Il CSA BRUNO RIOCCUPA

manifestazione a trento per la difesa degli spazi sociali

Mentre crescono le adesioni per la manifestazione del 21 Aprile e ci si prepara ad organizzare treni e bus, alle 14.30 di questo pomeriggio i militanti del Cso Bruno hanno occupato l’ex studentato Mayer, uno stabile di proprietà dell’Opera Universitaria di Trento (che lo aveva lasciato in disuso da 3 anni), in corso Buonarroti nei pressi della stazione FS di Trento.
Già da domani alle 15.00 riprenderanno le iniziative del Cso Bruno con l’assemblea degli spazi sociali – dal Global Meeting a Trento, da Trieste al G8 di Rostock – e a seguire una grigliata con musica acustica alla quale è invitata tutta la cittadinanza. Da oggi è attivo inoltre l’info point per la grande manifestazione a difesa degli spazi sociali del 21 aprile.

La migliore risposta agli sgomberi è l’occupazione!
Il Cso Bruno ha ritrovato la sua casa!

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FASCI ALLA STREET PARADE ANTIPROIBIZIONISTA A ROMA.

Droga: Corteo antiproibizionisti, tafferugli a Roma
Esponenti di destra fanno incursioni colpendo manifestanti
(ANSA)-ROMA, 14 APR – Qualche tafferuglio si e' verificato durante il corteo antiproibizionista a Roma. Ci sono state scazzottate e contusioni. Secondo i manifestanti, alcuni esponenti di destra, riconoscibili dalle teste rasate, avrebbero compiuto piu' di un'incursione nel corteo colpendo a caso e fuggendo subito dopo.

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LETTERA DAL CARCERE DI ALFREDO DAVANZO. SENZA CENSURE.

 

PUBBLICHIAMO SENZA CENSURE LA LETTERA DI DAVANZO PERVENUTACI DAL CARCERE.

 

Affrontare la "Guerra preventiva e infinita" dell'imperialismo
è il primo documento politico da uno degli arrestati del 12.2. in Italia

PER IL PARTITO – PER LA RIVOLUZIONE

Il 12 febbraio è stato vera sconfitta?

La grancassa mediatica si è messa all’opera per martellare il messaggio
sulla potenza dello stato, sulla brillante Operazione preventiva,
sull’incapacità dei tentativi rivoluzionari, ecc.

Ma già lì trasparivano evidenti elementi di imbarazzo.
“Ma come ?! Non li avevamo definitivamente sconfitti ?! (..)
Ma come è possibile che siano di nuovo dentro le fabbriche, e che siano
“ottimi delegati” e non isolati estremisti ?! (..). E la classe operaia
poi, ma non era scomparsa? Estinta come i dinosauri ?!”

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LA CENSURA NON FERMERA’ MAI LA SOLIDARIETA’ !

Da ormai due mesi 14 persone, arrestate nell’operazione repressiva del 12 febbraio, vivono in condizioni di TOTALE ISOLAMENTO.
Non sono pericolosi terroristi, ma delegati sindacali riconosciuti e stimati dagli operai, avanguardie studentesche e giovanili in prima fila nelle lotte contro la guerra e lo sfruttamento.
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APPELLO PER LA MANIFESTAZIONE DEL 21 APRILE A TRENTO : GUAI A CHI CI TOCCA

Anche il “Bruno” è stato sgomberato. Dopo Copenaghen, dopo Bologna e Salerno, mentre il Pedro sta lottando per (r)esistere.
Su ordine di un sindaco di centro-sinistra che governa la città di Trento, il 21 marzo i reparti della Polizia e dei Carabinieri hanno sgomberato il Centro Sociale tentando di porre fine ad un’esperienza che si sviluppava da più di cinque mesi, frutto di una lotta per gli spazi che dura da molti anni.

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scrivere a bassa velocità. LENTAMENTE. MOLTO LENTAMENTE.

E’ un attimo, un batter di ciglia.. Nessuno qui si rende conto che, risparmiando tempo, in realtà risparmia tutt'altro. Nessuno vuole ammettere che la sua vita diventava sempre più povera, sempre più monotona e sempre più fredda.
Se ne rendono conto i bambini, invece, perché nessuno ha più tempo per loro. Se ne rendono conto invece i fratelli migranti, perché nessuno tende più loro una mano mentre vengono rinchiusi nei Cpt. Se ne rendono conto i cortili e i parchi, perché nessuno più trova il tempo di correre tra l’erba e sentire il profumo inebriante degli alberi in autunno. Se ne rendono conto le nostre emozioni, che vengono paralizzate, freddate e spazzate via dalla logica dell’immediatezza e della frenetica ricerca del risparmio temporale.
Ma il tempo è vita. E la vita risiede nel cuore. E quanto più ne risparmiamo, tanto meno ne abbiamo
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COMPAGNO ANARCHICO ARRESTATO A TERAMO. IL 14 SIT IN SOTTO IL CARCERE DI CASTROGNO

Nella notte tra venerdi 30 marzo e sabato 31 è stato arrestato Gianluigi, un anarchico teramano.
L'accusa mossagli dagli sgherri in divisa è quella di aver incendiato un
cassonetto e di porto abusivo d'arma impropria. Subito dopo l'arresto nei locali della questura è stato percosso ripetutamente da più sbirri. Il compagno comunque sta bene.
Lunedì mattina il GIP ha convalidato l'arresto.
Attualmente Gianluigi è rinchiuso nel carcere di Teramo.

I compagni e le compagne di Teramo

Per chi volesse scrivergli:
Gianluigi Di Bonaventura
Casa Circondariale di Castrogno
Contrada Ceppata 1
64100 Teramo Centro

 FONTE:   WWW.INFORMA-AZIONE.INFO

Presidio sotto il carcere di Teramo, in solidarietà a Juan Sorroche, compagno arrestato per 270 bis, e Gianluigi, ennesimo compagno arrestato venerdì notte.

Indirizzo ctr. Castrogno, 64100 Teramo

Per informazioni: 348 392 8660.

