ragazzi
applaudirono.

-Ma che cazzo
dici, Ste. E questa è la risposta non violenta del movimento? Questo lo chiami
pacifismo? Se ora quel ragazzo fosse qui con noi sicuramente non sarebbe
d’accordo su questa scelta. Ricordiamoci che non dobbiamo mai rispondere alle
provocazioni, altrimenti facciamo il loro sporco gioco-

 Si alzò Riccardo.

-E tu cosa ne
pensi Alex?-

Aveva chiamato
me? O madonna santa,e ora che dico? Che figura faccio! Non aveva mai
partecipato a riunioni politiche, non parlava la loro lingua. Si trovava
spaesato. Certo le sue idee le aveva sempre portate avanti, a scuola, con le
occupazioni, le autogestioni, ma non si era mai schierato, non aveva mai parlato
il politichese, non conosceva nulla di quel mondo. Non aveva tessere di
partito, non frequentava associazioni. Non conosceva nemmeno quel G8. cioè, ne
aveva sentito parlare, in modo molto marginale, s’era fatto la propria idea, ma
non l’aveva mai esposta a nessuno. Riccardo lo fissava, come per incalzarlo a
parlare. Alex allora si alzò in piedi.

-Beh, se ho
capito bene, un ragazzo durante una manifestazione è stato ferito..-

-No cazzo,
Mario è in coma, non è stato ferito e quei..- interruppe Stefano.

-Ma fallo
parlare- esclamò Riccardo fulminando Stefano con gli occhi. -Continua pure Alex-

-Dicevo,-riprese-che
un ragazzo è in coma per via di un poliziotto. E che tra 4 mesi c’è il G8 a
Jenova. E voi state organizzando una manifestazione qui a Terra, contro le
repressione, per questo ragazzo e per prepararvi al G8.Giusto?”

-Perspicace il
ragazzo, ci sei arrivato! Mah.. questi di Sud sono tutti così? Sentenziò Elisa.

Alex riprese a
parlare emozionato.

-Credo che la
polizia sia di per sé un organo istituzionale che non funziona, un controllo
che non serve. O meglio, serve ora, in questa società malata. Ma se tra gli
uomini ci fosse tolleranza e fratellanza, beh, la polizia sarebbe inutile. Chi
controllare se tra le persone regna la buonafede? Comunque il controllo statale
sulle persone che la pensano diversamente è effettivamente qualcosa di
mostrosuamente nocivo alla democrazia. Questa per andare avanti ha bisogno di
avere persone che pensino con la propria testa, di persone differenti, di
persone con opinioni. E se si cerca di limitare il loro pensiero, di spianare
la loro diversità e di delimitare la loro azione, beh la cosiddetta democrazia
non esisterebbe più. Detto questo, credo che il miglior modo di protesta, anche
pacifica, su questa situazione sia fare un semplice corteo. Un corteo normale.
Che passi per il centro della città. Che parli con le persone ai lati della
strada. Che faccia capire perché si è contro questo G8. Magari con volantini,
ma scritti in una maniera semplice, non con tutte le solite parole auliche che
ho sempre letto sui volantini politici. Magari anche parlando con i signori che
ci osservano. Poi magari creare un cordone autorganizzato di persone che
distanzi il più possibile la polizia dal resto dei manifestanti, per avere più
agibilità. E ad un certo punto del corteo, deviare dal percorso stabilito con
la questura e dirigersi verso la prefettura o la questura stessa. Ovviamente
tutti dovranno seguire il camion che apre il corteo. Una volta arrivati davanti
la prefettura, beh sarebbe bello entrare tutti in massa, in modo pacifico, e
lanciare da dentro la segreteria del prefetto un comunicato ai giornali e alla
città, spiegare il motivo di quella occupazione simbolica e di leggere davanti
al prefetto questa famosa lettera della madre del ragazzo in coma. Penso che
noi potremmo fare così. Il bastone tra le loro ruote.-

Si sedette. Non
era soddisfatto delle cose che aveva detto e abbassò la testa in segno di resa.

-Bello!!

-Si si, si può
fare!

-Bella pensata.

-Grande sto
ragazzino!

Alex alzò la
testa. Le persone attorno a quel tavolo iniziarono a parlare, a discutere di
quello che aveva detto. Tutti sembrarono entusiasti. E lui, non poteva
crederci. Forse non aveva detto delle cretinate, forse a qualcuno piaceva ciò
che pensava, lo ascoltavano, non era un numero, non era zero. Riccardo voltò la
testa verso il suo coinquilino

-Ottima idea
Alex. Allora compagni, pensate tutti a come mettere in pratica l’idea di Alex e
domani alla stessa ora ci vediamo qui e ne discutiamo assieme. A domani allora.
Quelli del circolo invece restano qui che dobbiamo parlare di un'altra
questione. –

Quasi tutti si
alzarono. Salutarono con un abbraccio Riccardo. Evidentemente avevano un gran
rispetto per lui. Si vedeva da come gli parlavano, da come facevano quasi la
fila per salutarlo. Rimasero seduti solo in sei. “ Ok,Riccardo, vado allora. Ci
vediamo a casa”. “ ma dove vai?tu resti qui. Dobbiamo parlare” e gli fede segno
di sedersi.  Spaesato e incredulo,
ubbidì.Tutti uscirono dal locale. Rimasero Riccardo, Alex, Alessia, Stefano,
Francesca, Roberto, Luigi e Marika.

-Ricki, ma non
è meglio che esce anche lui?- disse quest’ultima.

-No, voglio che
ascolti per bene!-disse Riccardo-allora tralasciando per ora il discorso corteo
di sabato prossimo, vi comunico ufficialmente che abbiamo individuato un posto.
Persino in centro.

-Davvero?Da
paura

-Dove Ricki?-
tutti si chiesero.

-Allora avete
presente l’Ipercoop? Beh dietro c’e una vecchia cascina. E’ abbandonata. Al
catasto risulta di essere di un tale che è emigrato in Svizzera. Ieri siamo
andati a vederla con  compagni del
collettivo SenzaConfini ed è in ottime condizioni. C’è solo da ripulirla e
attaccare la corrente.

-Dai, e che
aspettiamo allora?

Alex stava ad
ascoltare. In silenzio. Ma stavolta non più con la testa bassa. Aveva
conquistato un po’ di fiducia. Allora prese ancora un po’ più di coraggio e interruppe
le loro discussioni.

-Scusate
ragazzi, cosa è questo posto?Cioè non capisco.

 Di nuovo si sentì osservato. Tutti smisero di
parlottare. Lo iniziarono di nuovo a fissare. Servì ancora un uscita di
Riccardo per riportare tutto alla normalità.

-Hai ragione
Alex. Scusami. E’ colpa mia. Prima ti invito alle nostre discussioni e poi non
mi spiego bene-

Alex pensò che
in realtà non l’aveva invitato lui.

E’ da troppo
tempo che siamo in cerca di un posto da occupare. Finalmente pensiamo di averlo
trovato.-

Un posto da
occupare?occupare per cosa?perchè? queste domande non le fece però. Stavolta se
ne stette in silenzio.

-Sei dei
nostri, vero?-sentenziò Luigi.

-Ma certo che è
dei nostri, vero Alex?-gli chiese Riccardo.

Alex nascondeva
un certo imbarazzo.

-Eh, eh.. si si
si! Certo. Come no. Ovvio.-Ma che sto dicendo?sono con loro? Ma in cosa?uffa
non c sto capendo nulla! Occupare un posto. Ma che vuol dire!?

-Perfetto
Compagni. Domani dopo la riunione con gli altri, non prendete impegni. Domani
notte si occupa.

Si levò un
grido di gioia corale. Tutti si abbracciarono

-E vai!

-Si!

-Finalmente!

Per non essere
da meno anche Alex esultò.

-Che bello si
occupa!-disse. Ma fu l’unica voce stonata. E si ritirò un po’.

Ma la gioia e
la felicità in quelle quattro mura era troppa. E nessuno se ne rese  conto più di tanto. Nell’aria colma di fumo
di sigaretta, si sentiva l’odore denso di emozione. Quella sera l’emozione
aveva un profumo. Sapeva di quei sette ragazzi. Sapeva di misticità e di
allegria. E anche Alex né fu trasportato.

Tornando a casa
quella sera i due non si parlarono. Non c’era bisogno. Capivano che stava
nascendo qualcosa tra di loro. E le parole non avevano senso in quei momenti.
Quando furono dentro casa Riccardo prese la mano di Alex.

-Tu sei come
me. Sei un anarchico. Buonanotte. A domani.

Alex si sentì
per svenire. Troppe emozioni, troppe quel giorno. Tutte assieme, poi. Troppi
cambiamenti nella sua vita. Tutti concentrati. Entrò barcollando nella sua
camera. Si spogliò e si mise a letto. Spense la luce.

-Io, io sono
anarchico!

Posted in pensieri e riflessioni | 1 Comment

Autobiografia di un diverso( parte prima)

Pubblichiamo come promesso la seconda parte del romanzo…

da leggere con attenzione..

 

Uno

 

 

La
mattina si svegliò di soprassalto, investito da una voglia irrefrenabile, una
voglia quasi disumana. Ma di che voglia si trattasse, non lo aveva capito. Si
guardava attorno spaurito, quasi a dire: ma che ci sto a fare qui? La camera
era vuota, le valigie pronte. Quel pomeriggio la madre lo avrebbe accompagnato
in macchina a Terra,dove lo aspettava una casa nuova, un ambiente diverso, un
posto certamente differente. Erano mezzogiorno, ma prima di partire voleva
salutare i suoi amici, almeno quelli che erano rimasti ancora a Sud. Si vestì
velocemente e uscì di corsa.

Alex
era un tipo strano, differiva molto dai ragazzi della sua età. Pensava con la sua
testa e criticava qualsiasi cosa che non lo convinceva. Parlava spesso con i
professori di temi d’attualità e a volte i docenti si spaventavano del suo
immenso bagaglio culturale.Aveva una sensibilità acuta ma non ancora
ideologizzata. Non era di destra, quello solo diceva, e aggiungeva che nemmeno
la sinistra gli andava a genio. Ma non si capiva bene cosa volesse dire. Quando
gli amici lo sfottevano, perché si vestiva strano o faceva discorsi sulla
politica, lo etichettavano: ecco, ora inizia a fare il comunista. Ma lui
rispondeva che non era comunista, ma che non era di destra. Un giorno era alla
Trinità, la piazza dove si incontrava sempre con i suoi amici, a parlottare con
Stefano e Mary. Si avvicinò a lui un ragazzo di colore che vendeva accendini.

-Tre
accendini, un euro, compra amico-.

 Stefano lo guardò con disprezzo e lo mandò a
quel paese. Alex, aveva solo 16 anni, rimase fermo un attimo, esaminò nella sua
testa la questione. Il marocchino si allontanò,coperto dagli insulti di
Stefano; Alex, dopo un minuto, lo inseguì e rimase a parlottare con lui. Tornò
dopo parecchi minuti da Mary e Stefano. Aveva in mano una ventina di
accendini,ne aveva comprati il più possibile. Stefano lo guardò perplesso.


Ma sei scemo? Ma lo sai che questi qui ci rubano il lavoro a noi italiani,
spacciano e rubano, so’ delinquenti!-.

Ad
Alex si infiammò il cuore.

-Ma
ti sei mai chiesto perché lo fanno? Ma lo sai da dove vengono? In che
condizioni vivevano nel loro Paese? Credi che si divertano a vendere accendini,
credi che se loro potessero non farebbero altro, credi che sia facile per un
ragazzo di venti anni abbandonare la propria terra, la propria famiglia e
venire in un altro Stato dove neanche parlano e conoscono la lingua, credi che
sia facile vivere vendendo accendini?eh? pezzo di cretino, non pensi che
bisognerebbe aiutarli?tuo nonno sessanta anni fa per sopravvivere dove pensi
che fu costretto ad andare? In America. Altrimenti qui con la miseria e la
povertà sarebbe crepato. Ora però tu ci mangi, grazie ai sacrifici di tuo
nonno. Hanno bisogno di venire in Italia, sai, hanno bisogno di vivere anche
loro!-Stefano era allibito. Mentre Alex parlava gli brillavano gli occhi, era
come se avesse accumulato anni di collera e fosse esploso.

-Oh,
scusa Alex, io stavo solo a scherzà un po’-

-Eh,
vedi di non scherzare su stè cose, che mi girano i coglioni, sté!-.

Diede
un bacio a Mary e se ne andò da solo per il Corso a riprendere quel ragazzo di
colore. Poi con Bambah sarebbe diventato amico.

Quella
tarda mattinata arrivò alla Trinità con il cuore angosciato, un po’ perché
aveva paura di non trovarsi bene a Terra un po’ perché in fondo gli dispiaceva
di lasciare la città in cui era nato e cresciuto, gli amici, i posti
dell’infanzia. C’erano tutti in piazza, Sara, Mary, Stefano, Mauro. Tutti sapevano
che Alex stava partendo.

-Oh,
però il fine settimana torni qui vero? Mica mo’ fai come gli altri che non
torni più?- facevano in coro i ragazzi.

-Ma
smettetela, dai, che domenica sono gia qui-.

Poi
si prese sotto braccio Sara e si aqquattò con lei. Sara era la sua migliore
amica. Quattro anni fa ci si era mezzo fidanzato, erano stati assieme per un
po’, ma poi avevano capito che la loro era una amicizia troppo bella per
andarsi a rovinare con un classico fidanzamento. Sara era bellissima,
corteggiatissima da tutti, alta, capelli scuri lunghissimi, sorriso da favola,
corpo mozzafiato. E poi era come lui: una sognatrice,amava la natura, i prati,
leggeva tantissimo, ascoltava la musica a go go, era impegnata politicamente e
socialmente, disegnava e faceva teatro. Si era segnata a lettere e filosofia.
Rimase a chiacchierare con lei con un magone enorme in gola. Sara cercava di
tranquillizzarlo che sarebbe venuta a trovarlo spessissimo, che tanto si
vedevano a Sud quando tornava. Dopo un ora di abbracci e qualche lacrimuccia sparsa
qua e là, salutò tutti e si diresse verso casa.