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MORTADELLA, VOTO E POLITICA

Sono illuso. Sono anche deluso. Ma soprattutto sono fortemente allergico ai partiti. Anzi diciamo pure che, nell’epoca in cui viviamo, secondo me sarebbero la prima cosa da eliminare e forse da non ricostruire più. Soprattutto penso che il sistema partitico abbia inglobato la partecipazione dei cittadini alla vita politica e l’abbia relegata ad un mero esercizio di calligrafia: una croce. Ma si può ridurre  la politica ad una croce? Basta andare una volta ogni tanto dentro un urna e tracciare una croce su un logo per partecipare allo sviluppo di un Paese? Prendere parte alla vita democratica di una nazione si può fare stando comodamente seduti su un divano a sorseggiare una birra e a guardare Bruno Vespa con i suoi esponenti politici che parlano delle nostre vite? Io penso di no.

Credo innanzitutto che il sistema partitico non solo stia rovinando la politica ma ne stia addirittura stravolgendo il senso lessicale che essa ha: che fine hanno fatto termini come “ partecipazione”, “ bene comune”, “ meritocrazia “, “popolo “. Chi fa oggi politica sono i partiti. Chi fa oggi i partiti sono personaggi alquanto strambi ed egoisti. Fanno politica per loro, per la propria parte, dimenticandosi che noi gli abbiamo affidato, a malincuore, il nostro futuro. E il nostro futuro non se lo possono giocare a colpi di maggioranze e minoranze.

Per capirne di più, di logiche di partito e di sistemi partitici, non avendo in tasca nessuna tessera, decido di chiacchierare con qualcuno che il politico lo fa di mestiere. Voglio parlare con un giovane, che forse capisce meglio la mia lingua e il mio disagio. Voglio parlare con uno che sia dentro un grande partito, che abbia peso, importanza. Voglio parlare con uno che lavora nel mio Comune.

Scelgo i Democratici di Sinistra. Consigliere comunale Avv. Enrico Raimondi.

Iniziamo la chiacchierata.

 

Profenna   :   Giunta comunale 11 assessori, 2 donne. Consiglio comunale. 40 consiglieri comunali.           4 donne. Non le sembra una visione un po triste della politica cittadina?

 

Raimondi   :    Molto. Perché non si è riuscito a rappresentare l’altra metà dei cittadini teatini. Ed è stato uno sbaglio enorme, a mio avviso. Ciò sta a significare che la politica non riesce a rappresentare, che non lavora bene per i cittadini. Ma conti che non è facile portare donne in Consiglio. Noi come Ds su 40 candidati abbiamo messo 17 donne, quasi la metà. Con il candidato Sindaco precedente il mio stesso partito ne aveva messo solo 5. E’ quindi un grande passo in avanti. Ma non basta.

 

P  Coletti, Legnini, Belusconi, Mastella, Cuffaro. Cosa hanno in comune queste persone? Cosa ne pensa del doppio, o triplo ruolo istituzionale? Non è una presa in giro per il cittadino votante?

 

R Io sono contrario, anzi contrarissimo a questi eventi di doppie o triple cariche. Un altro fatto è se queste cariche sono temporanee, ma dato che negli esempi che mi hai fatto si tratta di cariche vere e proprie, sono a mio avviso uno sbaglio. Io stesso quando venni eletto al consiglio mi dimisi dalla carica di segretario cittadino dei DS. La concentrazione delle cariche evince una debolezza dei partiti, che non riescono a scovare persone giovani da poter candidare e si rifanno ai soliti nomi, vecchi cotti e stracotti. Questi personaggi, paragonati al gergo universitario, sarebbero detti baronati.

 

P secondo un sondaggio Endetury, all’affermazione “ oggi non esiste un partito che mi rappresenti davvero” su un campione di mille persone hanno risposto così    49 % molto d’accordo. 18 % abbastanza d’accordo.   8,2 % poco d’accordo .             18, 9 % in disaccordo. 5 % non so. Cosa ne pensa?

 

 

R noi viviamo in un The Truman’s Show, in un mondo statico e fermo. L’Italia non ha futuro. Vive in un improbabile eterno presente e non riesce ad immaginarsi un possibile futuro. La funzione dei partiti sarebbe quella di integrare i cittadini nella vita politica e democratica. Oggi non è così. Quindi i partiti o si ricostruiscono, cercando di dare cittadinanza e rappresentanza alle persone o si favoriscono derive plebiscitarie e di accentrare il potere, quindi, in mano a pochi o a uno. Ma dato che oggi i partiti non hanno un idea di futuro, la politica  stessa non avrà futuro. Il concetto di rappresentanza politica sta a significare mettere uomini e donne assieme su un concetto di bene comune. Praticamente serve un partito che abbia la forza  di fare quello che promette in campagna elettorale. Altrimenti si perde di credibilità e i cittadini non votano più

 

P Prodi contestato, Bertinotti contestato, Mastella contestato. Già sette manifestazioni riconducibili in scontro al governo Prodi.  Quando c’era Berlusconi a contestare era il popolo del centrosinistra e quello del centrodestra applaudiva. Ora si contesta tutti assieme. Strano no?

 

 

R  la sinistra italiana è schizofrenica. In un altro Paese Europeo un ministro che va a protestare contro il suo stesso governo viene cacciato. Sono venti anni che i partiti sono diventati dei comitati elettorali e questi sono gli effetti immediati. Le manifestazioni della sinistra contro Prodi derivano un po’ dall’interesse privato di alcune caste, ma dall’altro da un fatto che non si è mantenuto un atteggiamento corretto verso gli elettori. E la colpa è sempre dei partiti. Se si vogliono eliminare questi dissensi esiste una soluzione: smettere di arroccarsi e costruire dal basso meccanismi partecipativi.

 

P Prima i Pacs, poi i Dico, ora nemmeno più quelli. Le promesse stanno a zero?

 

 

R  abbiamo bisogno di una spinta del popolo, dal basso. I partiti soli non ce la fanno perché esistono politicanti che preferiscono i beni personali su quelli generali e si celano lì dietro. Allora qui si che servono grosse manifestazioni che diano una spinta alle decisioni del governo. Questo potrebbe essere un buon inizio, qualora venisse approvato il ddl, di una ripresa di partecipazione popolare, dato che sono state e si stanno facendo tante manifestazioni per riconoscere i diritti delle coppie di fatto.