Dopo
pranzo la madre e il nonno lo aiutarono a caricare le valigie in macchina e si
partì. La madre di Alex si chiamava Franca, era una donna molto giovane, di
appena 38 anni. Era infermiera a Sud. Con Alex aveva un rapporto strano, a
volte distaccato a volte presentissima. Fino a 14 anni, Alex la amava alla
follia, le ubbidiva sempre e la seguiva in ogni suo ragionamento. Franca lo
aveva abituato a sentirsi indipendente, lo faceva tornare tardi la sera, le
aveva insegnato ad andare solo a scuola fin da piccolo col bus, a cucinare ogni
tanto. Era sempre molto presente come mamma, ma incentrava la sua educazione
rivolta al futuro. Per questo gia a 13 anni, parlava di sesso con il figlio, di
precauzioni. Poi crescendo Alex si era allontanato da lei. E la frattura si
consumò per anni e anni.

In
macchina quel giorno nessuno dei due parlava. Alex era emozionatissimo e
scalpitava pensando alla sue nuova vita. La casa che aveva affittato era
carinissima, al centro di Terra, una cittadina piccola come Sud, accogliente e
molto nuova. Aveva in precedenza gia conosciuto i suoi inquilini. Fabio,
Riccardo e Remo. Tre ragazzi di Leccare, paesino in Toscana, che erano già
amici ed erano iscritti al secondo anno di Scienze politiche. Fabio gli era
parso un ragazzo molto allegro, spigliato, capelli lunghissimi, grosso e tozzo.
Quando lo conobbe aveva una maglietta a maniche corte con lo stemmino dei Gechi,
il piccolo partito della sinistra ecologista, e gia gli era simpatico. Aveva la
camera tappezzata di poster e fotografie sul ’68, sul Pci. Remo era uno
sportivo; altissimo, quasi 1, 95
cm, grande e corpulento. Giocava a basket, come Alex,
era un professionista e militava in B2. Nella sua camera aveva raffigurazioni
dei più grandi cestisti della storia. E Riccardo era il più misterioso. Aveva
20 anni, barba incolta, occhi grandi e neri, basso e bruttino. Quando lo
conobbe non ci scambiò nessuna parola; era vestito di nero, con una felpa strana,
con una scritta bianca che recitava: ACAB. Jeans neri e scarpette da ginnastica
rosse. La sua camera non l’aveva vista. Ma ad Alex gli era apparso un poco
antipatico, asociale.

Finalmente
arrivò a Terra.

La
madre lo aiutò a scaricare le innumerevoli valigie che si era portato e insieme
suonarono all’uscio di casa. Nessuno rispose. Aprirono allora con le chiavi che
in precedenza il proprietario dell’abitazione aveva dato ad Alex e assieme
portarono dentro i bagagli. La madre lo salutò frettolosamente avvertendolo che
lo avrebbe richiamato la sera.

Si
ritrovò solo in quella casa sconosciuta.

Entrò
nella sua camera:era tutta bianca, vuota, sapeva di uno struggente odore di
intonaco andato a male. Ma era felice, si sentiva sollevato da quella strana
sensazione di stordimento. Per anni aveva cercato conforto in un mondo che
desiderava creare, ma che ancora esisteva, e quella camera vuota e silenziosa
gli suggeriva un punto ottimo d’inizio. Stranamente non aveva più timore, tutti
i suoi dubbi sulla sua nuova esistenza sparirono. Credeva che era più facile
cambiare le cose laddove c’era una spianata di nulla davanti a sé. E quella
camera così fatiscentemente vuota, era per lui un mondo da riempire. Alex
sognava e si arrabbiava. Non capiva come gli altri ragazzi della sua età si
accontentavano di una vita così piatta, ripetitiva, noiosa. Voleva rompere le
catene di quella particolare omologazione all’esistenza, voleva strappare dal
grembo di quella società un fiore di speranza nuovo e duraturo. E la sua arma
era la scrittura. Teneva sempre appresso carta e penna, ma dall’altra sera
aveva cominciato finalmente ad utilizzare il suo portatile. E senza pensarci
troppo, con ancora le valigie piene da sistemare, seduto sul suo letto ancora
da rifare, iniziò a scrivere frasi su frasi sulla sua nuova vita. Penso e ripenso al flusso continuo delle
onde, al fruscio degli alberi sospinti dal vento, al crepitio della pioggia che
cade sul terreno arso. Mi immagino una società senza classi, senza odio, senza
guerre, senza porte alle case, senza armi e senza televisioni, senza divise. Mi
immagino una società con una fratellanza di fondo, che tenga uniti gli animi
diversi delle persone, con i pensieri liberi delle genti, con la possibilità di
scegliere il proprio futuro, senza costrizioni ne barriere ne limiti di alcun
genere. Vorrei volare per il mondo e vedere con i miei occhi che tutti gli
esseri di questo pianeta collaborino assieme per principi come equità,
solidarietà e benessere sociale. Ecco, osservo gli occhi dei bambini in questo
mondo. Gli vedo felicemente innocenti,gli vedo avvicinarsi ad un barbone con
faccia stupita e regalargli un sorriso sincero, gli vedo ammirare le stelle e
chiedersi” Cosa sono quelle lucine?”, gli vedo correre dietro un uccellino per
poterlo afferrare, per poter volare con lui, forse, gli vedo chiedersi perché
si fa la guerra, gli vedo innamorarsi dei prati, buttarsi per terra nel fango e
divertirsi da matti sporcandosi a più non posso, gli vedo sempre più spesso
disubbidire agli ordini, quasi se seguissero una legge morale interna che tiene
conto della felicità e ignorare le imposizioni che provengono dalla società,
dalla famiglia, dai grandi, gli vedo piangere disperarsi da matti e poco dopo,
per una semplice caramella tornare a sorridere, trovare la pace interiore. E
volo a pensare a quanto sarebbe bello vivere in un mondo fatto di soli bimbi,
dove qualora nascano delle controversie, delle guerre, e si iniziasse a
piangere, ad arrabbiarsi, a gridare, basterebbe una caramella alla fragola a
riportare la pace. Si, in un mondo di bambini, la pace si farebbe con una
caramella alla fragola.

E
mentre era assolto nelle sue riflessioni, sulle su scritture, gli balenò
improvvisamente nella testa il bisogno di vedere la camera di Riccardo. Infatti
era l’unica cosa della casa che non conosceva, che non aveva visto. Ora lì con
lui non c’era nessuno e quale occasione migliore poteva avere di ficcanasare
nella camera del suo inquilino. Si alzò di scatto dal letto e si diresse verso
quella stanza. Sulla porta c’era un poster di un metro e mezzo nero, con una
poesia lunga lunga. Rimase minuti a leggerla, a osservarla. Era quasi
impietrito di fronte a quella scritta.

Il
campanello della porta suonò d’improvviso e riportò sulla Terra Alex.

Remo
e Fabio erano tornati a casa.

Corse
di fretta verso l’entrata della casa; con un respiro graffiante e roco, si
fermò di scatto facendo finta di sistemare ancora le ultime cose in cucina, e
attese l’entrata dei due.

-Ehi,
ma dove siete stati?- esclamò Alex, con un finto sorriso che gli si stendeva
sul viso, un po’ come un ombrellone da mare sta sul cucuzzolo di una montagna
abruzzese.

Riccardo
accennò un saluto e si diresse subito in camera, rinchiudendo lentamente la
porta.

-Beh,
compà che hai fatto fino a mo’? Dove sei stato? Non mi dire che tutto ‘sto
tempo l’hai passato in camera?-

Alex
abbassò la testa.

-Si,
perché?-

-Ma
compà è pieno di fighe in giro a st’ora, potevi farti una passeggiata no?-

-Vado
in camera a fumare- rispose scocciato Alex.

Remo
tolse delicatamente le valigie e le borse di Alex che erano ancora rimaste in
soggiorno e le riportò nella sua camera.

-Oh,
compà sicuro che non vuoi farti due passi?Dai che io sto a riusci! Dai vie’ co
me.-

-Grazie
Remo, ma sono stanco e ho da sistemare ancora tutte queste cose qui, ci metterò
un’eternità. Magari domani andiamo.-

Remo
diede una pacca sulla spalla ad Alex ed uscì sorridendo. E così il ragazzo
rimase solo soletto nella sua camera. Con calma mise tutto a posto, appese
poster, piegò per bene tutti i vestiti, spolverò le mensole e ripose tutti i
ricordi e gli oggetti a lui tanto cari, scopò a terra e in poco più di due ore
la camera era perfetta, pulita e pronta per la vita. Come diceva lui. Quella
era la camera della vita. Aveva il pensatoio: una poltroncina girata in un angolo
verso il muro, dove c’erano scritte con una matita le seguenti parole: “al’interno di ogni uomo si nasconde una
potenza enorme, un temporale di istinti, una tempesta di sensazioni, un uragano
di emozioni, turbinii di pensieri.. e i cambiamenti nel mondo, avvengono solo
grazie a questi misteriosi pensieri nascosti dentro ogni persona. E soltanto i
pensieri di un grande uomo possono cambiare il mondo, a patto che questo grande
uomo un giorno smetta di pensare e agisca.
” Questa frase l’aveva scritta
lui, e imprimendola sul muro, l’aiutava a riflettere. Lui diceva che quando era
in difficoltà, che aveva paura, che non sapeva come risolvere una situazione,
si sedeva sul pensatoio e, puff, come per magia, poco dopo stava meglio. Non
aveva risolto il problema, ma tornava allegro. Oltre al pensatoio, i muri erano
tappezzati di scritte di Gabriel Garcia Marquez, di Voltaire, di Gandhi,
Prhoudon. Poi c’era l’angolo della rivolta. Uno spazio su una mensola dove
aveva una candela accesa e dietro una pergamena con incise in lettere antiche
delle date: 12-12-1969. Le lenzuola e le coperte del letto erano nere, il suo
colore preferito. Per terra c’erano cataste di libri e cd, ordinatamente
riposti per autore. Al fianco del letto aveva sistemato un’arazzo regalatoli da
una sua amica, disposto dei cuscini per terra. E questa era la camera di Alex,
appena arredata, il giorno del suo arrivo a Terra. Era certamente incompleta,
ma agli occhi di una persona normale destava certamente curiosità.

Appena
finito di sistemare il tutto si guardò attorno con aria soddisfatta, si mise
per terra con il computer sulle gambe, si accese una sigaretta e cominciò a
scrivere,preso come da un raptus sessuale e maniacale con le emozioni. Le
parole scivolavano sinuose sulla tastiera del notebook, sospinte da un qualcosa
di magico, di misterioso. Pigiava forte i tasti, come se sentisse dentro il
cuore quello che stava scrivendo, come se quelle frasi sgorgassero fuori in
tumulto perpetuo. Se la stava prendendo contro i ritmi frenetici della vita, contro
le tradizioni perse, contro le tecnologiche esistenze futuristiche. Così, da un
momento all’altro aveva cambiato espressione. Prima tutto felice per la camera
appena riordinata, un attimo dopo cupo e arrabbiato per come si stava evolvendo
l’universo. Era fatto così quel ragazzo. “E’
un attimo, un batter di ciglia.. Nessuno qui si rende conto che, risparmiando
tempo, in realtà risparmia tutt'altro. Nessuno vuole ammettere che la sua vita
diventava sempre più povera, sempre più monotona e sempre più fredda.
Se ne rendono conto i bambini, invece, perché nessuno ha più tempo per loro. Se
ne rendono conto invece i fratelli migranti, perché nessuno tende più loro una
mano mentre vengono rinchiusi nei Cpt. Se ne rendono conto i cortili e i
parchi, perché nessuno più trova il tempo di correre tra l’erba e sentire il
profumo inebriante degli alberi in autunno. Se ne rendono conto le nostre
emozioni, che vengono paralizzate, freddate e spazzate via dalla logica
dell’immediatezza e della frenetica ricerca del risparmio temporale.
Ma il tempo è vita. E la vita risiede nel cuore. E quanto più ne risparmiamo,
tanto meno ne abbiamo.

Corriamo come
dannati per la città, stressandoci e innervosendoci se il semaforo rosso ci
ingabbia per un minuto in più sulla strada,fissiamo appuntamenti ore dopo ore
e, per rispettarli, facciamo salti mortali, limitando il tempo che dovremmo
passare con i nostri figli, ci strozziamo per ingurgitare un tramezzino sotto
il bar del nostro ufficio, pronti subito a scattare per riprendere il posto di
lavoro puntuali e precisi, pur di risparmiare tempo siamo disposti a fare
acquisti su internet, pagare le bollette su internet, innamorarci su internet,
fare amicizie su internet, fare sesso su internet.. Abbiamo perso completamente
la testa stando dietro a questa società che ci impone ritmi sferzanti di tempi
lampo. Questa società classista e capitalista che ci abbandona come relitti in
un oceano e che è manovrata da soli pochi grandi potenti.