 

P  Prima c’era il PCI. Comunisti. Poi son venuti quelli del PDS. La quercia. Poi ancora i DS, socialisti europei. Ora il PD, i democratici. Fassino dice che il partito democratico si rifarà a Berlinguer, Moro, De Gasperi, Spinelli, Gramsci e Turati. Come dire: ci mettiamo in mezzo tutti, democristiani, federalisti, comunisti e socialisti così ci prendiamo i voti di tutti?

 

R   Il comunismo è morto. Non esiste più. E insieme a lui tante ideologie non funzionano più. Il partito democratico non è un contenitore ma un superamento classista dei partiti tradizionali, capace di dare il futuro alla politica. Se Fassino ha detto che il Pd si rifarà anche a De Gasperi e Moro, avrà preso un bidone o comunque io non sono d’accordo. Nel nuovo partito si tratta di ampliare la base di partecipazione per attivare il più possibile la possibilità di arrivare al partito massa. Ma sempre improntato nel futuro. E’ una scommessa da vincere.

 

Un'altra mezz’ora di chiacchierata passando su punti fondamentali comunali e nazionali, dove io cerco in tutti i modi di metterlo in difficoltà. Raramente lo faccio. È in gamba l’Avvocato. Oltre che a parlare bene, pensa bene. E pensare bene per un dirigente di partito è una qualifica che pochi hanno. Mi dice che per fare il consigliere comunale prende di fisso netto nemmeno 400 euro e che al comune i DS costano in tutto 50000 euro. Di Pasquale da solo ne costa quasi la metà. Fa nomi e cognomi, parla degli interinali che protestano fuori al comune, parla di Travaglio, Fassino, Berlusconi, D’Alema. Ne ha per tutti. Se non gli dicessi che devo andare, molto probabilmente sarei ancora li a parlare con lui.

Ora qualche annotazione politica. Seppur molto in gamba, l’Avvocato non mi ha convinto. Per me i Ds rimangono un partito sbagliato, un partito “borghese” ed inoltre credo che tra non pochi anni la gente si stuferà dei partiti e avremo alle prossime elezioni la più alta percentuale di non votanti mai avuta. Si tornerà a dire: “ piove governo ladro ! “ o forse “ voti a destra o a manca purchè se magna!”.

Ma grazie alla chiacchierata ho capito una cosa. Per capire i partiti dobbiamo smetterla di sentire Berlusconi, Bertinotti, Casini o Fini ma parlare con i dirigenti cittadini, quelli magari di piccoli paesi, che hanno ancora il fervore della ideologia nel sangue, che magari ti parlano un pò di dialetto e non un italiano corretto, ma che hanno quel luccichio negli occhi che sa tanto di credo. Loro, e solo loro, sono degni di parlare. Ecco tappiamo la bocca ai nostri parlamentari e facciamo parlare il dirigente dei DS di Cocullo e il segretario dell’Udc di CastelFrentano. Magari saranno più rozzi e meno diplomatici, ma sicuramente crederanno in quello che fanno molto più di Calderoli e Caruso.

Sapete, mi ha fatto piacere parlare con Raimondi, non condivido un acca di quello che mi ha detto, penso quasi l’opposto, ma vorrei tanto di trovare compagni di strada come lui nella mia vita. Sincerità, fermezza, correttezza, credo, purezza, realismo. Tutte qualità che ha lui e che non hanno Berlusconi e Prodi. E tutti i partiti di vertice.

Mia nonna mi ha raccontato che conosceva una coppia anziana di signori. Lui partigiano e comunista. Lei democristiana e ultra cattolica. Nel 2001 quando si votò andarono alle urne con in mano una fettina di mortadella a testa. Sulla scheda misero la fetta e scrissero in dialetto :” vi siete mangiati tutto. Mangiatevi pure questo!”

Idem. Mi sa che se continua così sarò costretti ad imitarli. E Viva la politica!

 

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REPORTAGE DA COPENAGHEN C.S.A.Q.P.E.S. CENTRO SOCIALE AUTOGESTITO QUINDI PERICOLOSO E SGOMBERATO

Copenaghen, Danimarca. 1 Marzo 2007. Un blitz dei nuclei antiterrorismo della polizia danese sgombera un centro sociale, il più noto della città.

Detta così la notizia non sembra suscitare particolare interesse, ne poter avere un piano principale sui media nazionali e internazionali, ed invece da sette giorni la vicenda occupa quotidiani, siti, riviste telegiornali, discussioni, assemblee e quant’altro nel panorama europeo. L’HungdomShuset( Casa dei giovani )nasce nel 1982, in un ex teatro occupato, che storicamente aveva visto passare dentro le proprie mura Clara Zetkin, Vladimir Lenin, Rosa Luxembourg, situato nella zona di Nòrrebro, villaggio autogestito dagli anni ’70 e trasformato a zona libertaria e alternativa. Dall’82 ad oggi il centro sociale è stato un crocevia di persone, di passioni, di rivolte, di iniziative, controcultura, che ha visto negli anni accrescere di numero i giovani frequentatori e che in pochi anni è diventato il simbolo della lotta dal basso di centinaia di giovani militanti. Qui hanno suonato i non ancora famosi Bjork, Nick Cave, Geen Day nei primissimi anni ’90, qui si è formata spontaneamente una mensa popolare che ogni giorno sfamava chiunque non avesse un tetto e un reddito dignitoso per vivere, qui esisteva un cineforum permanente e gratuito che passava sul grande schermo della sala cinema  tutti i film che nel circuito commerciale cinematografico non avevano e trovavano spazio, qui si organizzavano feste e concerti tutte le sere, da qui partivano le maggiori proteste e manifestazioni politiche della città, di casa erano assemblee, dibattiti, convegni politici, c’era una ben variegata e organizzata biblioteca popolare, e le critiche sociali che fuoriuscivano da queste mura erano sempre le più forti e fuori dal coro dell’omologazione. Venticinque anni di storia contro che evidentemente hanno iniziato a dare fastidio e a creare qualche problemino  al sistema politico partitico del comune. In fondo si sa che le voci libere e difficilmente controllabili  sono sempre  prese di mira da chi gestisce il potere.

E così, il rifugio per tutti quei ragazzi che non si sentivano accettati altrove, che contestavano le minacce nucleari, che rifiutavano le vecchie sinistre, che si opponevano al neo liberismo sfrenato e che combattevano per una giustizia sociale e un’autodeterminazione politica, è stato prima sgomberato, poi abbattuto e infine raso al suolo. Ma sgomberato l’edificio inizia la rabbia della gente.