Abbiamo fame,
dobbiamo lavorare per mangiare. Abbiamo bisogno di muoverci, dobbiamo pagare
per farlo. Vogliamo una casa, dobbiamo 
lavorare per affittarla/comprarla. Vogliamo cultura, leggere, ascoltare
musica, vedere mostre, dobbiamo pagare e andare a lavorare per avere ciò.
Vogliamo studiare, dobbiamo pagare. Viaggiare e pagare. Leggere e pagare. Bere
e pagare. Avere luce gas e acqua e pagare. Respirare e pagare. E il lavoro?A
volte precario, a volte in nero, a volte continuativo, a volte massacrante,
demoralizzante, RIPETITIVO, pericoloso ci prende ore ed ore interminabili nella
giornata. Così facendo ci costringono a lavorare, ci tengono buoni con il
lavoro, ci estraniano dalla vita sociale, ci lobotomizzano il cervello con
facili guadagni ed incentivano chi lavora di più, ci controllano facilmente e
ci tengono sott’occhio e soprattutto riescono così a farci fare quello che loro
vogliono, per i loro sporchi profitti. Ci rubano i nostri respiri, le nostre
passioni, i nostri sogni. Ci tagliano le ali per volare, ci frammentano le
nostre sensazioni e ci rendono impauriti e tremanti davanti al futuro. Questo
tempo, per il quale siamo sempre di fretta, per il quale non riusciamo a stare
tranquilli, lo rivogliamo! Basta con questa frenetica vita impazzita, dove
tutto corre e sfreccia. Basta. Sapete, nella Lucania del secolo scorso, uomini
come noi, italiani, contadini, celebravano il rito del capro espiatorio, per
allontanare – all’inizio dell’inverno – il timore del “vuoto vegetale”, ossia
di quel deserto che rimaneva dopo i raccolti, dopo il fuoco del Sole sulla terra
riarsa dell’estate. Folli.
Oggi siamo così sicuri del ritorno della primavera e abbiamo così poco
tempo  da spendere che non sentiamo il
bisogno di corteggiarla con un rito, non avvertiamo la necessità d’evocarla per
tacitare la nostra paura del vuoto e del buio invernale, del tetro avanzare del
freddo che ci ricaccerà nei nostri cubicoli superbamente arredati – CD, DVD,
CCD, DVX, DDT, ADSL, USB, DS, AIDS – con tutto quel che serve per fare
spallucce al gelo dell’inverno. Non abbiamo più tempo per l’amore. Gli italiani
non trombano quasi più, non ne hanno tempo: almeno, lo fanno più
“correttamente”, “coscienziosamente”, “responsabilmente” e “consapevolmente”.
Per meglio dire, con troppa “mente” e poco corpo, meno sudore e più docce, poca
passione e tanto calcolo. “Posso invitarti a cena” è diventato quasi sinonimo
di “forse, possiamo farci una scopata”: un tempo, queste cose si lasciavano al
linguaggio non scritto dei corpi aggrappati nel ballo, attratti, sfregati dalla
voglia e sfrenati nella passione.                                                                                          «Ciò
che è vuoto è destinato inevitabilmente a riempirsi, e ciò che è pieno a
vuotarsi» affermava nella notte dei tempi Lao-Tze, forse mentre osservava
l’acqua scorrere nelle risaie a terrazza dell’antica Cina, oppure mentre
ascoltava fremere il corpo dell’amata.
Con la perdita del valore temporale ci siamo riempiti le case di cazzate e le
abbiamo svuotate di figli, di parenti, d’amici, di discorsi, di emozioni, di
intelligenza. Non sappiamo più vivere nelle vecchie case a ballatoio, con il
cortile a fare da teatro per tutte le passioni e le miserie del caseggiato:
avremmo paura. Svuotati di passioni, privati di sentimenti, annegate persino le
idee nel nome del “politically correct”, ci coaguliamo – statici – di fronte ad
uno schermo di vetro dove scorrono gli stereotipi della nostra vita,
l’ammaestramento che ci è necessario per continuare a morire di noia. Senza
tempo.                                                      
                                            “La
demografia italiana ne soffre” sussurrano dal più alto Colle fino all’ultima
sacrestia dello Stivale: non ci sono più stuoli di ragazzini che riempiono gli
oratori ed i campi di calcio – quelli “liberi”, ovviamente – perché quelli
“targati” qualcosa – fosse anche la squadra del Ranuncolo Rampante – diventano
subito il sogno dei genitori, quello di vedere trasformati i polpacci del
proprio figlio in dobloni. Con i quali comprare subito l’ultimo modello di cellulare
che invia nell’etere anche frecce, chewing-gum e pannolini. Cellulari e viaggi
“last minute”, portatili dei quali useremo il 5% delle risorse e televisori in
ogni angolo della casa: soldi, servono soldi, lavorare, mungere, sfruttare,
vincere per avere altri cellulari, altri viaggi…
A questo ci siamo ridotti. A questo ci hanno portato. E continuano a manovrarci
come burattini. Senza tempo.

Addirittura non facciamo più figli; non ne abbiamo
tempo. La natalità in questo Paese è ai limiti storici.

I consumi, per Dio! Non sia mai che crollino i
consumi, altrimenti l’anno prossimo mi potrò solo sognare il trekking sulle
Ande ed il safari fotografico in Kenya! La produzione, per Dio! Se non c’è
nessuno che lavora, come produciamo per consumare?
E poi noi saremmo dei folli, soltanto perché predichiamo da anni che l’economia
liberista non solo conduce al collasso ecologico del pianeta, ma ci sta
uccidendo nella psiche e nel corpo? Quale segnale attendere ancora, quale
messaggio è più forte di una specie che non si riproduce più? Non basta
riflettere che metà della popolazione – chi più e chi meno – fa uso di
psicofarmaci? Senza Tempo. Ci hanno rubato tutto. Persino i figli.

Come delle serpi, ipnotizziamo le future prede che
attraversano il mare su malferme barchette dopo aver morso l’esca fatta di
talk-show e telefonini, oppure sospinte come branchi d’acciughe verso la rete
dagli squadroni della morte che seminiamo nel mondo, dal Kurdistan al Sudan,
dalla Colombia alla Cecenia, dall’Iraq all’Aghanistan.

Abbiamo bisogno di calma, di respirare con
attenzione, di meno lavoro, di più vita sociale. Di parlare di più, di fare più
sesso, di usare meno la macchina, di passeggiare di più, di vedere meno Tv e
usare meno il telefono, di abbandonare per un pò Internet, di viaggiare di più,
di ascoltare di più, di comandare di meno, di amare di più. E magari di farci
più canne. Si. Magari lavoriamo e amiamo con lentezza. Magari.

Riappropriamoci del nostro tempo, rigettiamo questa
società malata e iniziamo a curare di più il nostro cuore e la nostra anima.
Perché se davvero non abbiamo più tempo da dedicare ai nostri bimbi, vuol dire
che stiamo andando verso la distruzione totale delle nostre vite, delle nostre
anime, perché se davvero non abbiamo più tempo per i nostri figli vuol
certamente dire che siamo diventati una specie di cyborg omologalizzati a
questa società che ci vuole tutti uguali senza diritti, ne poteri, ne emozioni.
Badiamo bene, che questo siamo diventati e che i nostri figli crescono senza
più l’odore dei campi sotto il naso. E noi abbiamo bisogno dei nostri figli. I
figli, più che il prodotto del denaro, sono il frutto dei nostri sogni, oramai
azzerati. “
E
mentre scriveva queste parole, Riccardo entrò improvvisamente in camera.

-Che stai a fa,
Alex?- disse con quella sua voce dolce e misteriosa.

-Oh, niente
niente, cazzate,scrivevo- rispose il ragazzo, balbettando e chiudendo
repentinamente il computer. Non fece a tempo a nascondere il pc dietro di sé
che Riccardo l’aveva gia in mano che leggeva quello che aveva appena scritto.
Stette in silenzio per qualche minuto, mentre Alex lo fissava stupito ma
bloccato e impotente. Non voleva assolutamente che qualcuno leggesse le cose
che scriveva. La scrittura, le sue riflessioni, quelle sue parole erano
soltanto di Alex, a lui appartenevano e mai nessuno aveva la possibilità di
leggerle. Soltanto quando avrebbe riposto tutto in un libro, finito e
pubblicato, allora si che si sarebbe affidato alla critica e ai pensieri della
gente. Ma non prima. Mai nessuno prima ad allora era riuscito a strappare un
pezzo di carta dove aveva scritto, o sbirciato nel suo computer. E si stava
chiedendo perché proprio ora aveva dato il suo notebook a Riccardo,uno
sconosciuto. E mentre era lì che cercava di capire il senso della sua immobilità,
Riccardo gli ripose il pc sulle gambe.

-Hai stoffa
ragazzo- esclamò e uscì velocemente dalla camera. Scese le scale in fretta e
furia, salutò Fabio e Remo e uscì di casa.

Alex rimase
impietrito da quelle parole, rimase esterrefatto dalla sua voce sinuosa e
melodiosa. Era attratto da quel ragazzo, non sapeva perché ma era come se la
sua anima lo spingesse verso di lui. Attorno alla sua voce, ai suoi movimenti,
al suo modo di gesticolare, a come si vestiva, c’era un alone strano che
strappava letteralmente il fiato ad Alex, che lo incuriosiva a tal punto da
rimanerne trafitto. Doveva seguirlo, voleva vedere come si muoveva a Terra,
dove andava, con chi si vedeva, cosa faceva in giro.