Nella serata del primo Marzo , durante lo sgombero, una cinquantina di ragazzi si arrampicano sul tetto dell’ HungdomShuset per fare resistenza civile e cominciano a lanciare uova alla polizia, gli autonomi insieme agli anarchici scendono per le strade e erigono barricate e blocchi stradali, manifestanti si riuniscono a migliaia per protestare contro la repressione poliziesca. Molotov, auto incendiate, cassonetti rovesciati, sassaiole. Scoppia così la rivolta dei giovani danesi.

2 marzo, stesse scene. StreetParade che attraversa il quartiere e giovani che cercano di riprendersi il centro sociale sgomberato, scontri con la polizia, cariche e lancio di pietre.

 3 Marzo. Il fuoco brucia ancora nel cuore dei ragazzi danesi che sfilano in corteo in una manifestazione pacifica per tutta la città. Si ritrovano fianco a fianco nella lotta anarchici e famiglie, anziani e autonomi, bambini e politici della sinistra radicale, abitanti del quartiere e senza tetto, immigrati e intellettuali. NO ALLA VIOLENZA POLIZIESCA e SALVATE LA CASA DEI GIOVANI, recitano gli striscioni  d’apertura.

 4 Marzo. Le ambasciate e i consolati danesi sono presi di mira e assaltati da centinaia di giovani in solidarietà con i ragazzi di Copenaghen. La polizia carica ad Amburgo e Brema. Ci sono feriti e numerosi arresti. Ma la protesta comincia a divampare in tutta Europa.

In soli 4 giorni di lotta ci sono più di cinquecento arresti. Impressionante.

Decido così di partire per Copenaghen e vedere, e sentire e raccogliere sul posto le notizie e le sensazioni della gente, nel modo più attendibile e vicino alla verità. Preparo in fretta e furia uno zaino per star fuori almeno 5 giorni e il domenica sono gia sul treno Milano Copenaghen. Ed è proprio li’ che mi accorgo della portata sociale enorme della questione. Sul treno incontro una decina di ragazzi italiani provenienti dai centro sociali del Nord Est e da Milano. Anche loro sono diretti a Copenaghen. Mi dicono che in Italia la notizia della rivolta danese sta sempre più attecchendo nel tessuto giovanile e che sono in programma iniziative e proteste anche da noi. Mi spiega Riccardo di Padova: “ I centri sociali sono veri e propri beni comuni da difendere. Dentro vive la passione e l’utopia di centinaia di ragazzi che lottano per un mondo diverso e che fanno delle loro battaglie un servizio alle comunità locali. Quello di Copenaghen iolo conosco bene. E’ uno dei più attivi in Europa e soprattutto svolge un attività politica ben precisa: quello della costruzione di nuove trame sociali tra i più emarginati della città. Come a dire, fuori i normali e qui dentro gli ultimi e i diversi. Per questo è così amato e voluto da tantissima gente. Perché inclusivo e multiculturale.”

Dopo ore ed ore di treno, cambi a Berlino, arrivo finalmente a Copenaghen. Sceso alla stazione la scena che mi si presenta è surreale. Vengo bloccato dalla polizia che in inglese mi chiede i documenti. Mentre parlottano tra di loro, noto che ci sono posti di blocco sparsi per tutto lo spiazzale adiacente alla stazione centrale. Evidentemente la notizia dello sgombero dell’ HungdomShuset ha fatto risalire tantissima gente fin qui a Copenaghen e la polizia sta accertando i flussi di entrata. E’ diventato un caso nazionale. Dopo una mezz’ora spesa li per aspettare che la polizia finisse i controlli, mi lasciano andare. Decido così di dirigermi a Cristiania, centro della rivolta degli squatters danesi e fulcro della vita alternativa giovanile. Lo spettacolo che mi si para avanti è di un surreale che mi scalda il cuore e mi fa tornare indietro nel tempo. L’odore dei cassonetti bruciati è ancora nell’aria, le carcasse delle macchine bruciate, scritte ovunque e gigantesche sui muri, strade con buchi  per terra qua e là, vie chiuse e bloccate dalla polizia onnipresente, negozi con saracinesche chiuse( poi verrò a sapere che sono chiusi per solidarietà ai ragazzi arrestati), gente che va e viene scattando foto e intervistando politicanti imbellettati che vengono puntualmente fischiati ad ogni parola che dicono dai ragazzi che gli passano dietro o che si affacciano dalla finestra. L’impressione è che il quartiere tutto stia dalla parte del centro sociale. Mi fermo a parlare con un anziano che ha in mano una busta della spesa, un folta barba, giacca marrone e jeans scuro. In inglese gli spiego che sono italiano e che vorrei sapere che cosa sta succedendo qui. Lui mi guarda, sorride, con il dito mi indica lo scenario delle strade, alza le spalle e dice: “ Finally, there is a small revolution “. Sorrido. Mi si avvicina una ragazza, mi da un volantino. E’ in inglese. Evidentemente erano preparati al fatto che numerosi stranieri sarebbero venuti qui. Mi siedo su un marciapiede  e comincio a leggerlo e a cercarlo di tradurlo. Praticamente la storia del centro sociale inizia nel 1982 quando l’allora sindaco Weidekamp( socialdemocratico) destinò il palazzo a uso giovanile e lo diede in gestione agli squatters di Norrebro. Anni ed anni di lotte e iniziative però, sono diventate spine nel fianco di molti politici, soprattutto di destra e conservatori. Soltanto però nel 1999 i socialdemocratici decisero di votare insieme alle destre e di mettere il palazzo in vendita. L’unica offerta che arrivò al comune fu quella di una setta cristiana fondamentalista chiamata Federhuset, ma gli fu negato l’acquisto per ragioni politiche ben precise: alla maggioranza sembrava un acquirente poco serio. Poi, all’improvviso, una Spa che si chiamava Human A/S fece un offerta affermando che voleva aiutare i giovani occupanti e il Comune, accettando, decise di vendere a questa società lo stabile contro la volontà degli occupanti che non vennero nemmeno avvertiti della vicenda. E qui il gioco si fa duro ed impervio. Perché si scoprì che non solo l’amministratrice delegata di questa fantomatica società aveva in precedenza incarichi amministrativi nel Comune, ma che il partito socialdemocratico nazionale avesse aiutato con dei fondi nascosti( tangenti) la società all’acquisto del palazzo. E dopo neanche un anno la stessa amministratrice della società vendette le azioni della casa alla setta Federhuset, guidata dalla ultrarazzista e intransigente pastora Ruth Evensen. Le azioni però comperate dalla setta furono finanziate con un prestito dalla Sarah Lee Jones Corporation Spa, con una finanziaria con sede a Panama, ma gli investitori della Sarah Lee Jones sono sempre rimasti ignoti.

Preso possesso dello stabile la Evensen dichiarò ai giornali locali di voler combattere l’omosessualità diffusa, gli immigrati musulmani, di cristianizzare tutta la zona, di abbattere gli ideali eversivi dei giovani abitanti del quartiere, e di sradicare tutti i peccati presenti nelle vite delle famiglie di Christiana e Norrebro.

La sindaca di Copenaghen attuale dopo lo sgombero di giovedì mattina non ha nemmeno , come però il testo del volantino ricorda di aver promesso, dato uno spazio alternativo agli ex occupanti. Anzi in maniera beffarda e di sfida ha allegramente proposto ai giovani di poter, qualora volessero, comperare una palazzina al costo di 2 milioni di euro!

Letto( con molte difficoltà il volantino in inglese) decido di andar a vedere con i miei occhi cosa c’e’ ora attorno all’ex HungdomShuset. Tristezza e angoscia assalgono i miei occhi davanti a quello spettacolo pietoso. Innanzitutto non è assolutamente permesso avvicinarsi troppo alla zona dove prima esisteva il centro, perché cordoni di poliziotti in assetto antisommossa pattugliano l’intero perimetro. Inoltre il palazzo non esiste più. Ci sono ruspe, povere ovunque, calcinacci, sporcizie varie. Ovunque l’odore acre del muro sgretolato. I sogni e le speranze di tante persone distrutte e abbattute in pochi attimi dalla volgarità e dalla forza egoistica di poche persone.

Vi sembrerà strano, ma da quando sono arrivato davanti all’ex centro sociale( e sono rimasto qui almeno un paio d’ore) ho visto fermarsi e piangere almeno una decina di ragazzi e ragazze, persino una signora anziana. Non era un pianto isterico o odioso, ma quasi nostalgico. Come se quella scena ora così desolante del nulla davanti ai loro occhi , gli facesse tornare in mente chissà quanta vita e voglia di fare fosse passata in quella zona. La situazione politica che comunque ho trovato qui in città mi ha fatto comprendere perché una rivolta così grande e generale fosse nata e cresciuta così forte. Cristiania, città libera e libertaria, è minacciata di sgomberi ogni mese da troppo tempo ormai e ciò ha di certo aumentato la tensione sociale in questi giorni, facendo crescere la voglia di ribellione e di repulsione verso le sedi istituzionali. Inoltre la gente che ho qui visto e incontrato, e la gente dei tre giorni di rivolta era variegata e eterogenea, una folla non soltanto giovanile e danese. Il governo danese al potere dal 2001, la destra, ha sprofondato l’intero Paese in un occidentalismo atlantico spiccato, cercando di conformare le Tv, i media, le università e gli spazi pubblici. Tutte queste cause hanno portato ai fatti di Copenaghen.

Non finisce comunque di stupirmi questa gente. Nonostante il loro palazzo sia stato sgomberato e raso al suolo, la sera del 6 Marzo e per tutto il 7 marzo sono state organizzate feste e concerti, iniziative pubbliche e politiche, autofinanziamenti e richieste avanzate al comune. Gli scontri,i movimenti e le manifestazioni non sono finiti, ma  al contrario di quello che si dice, ad ogni ora, qui autonomi, anarchici e squatters danesi organizzano presidi e mini cortei, anche per richiedere la scarcerazione dei loro compagni arrestati. Si continua a lottare per le strade, a scegliere la via della compattezza d fronte alla becera politica del potere assoluto su tutto e tutti.

E nel frattempo il pomeriggio del 6 Marzo ci arriva la notizia stupenda che alcuni compagni a Milano e a Venezia hanno occupato i consolati danesi per protesta agli arresti dei 500 e solidarizzando con gli squatters dell’ HungdomShuset. Radio Sherwood ha fatto da ponte tra noi che eravamo in Danimarca e tutti coloro che stavano protestando in Italia. Questa notizia ci riscalda tutti.

E iniziano i preparativi della grande manifestazione di sabato 10 Marzo, dove l’appello dei giovani danesi per costruire un nuovo spazio sociale e per confrontarsi sulle lotte dei territori e delle comunità locali, sta richiamando tantissimi attivisti in tutta Europa.

Se a tutto questo fino ad ora scritto, teniamo pure in conto che dal 6 Giugno all’8 Giugno poco lontano da qui si svolgerà il G8 tedesco di Heiligendamm, lo scontro sociale che si prepara tra coloro che pensano di omologare il mondo e il pensiero ad un unico filone, derivato come luogo di profitti economici e disuguaglianze sociali dove il ricco deve mangiare e ingrassare sempre di più e il povero vivere sempre meno e tra coloro che invece pensano che un mondo di pace e giustizia possa esistere soltanto però se le differenze economiche vengano eliminate e che si possa cambiare il sistema dello status quo con lotte provenienti dal basso, tipiche del pensiero globale e dell’agire locale, è sempre più forte.

 La polizia ha reagito in Danimarca in modo feroce e efferarato. Ma non è riuscita a bloccare alcunché. La lotta continua e si prepara, e tutti gli ideali che hanno questi giovani sembrano non morire mai. Sapete perché?

Nessuna gabbia potrà mai spegnere il bisogno di libertà e di lotta per la giustizia sociale.

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8 MARZO 2007. CHI E’ DENTRO FA FESTA, CHI E’ FUORI E’ SOLA

 

Sono felice. Mi sveglio presto questa mattina e, con un buon umore e un sorriso stampato in volto, scendo giù sotto casa a comperare il giornale. Prima di uscire, saluto Amelia, la mia anziana vicina di casa che gia alle nove di mattina è sulle scalinate a pulire e a passare lo straccio. Le do gli auguri e lei con un sorriso dolce ma un po’ amaro mi risponde con un tiepido grazie. Beh, forse nemmeno si ricorda che oggi è l’8 Marzo, la festa della donna.