Posted in pensieri e riflessioni | Comments Off on Autobiografia di un diverso( parte prima)

Autobiografia di un diverso

da oggi, per 1 mese a questa parte, pubblicheremo un romanzo contro, un romanzo di un compagno, che prova a raccontare la vita di un semplice ragazzo che cerca di combattera questa società..

 

BUONA LETTURA A TUTTI e A TUTTE!!

 

Autobiografia di un diverso

 

di ………….

 

 

Zero

 

 

Credeva di volare, di sognare e di
reagire così alle batoste prese fino ad allora, e invece si scopriva solo,
inutile come un colore senza la carta su cui disegnare, come uno scrittore
senza mani.

Pioveva
a dirotto quel giorno, il cielo era scuro e inquietante, le nuvole grosse come
elefanti, e tirava un vento che ti risucchiava l’anima. In giro non c’era
nessuno, i vicoli della città deserti, e gli alberi mugugnavano un lamento che
sapeva di grido d’allarme. Un grosso cane, sporco e nero, era disteso sulla
strada, incurante delle urla del cielo, quasi per niente spaventato dai lampi
che ogni tanto illuminavano la cittadina e straziavano quel silenzio assordante
che riempiva l’aria; mezzo addormentato, osservava le foglie ormai morte e
giallastre che danzavano sospinte dal vento davanti ai suoi occhi.

La
gente era tutta rinchiusa in casa, assopita dalle voci rassicuranti delle
televisioni e riscaldate dai camini accesi e dai termosifoni bollenti. Sud era
una città molto piccola, contava appena 60000 abitanti, divisa quasi a metà: da
una parte c’era la cittadella antica, con monumenti, resti d’altri tempi e
chiese storiche, alta,fredda, posizionata su un colle dalla quale si scorgevano
i monti che la circondavano e la vallata che le stava ai piedi; e poi c’era la
parte bassa, Sud Scalo, dove c’era la stazione, dove erano sorti i grandi
centri commerciali, dove c’era il polo universitario, i pub e  i locali, negozi scintillanti e poca cultura,
sorta e cresciuta da pochi decenni laddove prima non esisteva assolutamente
nulla,lì crebbero le fabbriche, le prime aziende multinazionali.

Erano
le undici di sera del 5 Settembre 2000, ed Alex era appena uscito di casa per
farsi due passi e fumarsi una sigaretta. Abitava in centro, a poche centinaia
di metri dal corso principale di Sud, in una casa grande e molto accogliente.
Con lui vivevano i nonni, la madre e il suo gatto. Il padre abitava invece a
Sud Scalo, insieme all’altra sua mamma e i suoi due fratelli, Lilly e Manu.

Alex
aveva 18 anni, era alto, magro, con i capelli corti di un biondo scuro
particolare, un viso molto espressivo, e degli occhi grandi e colorati tipo
cartone animato giapponese, di un verde acqua splendente. Portava con sé sempre
uno zainetto dietro le spalle, pronto ad essere riempito di cianfrusaglie
all’occasione, dei grossi e larghi pantaloni verdi, un maglione colorato di
lana, un giubbotto rosso e una kefia al collo che non lo abbandonava mai,
neppure d’estate sotto il sole cocente. Ma quella sera era particolarmente
fredda e più che altro la utilizzava come sciarpa con la quale coprirsi fino
all’altezza degli occhi; in testa aveva il suo solito cappellino militare, alle
mani i guanti che le aveva regalato sua nonna. Così coperto camminava con calma
e senza fretta per la città, sotto la pioggia battente e senza un ombrello che
lo riparasse. Passeggiava senza meta, sotto i portici del corso, per via
Gramsci, via Pollione. E pensava. Pensava alla sua vita e a come si stava
evolvendo ultimamente.

Mentre
camminava e con gli occhi bassi continuava il suo minuzioso lavoro di
scervellamento personale sui dubbi esistenziali, si rese conto che si era del
tutto infradiciato e decise di ripararsi 
sotto i portici di San Giustino.

Si
sedette sulla scalinata e si accese la sua prima sigaretta della serata.

Guardava
la pioggia scendere giù con veemenza. Pensava che sarebbe stato bello essere
una goccia di pioggia, così piccola e indifesa, ma così importante ed
egocentrica; erano a migliaia le gocce che scendevano ogni secondo, avevano
durata breve, ma in quelle frazioni di attimi, tutte, collettivamente,
scendevano con un unico scopo, con una unica direzione, e tutti se ne
accorgevano; mai le gocce di pioggia passavano inosservate,tutti, animali e
uomini, oggetti e piante, sentivano la loro presenza, e nessuno poteva
fermarle. Quando la pioggia voleva scendere giù dal cielo, niente e nessuno
poteva contrastarle, nemmeno le creature più potenti e ricche e forti
dell’universo potevano impedire alla pioggia di scendere; ci si poteva solo
riparare. Erano minuscole prese una per una, queste goccioline di acqua, ma
insieme, erano belle forti ed uniche nella loro maestosità. A volte potevano
essere danno per la natura e per l’uomo, altre volte erano semplicemente vitali,
ma sempre e comunque le misere e piccole goccioline di pioggia avevano uno
scopo ben preciso che portavano sempre a termine e soprattutto chiunque non
poteva che fare a meno di accorgersi del proprio passaggio. E di Alex? Qualcuno
si era accorto della sua vita? O stava passando inosservato? Questo si chiedeva
il ragazzo ,tra un tiro e un altro di fumo. E mentre era rapito dai suoi
pensieri, vide da lontano un omone che si dirigeva correndo verso di lui. Alex
alzò lo sguardo, e sussultò quasi dallo spavento quando si accorse che l’uomo
correva proprio velocemente verso di lui. Forse qualcuno allora si era accorto
di lui. Forse qualcuno sentiva il bisogno di correre da lui per dirgli:” Alex,
guarda che io ti ho notato, non sei affatto inutile”. Ma si, sicuramente era
così. Certamente qualcuno aveva sentito, percepito da lontano le sue
riflessioni, le sue paure e stava accorrendo da lui a dirgli che non era una
persona inutile, insignificante , ma che era importante, fondamentale; e i suoi
occhi si accesero di un bagliore fluorescente, buttò via la sigaretta e mentre
pensava a quello che doveva rispondere al gentile uomo, qualora gli avesse
detto quello che si immaginava, un sorriso di gioia purissima cominciò a
scardinarli il viso. Era tutto ad un tratto diventato felice; il cupo e la
tristezza erano scivolati via con l’acqua piovana e si preparava ad accogliere
l’uomo con una fierezza degna di un leone. L’uomo arrivò sotto i portici, si
levò il cappuccio che lo copriva dalla pioggia e si avvicinò ad Alex.

 -Mi fai accendere per favore?-chiese al
ragazzo e  prese una sigaretta dalla
tasca mettendola con calma in bocca.

Alex
morì dentro; pensava chissà cosa, fantasticava nel suo mondo ideale chissà
quali magiche parole l’uomo gli avesse rivolto, già pregustava un discorso
mistico da intraprendere con l’omone, e invece, nulla, il nulla, assolutamente
nulla di tutto ciò.