 Vado in edicola a passo svelto e compro i miei soliti quotidiani. A pagina 16 della Repubblica, dedicata interamente alla giornata internazionale delle donne, un articolo firmato da Maria Novella De Luca recita così : Donne in carriera, poche e senza figli. Mah, resto perplesso. Prendo  il Manifesto. A pagina sette un articolo di Antonio Sciotto ha questo titolo: Lavoratrici, infortuni in crescita. Stessa sensazione.

Rifletto un po’. Non mi pare che l’8 marzo sia propriamente una festa. Nel 1908 a New York, circa 130 operaie morirono in un rogo nello stabilimento Cotton, durante uno sciopero di protesta contro le dure condizioni di lavoro, contro i licenziamenti improvvisi che lasciavano sul lastrico le loro famiglie. Il proprietario della fabbrica aveva, chissà pure per quale motivo, bloccato le uscite e così per le donne non ci fu scampo alle fiamme. Nel 1910 Rosa Luxembourg propose nell’Internazionale socialista la data dell’8 marzo come giornata della donna, per far riflettere sulle condizioni di vita a cui la donna era costretta in quegli anni, senza lavoro, senza diritti e con una invisibilità enorme di fronte alla classe dirigente politica dei Paesi. Non so attribuire a quale dei due eventi storici si deve l’istituzione mondiale della data dell’8 Marzo, ma di certo essa non è una festa, ma una data per riflettere sui diritti e le libertà al femminile.

Assopito nei miei pensieri, con i giornali sotto braccio e una sigaretta in bocca, faccio un giro per le strade nel quartiere. C’è un via vai continuo di ragazze e donne con mazzi e mazzolini di mimose tra le mani, vetrine agghindate a festa con prodotti pubblicizzati per questa ricorrenza, sui muri ci sono manifesti di serate e feste in discoteca o pub a tema, con ospiti maschili da streaptese o provenienti dalla Premiata Forneria De Filippi-Grande Fratello. Comincio seriamente ad irritarmi.

Torno a casa un po’ deluso e mi siedo in salotto. Sul tavolo mamma mi ha lasciato un biglietto:” Sono a lavoro. Torno stasera, ma riesco subito che vado con Elena e Mariella dal Joice Club. “ E’ troppo. Ma può essere che nessuno sappia dell’8 Marzo, del forte valore che ha? Non ci posso credere che tutto si sia banalizzato a fiorellini, cioccolatini e dolcetti, serate in discoteca. E poi, può essere che il problema femminile di oggi si sia soltanto ridotto alla richiesta di più diritti nel campo lavorativo? Come se tutte le donne lavorassino. E quelle che sono a casa senza lavoro, disoccupate? E quelle che una casa neanche ce l’hanno? E quelle che sono costrette a non lavorare perchè devono tenere i tanti figli a casa? Insomma, chi si occupa delle donne emarginate, invisibili?  E’ pur la loro festa oggi.

Accendo la Tv. Il Presidente della Repubblica Napoletano in merito alla ricorrenza dirà pur qualcosa di universale, che sappia abbracciare tutto il mondo dei problemi femminili, dalla violenza alle donne, alla parità di diritti civili e lavorativi, alla disoccupazione in rosa, alle senza tetto italiane. No, invece no. Mi sbagliavo. Nessun accenno alla povertà femminile, nessuna parola per coloro che sono più fortemente disagiate e bisognose. Ha però parole per il mondo politico che vede una esigua minoranza femminile in parlamento e incentra buona parte del suo discorso sulle sparute pattuglie di elette alle Camere.

Nessuno, nessuno parla delle donne. Quelle vere. Quelle che combattono tutti i giorni contro miseria, povertà e fame. Che lottano quotidianamente per una casa, per una vita dignitosa. Tutti i media, tutti, seguono il filone del nostro Presidente della Repubblica e indicano soltanto una parte dei problemi femminili. Decido allora in quel momento di partire e raccontare una storia diversa. Destinazione Napoli.

Ricordo che, qualche estate fa, avevo con un mio caro amico, trascorso una indimenticabile settimana in giro per i quartieri meno turistici della città: Sanità, Quartieri Spagnoli, Granturco, Secondigliano. Parlavo con la gente, mi fermavo a scambiare quattro chiacchiere con gli anziani e i ragazzi per strada e ricordo di essere stato fulminato da una zona di Napoli: il Terzo Mondo. Con quei palazzi pieni di vita, quelle grida dei bambini che giocavano a pallone ovunque, persino dentro le gradinate degli stabili, le anziane che coprivano in qualche modo i nipoti che spacciavano all’interno del quartierie, giovani adolescenti che facevano l’amore dietro il giardinetto che costeggiava i primi due palazzoni. Insomma ero rimasto incantato da un mondo a parte, un mondo diverso, con mille problemi seri,con storie malate di disagio sociale, un mondo perennemente in equilibrio precario, senza certezze e sicurezze, dove le eccezioni non confermano mai la regola,  ma un mondo in fondo molto allegro. Il Terzo mondo, appunto.

Preparo di fretta e di furia tutto ciò che mi serve per un servizio, videocamera, registratore, carta e penna, qualche soldo e numero di telefono,zaino in spalla e si và.

Alla stazione Termini arrivo alle 11.00 circa. Il primo treno per Napoli è alle 12.20. Ho più di un ora per organizzarmi bene e per riordinare un pò le idee su quello che sto per fare. E mentre sono seduto sul marciapiede, di Piazza dei Cinquecento, con il naso all’in su a riflettere , da lontano vedo una anziana signora, malconcia e un po’ arruffata, spingere una carrozzella piena di oggetti. E’ bellissima.

Senza nemmeno pensarci su, mi alzo e vado con passo svelto verso di lei.

E’ alta più o meno un metro e settanta, capelli grigi e scompigliati racchiusi in una coda di cavallo, vestiti vari addosso, scarpe l’una diversa dall’altra, pochissime rughe in viso e tratti che nascondono benissimo un anzianità che non si direbbe. E’ una, volgarmente detta, barbona. La saluto con un ingombrante salve. Non mi guarda nemmeno, non alza la testa. Io insisto nel risalutarla, ma lei niente.