 – Ah si, tenga- rispose Alex con tiepida
freddezza, sconsolato e immediatamente tornato nello status in cui prima era
immerso. E mentre l’uomo si allontanava con la sua cicca in bocca, il giovane
ragazzo abbassava gli occhi, metteva le mani in tasca e prendeva un pennarello
nero, di quelli che servono a scrivere su tutte le superfici. Si girò e sul
muro scrisse: MI SENTO SOLO, FORSE LO SONO, MA PRIMA O POI, ANCHE DA SOLO,
CAMBIERO’ IL MONDO.

Si
alzò, si risistemò i pantaloni, il cappello e si riavviò con calma verso casa,
non prima di aver acceso la sua seconda sigaretta.

Rientrato
a casa, si diede una asciugata veloce, si infilò il pigiama e si mise sotto la
coperta. Prima di addormentarsi, accese lo stereo, infilò dentro un cd della
99posse, prese il portatile, lo mise sulle sue gambe e scrisse per un po’.
Amava scrivere, o meglio così Alex diceva. Ogni volta che si metteva a scrivere
qualcosa, metteva su delle frasi, delle belle idee, poi si stufava e lasciava
tutto li. Diciamo che amava pensare, ecco. Pensava tantissimo, si faceva viaggi
lunghissimi di pensieri, quando parlava con gli amici spiegava i suoi pensieri,
ma quando si trattava di scriverli, non gli piaceva più. Si definiva uno
scrittore, ma non lo era. Era un pensatore, era un parolaio. Avrebbe detto a
voce il suo libro, ma non lo avrebbe scritto. Lo avrebbe pensato, ideato, ma si
annoiava a dover stare le ore a trascriverlo su carta o davanti al pc. Le frasi
in testa, invece, scivolavano via rapide e sinuose, senza tempo, senza censure,
senza errori di grammatica o di sintassi, senza star li a ricontrollare tutto.
Per questo si era comprato un registratore vocale: quando gli veniva una bella
cosa in mente, schiacciava rec e la diceva al microfono del registratore. Il fatto
è che poi le frasi che registrava, non le trascriveva mai, non ne aveva proprio
voglia.

Aveva
un diario, rosso, bellissimo, che gli aveva regalato la sorella al compleanno.
Aveva iniziato a scrivere li i suoi pensieri, all’inizio con una frequenza di
tre volte al giorno, poi solo una al giorno, infine scriveva appena 2 paginette
a settimana.

Insomma
era un gran sognatore, ma svogliato. Non aveva voglia di scrivere, solo di
pensare e parlare.

Quella
sera decise un cambiamento drastico: prese il diario e lo mise nel cassetto
ripromettendosi di non riprenderlo più. Era capitolo chiuso. Ora era
maggiorenne, stava per trasferirsi a Terra, dove si era iscritto alla facoltà di
scienze politiche, e quindi doveva assolutamente iniziare a scrivere un libro.
Il suo sogno era sempre stato quello di provare a cambiare le cose con le
parole, con la scrittura. Allora prese il  suo pc nero e iniziò di getto a scrivere, come
solitamente di far suo.

CREDO
NEI SOGNI, SONO UN SOGNATORE. O FORSE SONO SEMPLICEMENTE UN SOGNO. GUARDO
QUESTO MONDO E MI CHIEDO: PERCHè? PERCHè IL CIELO è BLU? PERCHè SONO NATO
BIANCO E NON NERO? PERCHE’ LA
TERRA è MARRONE E IL SOLE GIALLO? PERCHè IL FUOCO è ROSSO? CREDO
CHE DIO SIA UN PITTORE, UN PITTORE CHE SI è DIVERTITO A DIPINGERE IL MONDO COME
LUI DESIDERAVA, COME A LUI GARBAVA. MICA HA CHIESTO CONSIGLIO A QUALCUNO? NO.
HA DECISO LUI E BASTA. E SE DIO FOSSE MORTO, PERCHE’ ALLORA NOI DOBBIAMO
CONTINUARE AD AVERE IL CIELO BLU, IL SOLE GIALLO, IL FUOCO ROSSO? SE QUALCUNO
DOMANI SI SVEGLIASSE CON LA VOGLIA DI
AVERE UN CIELO VERDE, UNA TERRA BLU E UN FUOCO NERO? NON LO POTREBBE AVERE.

POI
TORNO A PENSARE CHE TANTO IO NON CREDO IN DIO E QUINDI IL MONDO ME LO DIPINGO COME
VOGLIO IO.

SONO
UN RIVOLUZIONARIO E CREDO CHE LA PRIMA COSA
DA RIVOLUZIONARE SIANO I COLORI.

VORREI
CHE GLI AFRICANI AVESSERO LA PELLE
BIANCHISSIMA, NOI NERISSIMA. POI VORREI CHE IL COMUNISMO SIA
GIALLO, L’ANARCHIA ROSSA, IL LIBERALISMO MARRONE, IL FASCISMO MI VA BENE NERO.
MI PIACEREBBE AVERE UN BABBO NATALE VESTITO DI BLU E UNA COCA COLA TUTTA VIOLA.
ANZI, MI CORREGGO. VORREI CHE LA COCA COLA
NON ESISTESSE PROPRIO..

Alex
così scriveva l’inizio del suo libro; certo era strano, ma in lui si
prospettava gia un futuro, si vedeva che aveva la stoffa dello scrittore , era
palpabile la sua diversità intensa. Alternava semplicità a profondità. E poi,
in quello che scriveva ci credeva. Ci credeva fino alla morte. E questa è la
prima cosa che serve ad un vero rivoluzionario.

Ma
mentre scriveva e pensava queste cose, si addormentò davanti al computer.

 

fine primo capitolo.. 

Posted in pensieri e riflessioni | Comments Off on Autobiografia di un diverso

LETTERE E COMUNICATI PER I COMPAGNI ARRESTATI A PADOVA

NESSUNA TREGUA AL TERRORISMO DI STATO!

Esprimiamo incondizionata
solidarietà ai due compagni arrestati la notte tra il 5 e il 6 luglio a
Padova, uno dei quali un lavoratore precario di appena 19 anni, nell´
ambito dell´inchiesta che il 12 febbraio ha portato all´incarcerazione
di altri 13 compagni e una compagna.
A differenza dell´operazione di
cinque mesi fa, l´accusa di banda armata e associazione sovversiva è
data per concorso esterno. Questi nuovi arresti serviranno, inoltre, ad
allungare i tempi dell´indagine e della carcerazione preventiva.
Ancora
una volta ad essere colpito in particolar modo è il Centro Popolare
Occupato "Gramigna" di Padova perché da sempre è in prima linea nelle
battaglie a difesa dei diritti dei lavoratori, nella mobilitazione
contro le guerre imperialiste, in appoggio alle resistenze dei popoli
oppressi e nelle lotte sociali e popolari in difesa dell´ambiente, come
in Val di Susa, o contro le basi militari, come a Vicenza.
Da sempre
il Gramigna è stato la spina nel fianco dello stato terrorista che a
più riprese ha cercato di metterlo a tacere. Infatti, nell´ultimo
ventennio, ha collezionato 13 sgomberi e decine di denunce e multe a
carico dei compagni e che il 23 giugno, nonostante divieti, tentativi
di ghettizzazione e 200 sbirri in assetto antisommossa, è riuscito ad
organizzare con successo un presidio davanti alla stazione.
Con queste
manovre il governo tende ad instaurare, all´interno del movimento
rivoluzionario, un clima di terrore che cerca di spaventare e dividere
le masse in modo da impedire che seguano l´esempio della lotta di chi
non si fida più delle istituzioni. Nonostante l´enorme campagna di
criminalizzazione mediatica stile "sbatti il mostro in prima pagina",
intorno ai compagni si estende un´enorme solidarietà attaccata a più
riprese dai sindacati e dal governo socialfascista di Prodi.