Allora le dico che volevo semplicemente darle gli auguri. Tutto ad un tratto, come se si fossi svegliata da un lunghissimo letargo, mi guarda, sorride splendidamente e mi dice: “Sono 10 anni che non parlo con un giovane bello come te”. Mi spiazza e non sapendo cosa dirle, provo a giocarmi la carta della verità. La dico che avrei intenzione di scrivere un articolo sui problemi delle donne dimenticate, quelle invisibili, che mi stavo dirigendo in un quartiere popolare a Napoli ma che ero rimasto colpito da lei; volevo quindi semplicemente farle un po di domande per poter poi rielaborare un testo critico verso la società e le sue dimenticanze.

Lei mi guarda, mi chiede una sigaretta. Gliela do subito, incuriosito. Poi mi dice : ”dimmi, iniziamo”. Sono sempre più spiazzato ma cerco di non farmi prendere troppo dalle sensazioni. E’ la mia prima intervista ad una clochard. Ci spostiamo leggermente dal caos di Termini, ci sediamo su una panchina e inizia qui il suo racconto. Si chiama Roberta Solani, è nata a Paliano, in Ciociaria ben 78 anni fa. Quando inizia a raccontarsi è un fiume in piena,non si arresta più. A 14 anni diventa staffetta partigiana, finita la guerra si iscrive al Liceo Scientifico di Frosinone, dove si diploma con facilità. Inizia a lavorare come impiegata nelle poste del capoluogo e poco dopo si sposa con un uomo venuto a Frosinone dalla lontana Sicilia per motivi di lavoro. Fanno due bambini e la sua vita sembra scorrere tranquilla fino all’età dei 35 anni. Ad un certo punto Roberta inizia a sembrare un po’ restia nel raccontare i particolari. Mi dice che in seguito ad un grosso problema in famiglia è costretta ad abbandonare il marito e parte per Roma con i due figli. Parla freddamente e non mi va di chiedergli che grossi problemi abbia avuto, anche se la curiosità e’ grande. Continua a dirmi che da allora non ha mai più rivisto suo marito. Per lei inizia, mi dice, un periodo di grosso stress, dovuto al problema di trovare una sistemazione nella Capitale, di mantenere da sola i due ragazzi, di crescerli in modo sano, con uno stipendio da impiegata. Era nel ’72, quando una volante della polizia la investe involontariamente, perché all’inseguimento di alcuni delinquenti, e perde l’uso completo del piede sinistro. In effetti non avevo fatto caso che Roberta, camminava in un modo leggermente storpiato verso sinistra. Inizia sempre più spesso a deglutire e a far fatica ad andar avanti nel suo racconto. Io le dico che se vuole puo bastare cosi ricordare il passato e potremmo parlare di altro. Lei scuote la testa e continua. Da quel momento perde il posto di lavoro in seguito alle cure mediche che deve fare e lo Stato ci mette quasi un anno a riconoscerli l’invalidità civile e a passarli una pensione fissa di mantenimento. In quell’anno che trascorre per andare avanti è costretta a indebitarsi per pagare l’affitto. Roberta china la testa, quasi come se stesse per dire una cosa terribilmente cupa, e con voce fievole mi dice che per due mesi andava persino a casa di ex colleghi per prostituirsi. Faceva con loro l’amore per guadagnarsi dei soldi, per il mantenimento dei suoi due figli. Inizio a sciogliermi letteralmente. Lei vuole continuare il suo racconto e con la mano mi fa cenno che vorrebbe un'altra sigaretta. Se l’accenda e ricomincia a parlare. Appena ha avuto questa pensione scopre che con quei soldi non ce la fa a tirare avanti per tutta la famiglia. La situazione è tragica ma è costretta a mandare i figli a casa dell’anziana madre in campagna, almeno fino a quando non avrebbe trovato un nuovo  lavoro che non l’affaticasse troppo con il piede. Nel 77 i ragazzi muoiono entrambi di tubercolosi. Per Roberta è un duro colpo, troppo duro. Soprattutto perché era consapevole della malattia dei figli, ma sia lei che la madre non avevano soldi a sufficienza per una cura ottimale che gli potesse guarire. Così all’età di 43 anni si ritrova, senza marito, senza figli, con una madre moribonda e anziana, con un forte handicap dovuto per una colpa altrui, senza lavoro per incapacità di fisico, con un affitto da pagare, e con pochi spiccioli per mangiare, a Roma.

Nell’84 con la pensione di invalidità non riesce più a pagare l’affitto così che il proprietario dello stabile la caccia per morosità. Mi dice che sono stati inutili gli appelli scritti e le lettere al comune di Roma, implorando aiuto e ponendo il suo caso come esempio di mal governo sociale. Da una busta mi tira fuori un mucchio di carte invecchiate. Sono le lettere, i documenti e tutto ciò che ha scritto al comune e al governo per chiedere giustizia sul suo caso. Nulla, scuote la testa e mi dice che nessuno, niente e nessuno la ascoltava. Era solo una povera donna  ciociara cinquantenne, zoppa, senza marito, senza ora più nemmeno la madre, senza figli, senza casa, senza futuro.

Sono più di vent’anni che ormai vive per strada. Lei, che ha potuto studiare, diplomata in un liceo scientifico, amante della letteratura e della poesia, mai alcolizzata, ne drogata, che non ha mai rubato nulla, che ha sempre pagato tutte le tasse fino a che ha potuto. Da 15 anni ha smesso di prendere anche le 250 euro che ora gli spetterebbero come indennizzo all’handicap che ha. Le chiedo cme mai, che almeno con quelle poteva tirare a campare certamente meglio che senza. Lei mi dice che lo fa per protesta, che non ne vuole sentir parlare di aiuti da questo Stato che non ha fatto altro che rovinargli la vita,che le ha distrutto l’esistenza, a lei e ai suoi figli. La guardo. La vedo innalzarsi ai miei occhi. Non mi rendo ancora conto per bene della sua situazione. Ha attraversato la vita con immense difficoltà, a preso batoste a non finire, ha combattuto battaglie più grandi di lei, eppure ha ancora la forza di lottare e addirittura di prendere in mano le redini del gioco. Sfida lo Stato e con la sua silenziosa protesta vive la sua esistenza in pace. Nel carretto che l’accompagna sempre ovunque non ha oggetti della sua adolescenza, tranne i libri della sua giovinezza, , da Pirandello a Verga, da Moliere a Ungaretti. E mi dice che si ferma spesso a Villa Ada a rileggere gli atti d’accusa e di satira che Moliere descrive nelle sue opere. Roberta vive di elemosina, mangia alla Caritas, dorme per strada avvolta da cartoni e coperte alla buona in un angolo di via Cavour. Mi confessa che da anni sta scrivendo un diario, della sua vita, un sorte di testamento delle sofferenze di donna che ha dovuto patire.

Rimango avvolto da quel tiepido tepore che è lo stupirsi ancora: questa donna ha tutti i meriti che si possano attribuire a quelle persone che fanno grande la propria vita, da stimare e plaudire.

Per me si è fatto tardi. La guardo fisso negli occhi. Le prendo la mano sinistra e le do un in bocca al lupo per il resto della sua vita, promettendole che avrei scritto su di lei e fatto sicuramente presente al comune di Roma tutto ciò che mi ha raccontato. Lei mi dice:” E’ un mondo difficile, soprattutto se sei donna e vecchia come me. Ma diventa più difficile ancora se ti abbatti e non provi a resistere. La mia fortuna di donna è che ho resistito a tutto, sto resistendo e resisterò sempre.”

La guardo, ha occhi pieni di orgoglio, pieni di vita. Ha subito troppo ingenti maledizioni dalla vita, eppure lei è ancora li, con la vita dentro. Che meraviglia. Eppure per lei oggi non c’è alcuna festa.

Corro a prendere il treno per Napoli, ma dentro il vagone, seduto e gia in viaggio per la mia meta campana, rifletto su Roberta e sul tema femminile delle persone che hanno avuto il suo stesso percorso problematico. Non smetto di chiedermi come possa essere lo Stato, le istituzioni, così lontane e inesistenti per donne come lei, come sicuramente altre centinaia e centinaia nel nostro Paese. Come si possono dimenticare i giornali e i media di storie come questa? Perché la stragrande dei giornalisti non si occupano di questi problemi? Perché oggi che è l’8 Marzo nessuno pensa alle donne più deboli?

Penso che con Roberta nella testa anche il mio viaggio a Napoli sia,in paragone, minoritario.

Al Terzo mondo conosco tre famiglie, mi colpiscono molto , ma in testa ho sempre quel sorriso sprezzante dell’anziana romana.

Anna, 46 anni, tre figli a carico e marito operaio che lavora a Bagnoli. I figli hanno 3, 4 e 10 anni. Il marito attacca a lavoro alle 8 e stacca alle 19.00, tutti i giorni tranne la domenica. Guadagna 1100 euro. Così Anna è costretta a stare a casa con i bambini, da sola, tutti i giorni della settimana. Vorrebbe lavorare in una palestra di fitness, ma non può permettersi di lasciare i figli soli a casa. Vorrebbe lavorare, ma non può. Per lei non esiste nessuna festa oggi.

Sara, 23 anni, una figlia di 1 anno e mezzo. Divorziata, problemi di droga alle spalle, e ora convivente con un altro ragazzo, che lavora come cameriere in un ristorante a Piazza Dante. La casa l’hanno occupata, perché non potevano permettersi di affittarla, con un reddito in due di 800 euro mensili. Il ragazzo lavora dalle 11 di mattina fino a chiusura ristorante, di solito l’1 di notte. Lei deve badare alla piccola Cristina, non può permettersi di mandare la bimba in un asilo nido. Non ha i soldi. Ha solo 23 anni e mi dice che si sente già abbandonata da tutti. Passerà l’8 Marzo a casa, da sola, tristemente. Per lei Nessuna festa.

Rita, 37anni, due figlie di 12 e 14 anni, senza marito. Lavora in un call center della Wind, prende per 8 ore di lavoro giornaliere circa 900 euro al mese. Mi dice che la metà se ne va per l’affitto. “ Con 400 euro, le chiedo,si può vivere in 3?”. Infatti ha l’allaccio alla luce abusivo, così come il gas e l’acqua che non paga da anni ormai. E così cerca di arrivare fino a fine mese. Ma è una vera lotta. La loro casa è formata da un bagnetto, una camera per le ragazzine e una cucina/salotto dove lei dorme sul divano letto. Le ragazzine quando lei è lavoro devono badare a se stesse sole, a pranzo e dopo pranzo. Neanche per queste tre donne non c’è festa.

Così come non c’è nessuna festa per le oltre 500 bambine, donne, operaie che sono state torturate, ammazzate, fatte sparire a Ciudad Juarez in Messico, non esiste nessuna festa per Karima, lapidata per atti impuri in Arabia Saudita, non si festeggia nemmeno per 400 donne della Burkina Faso messe al rogo perché accusate di essere mangiatrici d’anime, e nemmeno c’è festa in Birmania, dove 4137 donne sono costrette ai lavori forzati e stuprate ogni giorno.

Tra i campi profughi la festa della donna non è festeggiata, anche se l’80% nei campi sono donne e bambine; e che dire poi dei 140 milioni  di casi di mutilazioni genitali e non  femminili; e delle 700 milioni di donne che soffrono la fame e denutrite.

Caro Presidente della Repubblica, caro Ministro delle Pari opportunità, finitela di imbandire feste nei palazzi di potere e di auspicare che le donne in Parlamento siano rappresentate giustamente. Finitela per piacere. L’8 marzo potevate passarlo a Roma Termini con Roberta, al Terzo Mondo a Napoli con Rita, Sara e Anna, o andare a vedere che succede in Messico, in Birmania, in Burkina Faso, in Arabia Saudita; o magari a prendervi le botte insieme a quelle centinaia di donne che stamattina hanno manifestato in Iran e sono state duramente caricate dalla polizia. Ecco potevate andare li.

Invece avete preferito stare nel vostro bel Palazzo, fare discorsi retorici e pieni di populismo partitico.  E Fuori le donne hanno bisogno di diritti. Diritto ad una vita dignitosa. Diritto al Lavoro. Diritto alla Casa. Diritto alla parità culturale. Diritto soprattutto a no essere considerate solo come oggetti, ma persone.

Oggi, care Ministre, politici, Presidenti e quant’altro la festa ve la fate tra di voi.

Io rimango a Napoli, ospite di Sara.

 

 

Luca Profenna

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