NON UN
PASSO INDIETRO,
ESTENDIAMO LA SOLIDARIETA´!
CON I COMPAGNI ARRESTATI IL
6 LUGLIO!
AL FIANCO DI TUTTI I RIVOLUZIONARI PRIGIONIERI!
CON LA
RESISTENZA DEL CPO GRAMIGNA!

I compagni e le compagne del Filorosso di
Foggia
 
 
 
 
 Esprimiamo la nostra solidarietà ai compagni arrestati il 6 luglio.

Gli arresti, le perquisizioni e le intimidazioni non fermeranno le lotte.
Libertà per i compagni arrestati.
A loro tutta la nostra solidarietà.

Centro di Documentazione Proletaria Borgorosso - Genova
 
 
 Esprimiamo piena solidarietà ai due compagni arrestati a Padova il 6 luglio.
I compagni arrestati sono interni alle lotte dei lavoratori e alle
lotte per gli spazi sociali.
Ancora una volta si vuole far passare che i compagni sono delle
"schegge impazzite" o delle "mele marce". I rivoluzionari invece
sono
sempre in prima fila per le rivendicazioni per il diritto al lavoro,
alla casa, agli spazi sociali, a una vita degna di essere vissuta.
Le vere mele marce sono i burocrati sindacali, che cogestiscono le
manovre economiche dei governi borghesi, tese ad arricchire i padroni
e a sfruttare i lavoratori. Sono i funzionari dei partiti della
sinistra istituzionale che tradiscono gli interessi delle masse
popolari.
La solidarietà ai compagni in carcere, militante o spontanea che sia,
è necessaria per l'avanzamento di tutte le lotte proletarie.
Chi sinceramente crede che questo sistema sia marcio e basato solo
sullo sfruttamento, e che ci sia bisogno di un nuovo mondo, deve
rendersi conto che i rivoluzionari sono la punta più avanzata delle
lotte per migliorare le nostre condizioni materiali e sociali di vita
e di lavoro.

compagni/e contro la persecuzione dei rivoluzionari-napoli
Posted in repressione e carcere | Comments Off on LETTERE E COMUNICATI PER I COMPAGNI ARRESTATI A PADOVA

Attentato al progettista del Cpt – Il Cpt di corso Brunelleschi

Attentato al progettista del Cpt – Il Cpt di corso Brunelleschi
Le minacce scritte sul cofano dopo aver distrutto l'auto

TORINO, 15 lug – Attentato intimidatorio, la scorsa notte, contro
un geometra progettista della Coema Edilità Srl, l'impresa che
sta terminando il raddoppio del Cpt di corso Brunelleschi
.
Ignoti, che carabinieri e polizia definiscono nei loro rapporti
«anarco-insurrezionalisti», hanno preso di mira la Renault
Clio di F. D., 28 anni. L'auto era parcheggiata a Collegno, in una
strada vicina all'abitazione del professionista. I teppisti hanno
scritto con un punteruolo, sul cofano, la frase «Al centro del
mirino» ed hanno poi vergato sulle portiere le parole
«Tic-Tac», cerchiando la A nel modo in cui è
simboleggiata l'anarchia. Prima di andarsene, poi, i soliti ignoti
hanno anche sfilato il nottolino da una delle portiere e strappato, con
fini vandalici, i fili dell'accensione. In tutto un danno di un
migliaio di euro. Non ci sono dubbi sulla paternità del gesto,
da attribuire agli anarco-insurrezionalisti, non nuovi ad iniziative
intimidatorie nei confronti della Coema. Anche se nessuno sembra avere
notato nulla, considerato che la zona è abbastanza periferica e
poco frequentata.
La Coema
Edilità srl aveva vinto, nella primavera del 2006, un appalto
del Ministero delle Infrastrutture da 11 milioni di euro per
l'ampliamento del Cpt e le opere, in fase di ultimazione, sono iniziate
l'anno scorso. L'ampliamento riguarda le aree fra via Monginevro e
corso Brunelleschi, che passeranno da 88 posti a circa 170. Quando
sarà inaugurato il primo lotto (quattro strutture realizzate ex
novo tra via Monginevro e corso Brunelleschi), gli «ospiti»
verranno trasferiti e il cantiere si sposterà nell’attuale
Cpt.
La parte nuova, infatti, occupa il settore sino a pochi
mesi fa rimasto inutilizzato, dove una volta c’era il poligono di
tiro della vicina caserma. Un’area con una storia: gli alberi
tagliati avevano oltre mezzo secolo, ripiantumati dopo che quelli
precedenti erano serviti ai residenti, durante la guerra, come legna da
ardere per l’inverno. L’ingresso principale non sarà
più in in corso Brunelleschi ma in via Maria Mazzarello. I
vecchi muri sono stati sostituiti da una cinta di sicurezza, in cemento
armato. Spariranno le reti e il cortile. Nelle strutture, stanze di due
letti con bagno, aria condizionata e tv. I pasti arriveranno
dall’esterno, forse con lo stesso catering che serve altri
servizi pubblici. Infine l’infermeria, grande e attrezzata. I
lavori sono ovviamente «top secret», classificati come
quelli di una caserma militare; non ci sono cartelloni con le
indicazioni delle caratteristiche tecniche. Il cantiere è
seguito, passo dopo passo, dai tecnici del Demanio Pubblico.
Le
opere sono state realizzate con buona solerzia nonostante il documento,
recapitato l'anno scorso ai giornali, in cui gli
anarco-insurrezionalisti consigliavano «calorosamente» alla
Coema di sciogliere il contratto. Aggiungendo: «Non avremo alcuno
scrupolo a colpire duramente chi collabori anche in maniera marginale
con la Coema». Alla sede della ditta, in corso Unione Sovietica,
era giunta esattamente un anno fa anche una bomba carta: l'ordigno non
esplose grazie alle contromisure prese a difesa dell'azienda, la bomba
fu fatta brillare in cortile dagli artificieri. Gli
anarco-insurrezionalisti (che hanno firmato le rivendicazioni con la
sigla Fai-Rat) non avevano dimenticato di prendersela anche con i
giornali: in una lettera, giunta a La Stampa, avevano promesso
«fuoco e piombo» a carceri, Cpt, sbirri e giornalisti
(«fomentatori di odio razziale»). E' la prima volta che,
dopo quelle minacce, viene direttamente colpito uno dei dipendenti
dell'impresa. Ed è anche la prima volta che, spedizioni di
pacchi bomba a parte, si cerca di intimidire direttamente una persona
fisica, in questo caso un professionista.
L'episodio
dell'altra sera potrebbe comunque avere qualche attinenza con la
denuncia, avanzata dalla Digos tre giorni fa alla Magistratura, di
quattro anarchici accusati di avere scritto slogan sui nuovi muri del
Cpt. I quattro – tre ragazzi e una giovane donna di nazionalità
bosniaca – hanno agito in via Maria Mazzarello scrivendo «Questo è un lager della Croce Rossa» nonchè «Rivoltelle ai rivoltosi».

Posted in movimento e manifestazioni | Comments Off on Attentato al progettista del Cpt – Il Cpt di corso Brunelleschi